«Io, in questo processo, non ho visto imputazioni né incolpazioni, ma soltanto gli scenari prospettati dalla Procura senza elementi d'accusa oggettivi e riscontrabili».
«Questo è un processo teorematico con poca o nessuna attenzione alle tesi contrarie. Io non parlerò di teoremi, ma dimostrerò con i fatti che non c'è stata nessuna ragione di Stato, nessun accordo».
Gli avvocati Enzo Musco e Basilio Milio sono intenzionati a smontare pezzo per pezzo l'inchiesta giudiziaria che ha portato sul banco degli imputati - per favoreggiamento aggravato di Cosa nostra - il generale Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu per i quali il pm Nino Di Matteo ha chiesto una condanna, rispettivamente, a 9 anni e 6 anni e sei mesi reclusione.
Il primo a parlare, concludendo le proprie dichiarazioni spontanee iniziate nell'udienza di venerdì scorso, è stato il generale Mori. Quindi è stato il turno dei difensori. Il prof. Musco ha contestato l'accusa che i due ex ufficiali del Ros non si sarebbero attivati, il 31 ottobre 1995, per la cattura del boss Bernardo Provenzano, latitante nelle campagne di Mezzojuso secondo quanto rivelato dal confidente Luigi Ilardo. A sostenerlo l'ex colonnello del Ros Michele Riccio, diventato nel processo il teste principale della Procura. Ma per il prof. Musco, «nessun elemento è emerso a conforto delle dichiarazioni di Riccio. Non è credibile, anzi è un funambolo della falsificazione e posso dimostrarlo citando quanto sostenuto, come testi, in quest'aula, dai vertici della Procura di Palermo e della Dia. Siamo sicuri che Provenzano si trovasse quel giorno a Mezzojuso? A dirlo è Riccio perché Ilardo, la sua fonte "Oriente" che lui solo gestiva in esclusività, è stato ucciso a Catania, il 10 maggio 1996, sotto casa. E questo dopo un lungo colloquio con Riccio, a cui, il 2 maggio precedente, i procuratori Giancarlo Caselli e Giovanni Tinebra avevano vietato di vederlo proprio per garantirne l'incolumità. Perché, allora, non si contesta a Riccio l'omicidio per omissione? ».
Per la cattura di Provenzano, testimonianze e documenti alla mano, il Ros e i carabinieri, al contrario di quanto sostiene la Procura, svolsero - secondo il difensore - le indagini necessarie. «Se non fu catturato - ha sottolineato il prof. Musco - è perché Provenzano disponeva di informazioni provenienti dall'interno della Procura, come dimostrano il processo e la sentenza alle cosiddette "talpe". E' questo che ha impedito per anni al Ros di catturarlo. In realtà questo processo è un paradosso: è la resa dei conti della contesa che nei primi anni '90 oppose il Ros alla Procura di Palermo per l'inchiesta su mafia e appalti. L'inchiesta voluta da Falcone e che Borsellino voleva proseguire dopo la strage di Capaci. L'inchiesta che lacerò la Procura di Palermo e di cui, però, fu chiesta l'archiviazione il 21 luglio 1992, due giorni dopo la strage di via D'Amelio e che fu archiviata il 14 agosto successivo». Insomma, per il prof. Musco, gli imputati vanno assolti «perché il fatto non sussiste, unica formula coerente con quanto emerso».
Per l'avvocato Milio «il processo della trattativa Stato-mafia in Corte d'Assise e quello per la mancata cattura di Provenzano sono gemelli, figli entrambi della "inquisitio generalis" alla base dell'indagine "Sistemi criminali", ormai archiviata, poco ortodossa se non abnorme rispetto ai canoni penalistici». L'inchiesta era affidata all'ex aggiunto Antonio Ingroia, che il difensore ieri ha bacchettato: «È assurdo che un magistrato scriva un libro intitolato "Io so", su un processo, questo, da lui stesso istruito, con uscite pubbliche ed esternazioni nel merito. Mi chiedo: se già nel 2003 l'allora procuratore aggiunto Pignatone escludeva categoricamente che Riccio gli avesse parlato di possibilità concrete di arrestare Provenzano, perché siamo ancora qui, dieci anni dopo, a celebrare un processo che non ha ragione di esistere? Solo Di Matteo e Ingroia hanno intravisto nell'operato di Mori e Obinu un comportamento criminale».
Il processo riprenderà il 24 giugno con la prosecuzione delle arringhe.