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Moon

Creato il 29 luglio 2015 da Jeanjacques
Moon
Nessuno ama i cosiddetti "figli d'arte". Basti pensare a come, in campo artistico, si faccia molta fatica per ottenere un minimo di visibilità, a quante privazioni e sacrifici debba fare una persona affinché il suo lavoro venga notato. Per un figlio d'arte invece la cosa è più semplice. Non dico immediata, perché credo (spero!) che in ogni campo devi darti un attimo da fare se vuoi arrivare a un certo livello, ma sicuramente la loro strada è meno lastricata d'insidie rispetto a quella di una persona normale, hanno un addetto ai lavori direttamente in famiglia che sa consigliarli e farli arrivare a destinazione in meno tempo. Io non odio i figli d'arte perché, semplicemente, ognuno ha il diritto a fare quello che vuole della propria vita e non è colpa loro se sono così naturalmente avvantaggiati. Basta che ci sia coscienza dietro quello che fanno, che ci sia la consapevolezza di essere dei privilegiati. Sennò sarebbe come incolpare i figli di genitori ricchi e dare per scontato che siano degli irresponsabili viziati, che per come la vedo io è come dire che tutti gli immigrati sono ladri: una generalizzazione e, in quanto tale, fa male. Del resto abbiamo avuto un figlio d'arte come Jason Reitman, uno che se ne è uscito con un filmone come Young adult, quindi quando c'è dietro del talento, è giusto che esso vada riconosciuto come merita. E il talento di Duncan Jones, figlio del cantante David Bowie (al secolo David Robert Jones), è davvero cristallino.  

Sam Bell è l'unico residente su una base lunare della Lunar Industries da ormai tre anni. Il suo compito è quello di accertarsi che i macchinari per l'estrazione dell'Elio3 funzionino a dovere. Un giorno però, a causa di un incidente, viene a scoprire dell'esistenza di un altro se stesso, un suo clone in tutto e per tutto...Al talentuoso padre, Duncan aveva dedicato il cortometraggio Whistle, storia di un killer che ammazzava politici dalla sua residenza grazie a un laser a lungo raggio - presente negli inserti speciali del dvd di questo film - e che, verso la fine, si trovava a dover combattere coi propri ideali e con la propria morale a favore di un bene più grande. Dopo questo esordio, ingenuissimo ma comunque davvero piacevole nella sua breve durata, si è dedicato alla regia di diversi spot, fra cui quello di French Connection, e di alcuni videoclip, fino ad approdare alla regia di questo suo primo lungometraggio. Insomma, possiamo ben dire che il barbetta si è fatto la sua dose di gavetta (rima), e dobbiamo sottolineare anche che questo suo esordio cinematografico avviene attraverso un film dal budget davvero irrisorio. Cinque milioni di dollari. Che se io con tutti quei soldi potrei sistemarmi a vita, per fare un film sono davvero uno sputo. E lo so che ci sono registi che hanno iniziato ancora con meno, ma non facciamo i puntigliosi e godiamoci quel molto che Jones è riuscito a  fare con così poco, cosa certamente non da tutti. Perché questo Moon è un film che funziona, una pellicola che mostra tutto il poco budget a disposizione e, ironicamente, visto il risultato finale fa diventare la cosa un vanto. Ma è innanzitutto un omaggio al genere di fantascienza che andava alla maggiore quando il regista era molto più brufoloso, senza però perdersi nelle insidie nostalgiche e mantenendo comunque la sua verve. Moon, nonostante tutti gli intenti iniziali, prosegue dritto per la propria strada, senza perdersi in inutili accanimenti e formulando un discorso spietato e angosciante, pur lasciando una speranza, anche se non troppo urlata, verso la fine. Questo è innanzitutto un film che parla della solitudine, dell'identità, e di come le due cose spesso combacino. Nessun uomo è un'isola (o un satellite, visto lo scenario lunare) e se vogliamo andare avanti, dobbiamo per forza farlo attraverso le interazioni sociali. Ma c'è anche un intrigo alla base che lascia davvero esterrefatti, un'indagine che non si fa mai troppo prepotente ma che quando dà la propria risoluzione riesce a stupire, non tanto per l'artificio in sé, ma per la cosa che comporta al protagonista il tutto, rimarcando quel discorso di identità che ne sta alla base. A favorire questa sensazione di spaesamento, oltre a tre quarti delle scene girate all'interno della base lunare - e quelle esterne sono una vera gioia per gli occhi - sta il fatto che il doppio ruolo di Sam è interpretato da un Sam (Nomen Omen) Rockwell straordinario, uno che ti fa domandare come mai la gente lo conosca solo per la sua parte idiota in Iron man 2. L'attore fa il semi impossibile, gestisce un intero set da solo, aiutato anche da una controfigura e da appositi trucchi di montaggio, recitando ambo le parti, le medesime sfumature dello stesso personaggio che, pur rimanendo ancorato ai propri tic e alle proprie manie, finisce per trasformarsi in due identità distinte, come se dovesse dar corpo e voce a due personaggi specifici. Ma il trovarci da uno dei sue punti della barricata ci modifica, questo è indubbio, quindi è naturale che sia così. E poi c'è quel computerino, GERTY, ottimo rimando a 2001 - odissea nello spazio, nella versione originale doppiato da Kevin Spacey, che fa da ottima spalla. Moon alla fine è 'solo' questo, ma finisce per diventare tutto questo, un prodotto dignitosissimo e pregno di un desiderio di mettersi in gioco che rivela tutto un talento, magari ancora grezzo, ma pieno di voglia di raccontare. Senza particolari manierismi, senza storie intricate o parabole difficili da comprendere. Sam alla fine è tutti noi, un uomo perso in un mondo che ormai sente non appartenergli più e che guarda alla Terra come meta che gli è preclusa. Ma è un uomo che combatte per quello che vuole e quello che è giusto, perché la vita è breve e bisogna fare il possibile per sfruttarla al meglio.Piccola curiosità: il film esce esattamente quarant'anni dopo il disco Space oddity. Insomma, il buon Duncan è sempre più legato al suo babbo.


Voto: ★ ½
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