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Nulla di particolarmente originale o inedito. Ciò che davvero fa cantare fuori dal coro "La schiuma dei giorni" è lo stile narrativo con cui viene raccontato l’iter emotivo dei due protagonisti, un ampio uso di ricercatezze letterarie, come neologismi e metafore, che difficilmente si prestano ad essere trasposte su pellicola. Con queste premesse verrebbe da pensare che un affabulatore come Gondry, che con Eternal Sunshine of a Spotless Mind, blasfemamente tradotto in italiano come Se mi lasci ti cancello, è stato capace di farci (forse "farvi" sarebbe più appropriato, ma ne parleremo in un altro momento) vivere sulla pelle le emozioni dei suoi personaggi, abbia fatto prevalere il sentimento alla forma, invece purtroppo si rimane amaramente delusi nello scoprire che riduce la nuova pellicola in un mero esercizio di forma accantonando completamente la sostanza.
La caratterizzazione dei personaggi viene messa in secondo piano da una regia che cura di più gli ambienti e Audrey Tautou e Romain Duris, che avevamo già visto insieme nell’Appartamento spagnolo e il sequel Bambole russe, ma anche quella di personaggi secondari come Omar Sy, il badante di Quasi amici, che casualmente anche in questo film ricopre il ruolo di maggiordomo, però in Mood Indigo perde un po’ del suo carisma proprio a causa di questa inefficiente caratterizzazione dei personaggi. Il film scorre lento per la strabordanza di particolari e dettagli nella scenografia con cui Gondry decide di bombardarci, un mix tra gli stop-motions Burtoniani e i digital effects dei Looney Tunes, che deconcentrano lo spettatore dalla storia narrata.
gli effetti visivi, a risentirne quindi è l’interpretazione dei due protagonisti
Seppur di difficile digestione questi tecnicismi elitari riescono però nell’intento di rendere visivi gli accorgimenti prettamente narrativi di Vian: potremo dare un volto ai neologismi, come il pianococktail che sforna bevande in base alla performance sonora, così come veniamo allietati dall’uso di metafore per dar voce alla critica sociale o che ad esempio alleggeriscono il peso di una malattia come il cancro, che viene rappresentato come un fiore. Nemmeno gli effetti visivi però sono sempre riusciti, infatti a volte l’esagerazione porta a dei risultati degni di art-attack o a dei veri e propri errori tecnici come il pessimo screen split climatico durante la luna di miele dei due. L’ambientazione strizza un po’ l’occhio al favoloso mondo di Amelie, ma non ne riesce a emulare il pathos fiabesco, ci ritroviamo immersi in un mondo anni 40 in chiave futurista e l’unica scena che si avvicina anche solo un pochino al romanticismo è il viaggio su Parigi a bordo di una nuvola attaccata ad una gru. Il lento climax discendente dei due protagonisti, Collin e Chloè, che passano dalla gioia del nuovo amore alla disperazione della malattia, viene, invece, accompagnato da scelte registiche azzeccate e originali.
La fotografia e la scenografia diventano i veri protagonisti della storia, i colori perdono di saturazione via via che Collin cade sempre più nella disperazione, l’ambiente da spazioso e lucente diventa cupo e angusto, riuscendo a creare un’empatia emozionale con lo spettatore che tenta di sopperire a quella completamente assente della trama e dei personaggi. La musica ci immerge nel mondo jazz, chiaro omaggio alla carriera da trombettista di Vien e accompagna magistralmente lo scorrere della pellicola. Non un brutto film ma sicuramente da Gondry ci aspettavamo di più, invece non volendo deludere le aspettative di chi tacciava il libro come difficilmente riproducibile su schermo ha trascurato il lato emozionale a discapito di chi si aspettava “la più dolce e straordinaria delle storie d’amore”, ma d’altra parte… chi troppo vuole nulla stringe!
Vi è piaciuto Mood Indigo? Avete letto il libro? Fatemi sapere cosa ne pensate con un commento!
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