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Moon (di Duncan Jones, 2009)

Creato il 18 dicembre 2012 da Frank_romantico @Combinazione_C
Moon (di Duncan Jones, 2009)
Tra tutti i generi cinematografici credo che la fantascienza sia il più difficile. Il più complesso tanto dal punto di vista visivo quanto da quello concettuale. Forse è colpa della mia forma mentis ma, personalmente, credo la fantascienza abbia il compito di sorprendere, di trasportare lo spettatore in un altro mondo (un altro tempo), un altra dimensione. Non è facile, perché deve farlo nel rispetto della credibilità, per quanto sia incredibile quello che mostri. Se rifletto su quale sia il film di fantascienza che più mi ha sorpreso negli ultimi anni, quello che non mi aspettavo e invece... "wow", allora mi viene sicuramente in mente Moon, di Duncan Jones.Chi è Duncan Jones? Ecco, qui arriva la parte divertente: Duncan Jones è il figlio di David Bowie. Non vi fa ridere? Nemmeno a me, più che altro mi diverte pensare alla faccia che avranno fatto i grandi produttori hollywoodiani dopo aver visto questo film, che con tutti i soldi che hanno a disposizione non si potranno mai permettere.
Sam Bell è un impiegato della Lunar Industries e da quasi tre anni è sulla Luna a dirigere i lavori per l'estrazione di Elio 3, in seguito alla grave crisi energetica che ha colpito la terra. E' solo in compagnia di GERTY, un computer che lo aiuta nella gestione della piccola base spaziale e a poche settimane dal suo ritorno a casa dalla moglie e della figlia inizia ad avere gravi allucinazioni ma... se non fossero solo allucinazioni?
Moon è un film del 2009 ma sembra provenire da un passato imprecisato proiettato in un futuro neanche troppo lontano. Ma non è un film che sa di vecchio, come una frase del genere potrebbe far intendere, bensì una pellicola velata dall'aurea di classico. Pensateci: quasi tutti i film di fantascienza che oggi consideriamo classici, all'epoca della loro uscita sono stati rivoluzionari. Qualche nome? 2001: Odissea nello Spazio, su tutti. Moon rifiuta l'epoca digitale in cui vive e si rifà ad un cinema artigianale. Così non solo assume un fascino ormai dimenticato ma riduce anche i costi ai minimi. 5 milioni di dollari, che di solito non basterebbero neanche per gli effetti visivi. Ripeto, 5 milioni di dollari. Trovatemi un film così bello che costi così poco. Sì, perché Moon è bellissimo, si insinua come una lama sottopelle ma senza fare male, lasciando addosso allo spettatore una sensazione strana, sognante, dolorosa. Vedere il primo lungometraggio di Zowie Bowie è un'esperienza. Un po' come restare sulla luna per tre anni, da solo, fino ad avere le allucinazioni. 
Moon (di Duncan Jones, 2009)Ed è quello che succede al protagonista, interpretato da unSam Rockwell meraviglioso (e come sempre poco sfruttato, neanche abbia ancora bisogno di dimostrare quanto è bravo) che regge sulle proprie spalle l'intera pellicola grazie ad un'interpretazione che ha dell'incredibile. Tutto il resto sono ombre, voci e la crescente paranoia che piano piano prende possesso del protagonista sdoppiato in una sorta di antagonismo esistenziale. In questo Moon è teatrale, addirittura shakespeariano, un dramma tra le stelle con venature thriller. Ma non irrompe sull'iride con fracasso. Lo fa silenziosamente, in punta di piedi, con una delicatezza rara tanto nel genere quanto nel cinema contemporaneo. A aiutare attore e regia in questo compito c'è la fotografia di Gary Shaw, con il bianco, il grigio e l'azzurro predominanti ma, soprattutto, le musiche del solito Clint Mansell, abituato ad incantare con poche note sfruttando la musica del silenzio.E allora si rimane sospesi a guardare un film scritto da Jones su misura del protagonista, quasi come fosse una tuta spaziale, che attraverso l'uso di modellini e del lavoro di un cast tecnico rifiuta la pesantezza del digitale a favore dell'etereo bianco che lo circonda. 
Citazionista (il già citato 2001, Punto di Non Ritorno, Alien), delicato, drammatico senza mai diventare strappalacrime, crudele a modo suo e, soprattutto, veicolo di tematiche difficili come quella sulla clonazione e sull'identità. Un film che rimane lì, mentre scorrono i titoli di coda e si rimane a pensare a cosa sia stata questa esperienza. Ed è costato niente. Sì, la fantascienza è un genere difficile, ma se si azzecca la giusta quantità degli ingredienti, se viene scritta bene e diretta con coraggio e onestà, allora non serve altro, né i soldi né un cast da cifre astronomiche. Serve solo un'idea e il talento visivo per realizzarla. 
Moon (di Duncan Jones, 2009)

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