Magazine Diario personale

Morte di un uomo felice

Creato il 08 gennaio 2015 da Povna @povna

Succedono molte cose e – a parte il ritorno a scuola (che le ha regalato degli squarci di splendore tutto il giorno) – nessuna bella, a livello mondiale (ovviamente), ma anche amichevole e privato. La ‘povna non ha particolarmente voglia di parlarne: sui fatti pubblici, perché ci sono delle volte nelle quali tacere è doveroso, prima di lasciarsi a dire una serie infinita di banalità e/o sciocchezze; per quanto riguarda il privato perché o non sono fatti solo suoi, o per scaramanzia.
Si consola (si fa per dire) proponendo il primo libro dell’anno – un romanzo per certi versi scoordinato, ma molto notevole. Che forse si inserisce, per traverso, persino nel dibattito in corso sulle ragioni del terrore.

Morte di un uomo felice di Giorgio Fontana è un romanzo per molti versi imperfetto: per certe lungaggini descrittive che rallentano lo svolgersi narrativo a metà trama – che è poi è costretta a una brusca accelerazione nella seconda parte; perché la scelta del doppio piano temporale a focalizzazione doppia, pur gestita in maniera tecnicamente impeccabile, cozza ‘ad sensum’ con una storia tutta incentrata sulla figura del magistrato Colnaghi (che dunque si trova a essere quasi, per quel che riguarda la storia partigiana di suo padre, narratore inattendibile – e l’artificio è troppo poco pronunciato per affermarsi come voluto, e troppo voluto per essere solo casuale, anche); perché l’elemento milanese e lombardo, fondamentale (e raccontato con un amore geograficamente meticoloso), poteva essere sviluppato ulteriormente; perché hanno sviluppo, ma non vera tridimensionalità, le storie e i personaggi secondari (il rapporto con la moglie e col figlio; con i colleghi magistrati; con Doni; con l’umanità del bar); perché – a livello tematico – il cattolicesimo sociale di questo magistrato è qualcosa di talmente insolito, nella descrizione, da essere disturbante – ma, di nuovo, in una maniera talmente volontaria e intelligente che avrebbe meritato approfondimento ulteriore.
Eppure, nonostante tutti questi “nonostante” (ai quali si potrebbe aggiungere l’incapacità di scegliere tra i generi), Morte di un uomo felice è un romanzo felicemente (appunto) imperfetto, a partire dal titolo, ma pieno di talento e intelligenza; di capacità di sguardo e di originalità nel riannodare e raccontare i fili di una trama, quella trama che, se ricomposta, potrebbe costituire asse portante della storia sana e repubblicana dell’Italia. La fine degli anni di piombo, l’eredità della Resistenza, la contrapposizione non solo neri/rossi, ma cattolici e comunisti con tutto quello che ha portato il ’48 – tutti questi temi sono raccontati da chi queste storie le ha sentite narrare ma non le ha viste (se non di sfuggite, a strascichi degli anni Ottanta), eppure, scrivendo e riannodando, ha saputo mescolare studio e informazione puntuali e intelligenti (denunciati non a caso in calce), racconti, impressioni di una generazione che ha solo ereditato. Ce ne vorrebbero di più, di romanzi così, che rivendichino il diritto del racconto liberato dalla cronaca, dall’ossessione autoptica, dalla memorialistica. Per intanto questo c’è, ed ha vinto pure un premio importante. Ed è una buona notizia per la letteratura della provincia Italia.

(Ovviamente, pur con un po’ di anticipo, è tempo di venerdì del libro).


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