Dove vivi? Io vivo a Morte dei Marmi. Anzi no, a Forte dei Marmi. Perché un paese non è morto se ancora ci vive qualcuno.
«Noi quando sono arrivati i russi non ce ne siamo mica accorti. Nessuno ci aveva detto dei nuovi ricchi post Unione Sovietica, dei magnati di gas e petrolio. Per noi i russi erano un popolo fiero e modesto, e insieme meschino e invidioso, tutto preso a portare avanti una causa comune che era quella di regalare il paradiso socialista al mondo intero oppure di affogare il pianeta sotto le bombe nucleari. E intanto, nel tempo libero, giocavano a scacchi e leggevano romanzi difficili e si sfondavano di vodka per digerire le cene a base di bambini. Ecco perché i primi russi al Forte sono arrivati senza che ce ne accorgessimo. Perché nessuno li considerava russi».
E allora buonanotte al Forte e alla vegetazione spontanea, alla casetta tipica, alle cartoline in bianco e nero, ai soggiorni di Montale e alla pioggia nel pineto. Perché uno tsunami è uno tsunami, e non c’è verso di fermarlo. Non importa se è fatto d’acqua, di lava o di zucchero filato, lui arriva e devasta tutto. E su Forte dei Marmi si è abbattuto uno tsunami di denaro.
Racconto – a metà tra saggistica e fiction – lucido, ironico e per certi versi spietato di come i “fortemarmini” hanno vissuto e vivono questo posto ormai invaso dai russi. Con l’occhio dell’osservatore disincantato, Genovesi descrive il luogo di villeggiatura per eccellenza, saldamente in mano, da sempre, ai turisti e non ai residenti, oggi più che mai. Si denuncia una sorta di svendita totale del paese, seppur con toni sorridenti, nostalgici eppure autocriti. Tra “generazione” (quella degli anni sessanta alla Sapore di Mare) e “degenerazione” si racconta dell’enorme contraddizione che contraddistingue questa località, ma non solo: essere capitale del turismo per esprimendo ritrosia all’apertura sino alle estreme conseguenze del piegarsi alle bizze di chi vi ha riversato fiumi di denaro.