>Morte dell’intellettuale avvento capitalismo: cultura feticcio." />>Morte dell’intellettuale e avvento del capitalismo: la cultura del feticcio." />>Morte dell’intellettuale e avvento del capitalismo: la cultura del feticcio." />>Morte dell’intellettuale e avvento del capitalismo: la cultura del feticcio." />>Morte dell’intellettuale e avvento del capitalismo: la cultura del feticcio." title=">>Morte dell’intellettuale e avvento del capitalismo: la cultura del feticcio." />
Quando il fascismo è alle soglie del potere, la cultura italiana, ad eccezione di alcune singolari personalità come Gobetti e Gramsci, non riesce ad esprimere una linea operativa; il momento storico controverso impone agli intellettuali le proprie incertezze e le proprie incongruenze, di fronte alle quali o si rimane perplessi, o si tenta di individuare una linea d’azione.
Per Prezzolini la soluzione è estraniarsi in tutto per tutto dalla società, creare una sorta di ceto intellettuale sovra sociale, nel quale confluiscano dissidenti, pensatori, artisti. In totale atteggiamento di scetticismo nei confronti dell’evolversi della storia e soprattutto in totale sfiducia nei confronti della società intesa nel senso generale di popolo, privo di volontà e spirito critico, egli propone una alternativa: “la società degli apoti” (dal greco apoteo “non bevo”, cioè coloro a cui non gliela si da a bere). In questa società superiore e alternativa, risiede una affermazione di superiorità intellettuale, nella quale non c’è propriamente disprezzo per la massa, quanto una critica mossa da razionalità e lucidità: non propone l’isolamento per sdegno, ma per giovare alla società.
“Non è niente di male per la società se un piccolo gruppo si apparta, per guardare e giudicare; e non pretende reggere o guidare se non nel proprio dominio, che è nello spirito. (…) il momento che si traversa è talmente credulo, fanatico, partigiano, che un fermento di critica, un elemento di pensiero, un nucleo di gente che guardi sopra gli interessi, non può fare che del bene. Non vediamo tanti dei migliori accecati? Oggi tutto è accettato dalle folle: il documento falso, la leggenda grossolana, la superstizione primitiva vengono ricevute senza esame, a occhi chiusi(…).”
Nell’incertezza dell’agire, c’è la enfatizzazione del regno dello spirito,del demiurgo della cultura che sovrasta le folle; la rivendicazione dell’importanza e dell’utilità di una elite illuminata che rifletta e che produca, lontano dalla massa. Esternate queste convinzioni in una lettera destinata a Gobetti, Prezzolini riceve in risposta la rivendicazione della necessità della lotta; Gobetti contrappone la “compagnia della morte” alla società degli apoti, contrappone l’attivismo, alla poco incisiva separazione del ceto intellettuale. Le opposte posizioni di Prezzolini e Gobetti, non sono che espressione di un ceto intellettuale vivo, seppur incoerente, seppur diviso, seppur sull’orlo della crisi. E’ una dialettica che tenta, proponendo varie soluzioni, di individuare in qualche modo una risoluzione. Il ruolo dell’intellettuale, militante, sdegnoso, esiliato, escluso che sia, ancora esiste, ed ancora è riconosciuto come tale sia dall’erudito che si avvicina alle sue opere, sia dall’ignorante che ne ammira l’ingegno.
Al contrario, la nostra epoca, o meglio alcuni paesi del nostro tempo, soffrono della mancanza di un ceto intellettuale in quanto tale riconosciuto, la mancanza dell’autorevolezza della letteratura, dell’arte, della cultura. Se prima era chi possedeva gli adeguati strumenti ad avvicinarsi all’opera arte, ora è l’opera d’arte ad avvicinarsi alla massa. Il capitalismo ha invertito questo processo a partire dagli anni cinquanta, quando si è innescato il processo secondo il quale il lettore non è più un erudito ma un cliente. E’ quest’ultimo, e non il genio artistico, a dettare la produzione –intensificata- di oggetti d’arte (libri o opere) che produce solo feticci, ben lontani dal fornire la vera fruizione artistica. Non interessa il contenuto, la qualità, quanto il concetto di possesso di un qualcosa che è diventato mero status symbol. Il sistema a lungo andare, ha risucchiato col suo meccanismo perverso, anche tutto ciò che nasceva, come le avanguardie ad esempio, in opposizione ad esso; tutto finisce per ruotare attorno ad un unico polo: le cose possono essere conformi ad esso, o difformi; non esiste una terza via, la via del nuovo, la via del “fuori” dal sistema e non del “diverso”. Che la soluzione sia forse nel regresso, in una nuova società degli apoti? O forse è giusto che l’arte e l’artista si confondano nel tumulto della massa?
di Martina Turano - fonte: L’Intellettuale Dissidente
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