A me il film non è piaciuto. Le ragioni sono due, una diciamo «di pelle»: non mi ha emozionato, non mi ha divertito, non mi ha coinvolto. A tratti mi ha annoiato. La seconda, invece, è legata alla risposta a questa domanda: come ne esce la Chiesa? Secondo me ne esce benissimo. Certo, è vero che il ritratto che Moretti fa della gerarchia è ridicolo, che la Chiesa che ne esce fuori è una Chiesa fragile, una Chiesa in cui persino Dio può sbagliare indicando ai cardinali il nome di un uomo che si rifiuterà di fare il papa, una Chiesa fatta di incomprensibili e arcaici riti, retta da un manipolo di anziani signori impasticcati e un po’ rimbambiti. Ed è vero che un tale ritratto può essere devastante per Santa Romana Chiesa che sui riti, sui dogmi, sull’auctoritas della sua gerarchia si regge. Tutto vero. Valgano però questi due commenti, ascoltati all’uscita dalla proiezione (il giorno di Pasqua, in una sala cinematografica di Mazara del Vallo, provincia di Trapani e non al Nuovo Sacher di Roma). Una ragazza al telefono con un’amica: «È un film profondissimo, dice che anche il papa e i cardinali sono degli uomini come tutti gli altri, il papa va tra la gente. Troppo bello». Una giovane donna, «cattolica» come cattolica è la stragrande maggioranza degli italiani, per tradizione e per inerzia: «Il papa di Moretti è una figura bellissima, ha avuto l’umiltà di riconoscere che non ce la faceva, e i cardinali che giocano a pallavolo: magari lo facessero davvero!». Insomma ai credenti «medi», quelli che non possono non essere cattolici, questo film non suscita nessuna domanda, non provoca nessuna «crisi di coscienza», non suggerisce nessuna messa in discussione della Chiesa. Anzi li rafforza nella richiesta di una Chiesa più vicina alla gente, di una Chiesa madre accogliente e indulgente anziché arcigna matrigna.
Si dirà: ma un artista deve essere libero di esprimere quello che crede senza per forza preoccuparsi che il suo messaggio venga colto da tutti. Ma può un intellettuale scrollarsi di dosso la responsabilità di comunicare a tutti (o almeno di provarci)? A che servono gli intellettuali se continuano a sollazzarsi tra di loro, blandendo il proprio narcisismo nel cogliere sfumature che gli altri non colgono? È un tempo questo in cui ci si possano permettere sofisticati giochi intellettuali per screditare il potere? O non è stata qualla di Habemus Papam, un’occasione mancata per dire (a tutti!) che il re è nudo, per smascherare le imposture che reggono una istituzione arcaica, antidemocratica e oscurantista come la Chiesa di Roma?
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