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Morte annunciata di un hacktivist

Da Lundici @lundici_it

E’ stata la fidanzata a trovare Aaron Swartz senza vita la mattina dell’11 Gennaio. Si è impiccato nella sua camera al settimo piano di un appartamento a Brooklyn, tre giorni dopo il suo ultimo tweet. La notizia ha fatto il giro del mondo e in poche ore Aaron è diventato un eroe anche per chi non lo conosceva. Ventisei anni compiuti da poco, attivista della rete, genio dei linguaggi informatici e una breve esistenza vissuta in nome della libertà di informazione online.

Morte annunciata di un hacktivist
E dalla rete per cui tanto si è battuto arrivano risposte diverse alle domande sul perchè di un gesto così estremo.  Passano poche ore dalla sua morte e i media hanno già un capro espiatorio. Puntano il dito contro l’Università numero uno in America, Il Massachusetts Institute of Technology.  Nel Luglio del 2011 Aaron è incriminato per avere diffuso gratuitamente più di 4 milioni di articoli JSTOR (una biblioteca digitale statunitense, NdR) scaricandoli grazie a un falso guest account. Ciascun articolo costa 14 dollari, nessun freedownload a meno che non si abbia un’affiliazione con un’Università pagante.

A onore del vero,  il 9 Gennaio JSTOR lancia il Register and Read Program, un sistema che apre al pubblico la possibilità di leggere tre articoli alla settimana senza pagare nulla a patto che ci si registri fornendo informazioni sui propri interessi di ricerca. Ma se JSTOR ha fatto cadere le accuse contro Aaron, lo stesso non si può dire del MIT.

La stima dei danni? 35 anni di carcere e fino a un milione di dollari in multe. Una condanna insopportabile, sproporzionata e illogica. Una condanna che consegna un’esistenza – ancor prima che finisca – agli annuali dell’eroismo.

Eppure non mancano le voci secondo cui le ragioni del suicidio vadano cercate non fuori ma dentro Aaron. In rete sono tante le testimonianze che raccontano la lotta contro gli alti e i bassi della depressione. E i costi di genialità e idealismo sono talvolta troppo alti.

Aaron inizia molto presto la sua vita itinerante. A otto anni ha due email account, a tredici è tra i finalisti dell’Ars Digital Prize con The

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Info Network (precursore di Wikipedia), a quattordici inventa la prima specifica RSS insieme ad altri informatici. Lascia il liceo e inizia a collaborare al progetto Crative Commons. E’ grazie ad Aaron, per esempio, che le foto caricate su Flickr si possono oggi  coprire con copyright. Si trasferisce in California, precisamente a Stanford, dove fonda Infogami e co-fonda il social network Reddit. Reddit è poi acquistata da Condé Nast, Aaron diventa ricco ma infelice. Inizia a lavorare con il personale di Wired ma odia la vita da ufficio, non la sopporta, scalpita, e all’inizio del 2007 se ne va. E’ in questa fase che inizia ad avere i primi pensieri suicidi. Con Simon Carstensen lancia Jottit. Nel 2010-2011 è un research fellow all’Edmond J. Safra Center for Ethics di Harvard. Andate sul sito del Centro e vi sarà chiesto di tenere qualche secondo di raccoglimento.

Aaron non era certo il prototipo del geek solitario, bensì lo si ricorderà per il suo inguaribile attivismo e per essersi messo le vesti del Robin Hood della rete. Combatte con successo contro l’approvazione dello Stop Online Privacy Act (SOPA),  è fondatore di Demand Progress –sito per il lancio di campagne a sostegno della libertà di informazione online –  trasferisce su Open Library la banca dati della biblioteca del Congresso Americano.

Già dopo i primi passi nel web, capì subito il  potenziale offerto da Internet.  Ne impara i linguaggi, li padroneggia e li scrive. Inizia a diffondere, a creare e a condividere conoscenza. Questo il fine, le sue competenze il mezzo.  Aaron ha saputo usare bene il suo dono, anche quando il costo è diventato molto alto.

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Ancor prima del caso JSTOR, insieme all’attivisita della rete Carl Malamud – ideatore del portale public.resources.org – all’età di 22 anni scrive un programma per scaricare 20 milioni di documenti da i Public Access to Court Electronic Records (PACER). Dieci centesimi per ogni pagina è il costo del “Public Access” previsto dalle United States Courts, per Aaron e Carl decisamente troppo. La lista per ritrovarsi l’FBI alle calcagna si prepara a diventare sempre più lunga.

Questo scenario ha ovviamente alimentato teorie cospirazioniste secondo le quali Aaron non si sarebbe ucciso da solo, ma lo avrebbero fatto fuori. Sapeva troppo ed era un personaggio sempre più scomodo.

Ma Aaron era senza dubbio malato. Lottava con la depressione e con disturbi psico-fisici. Soffriva di incredibili emicrania e dolori di stomaco, stava male, a tratti era triste di una tristezza incurabile. Ne parla apertamente nel suo blog, in un post che risale a quattro anni fa, dal titolo very sick. Ne parlano anche i parenti e gli amici, virtuali e non.

Come tanti geni cresciuti in fretta, sembra che Aaron combattesse contro la tensione di due forze opposte. Quella centrifuga lo spingeva verso la sua natura di hacker activsit, e quella centripeta tarpava – contro lo sua volontà – le ali della sua passione. Se l’impegno in rete, la battaglia per un web libero senza censure e copyrght  erano perseguiti senza la benchè minima traccia di desiderio di arricchimento personale, le morse della condanna e i profittatori delle sue doti erano un peso insopportabile.

Aaron non si è fermato, non ha ceduto e ha scelto disperato la libertà di farla finità così.

E se è vero che ad ogni azione segue una reazione, il 12 Gennaio si scatenano in rete centinaia di tributi per il nuovo eroe della rete. Si parla di pdftributes, ovvero di documenti, articoli accademici o libri messi a disposizione gratuitamente sulla rete. Un regalo dagli utenti agli utenti in nome dell’attivismo di Aaron.  Per esempio, sul sito di O’Reilly Media si può scaricare il libro Open Government, il cui venticinquesimo capitolo “When transparency is useful?” l’ha scritto proprio lui, Aaron.  Con un tweet si mette a disposizione del materiale e con un re-tweet lo si scarica gratis. E proprio la rete che condivide e scambia consente così di valicare i fastidiosi paywalls.

Esattamente quello per cui lottava Aaron e, come lui, centinaia di attivisti in rete.

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