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Mostra monet a verona: dal seicento all’impressionismo

Creato il 08 dicembre 2013 da Postpopuli @PostPopuli

di Nicola Pucci

Monsieur Claude Monet, il papà dell’impressionismo. Provo un sentimento di riverenza all’atto di parlar di lui, maestro del pennello che avviò la parabola più luminosa dell’arte del dipinto. Ma anche tanta gratitudine, perchè di gemme ne ha lasciate in dote veramente tante, l’uomo che venne al mondo a Parigi, sposò Camille e si trasferì a Trouville, alloggiò a Londra, passò da Bordighera dove immortalò i giardini Moreno, si fermò nel paradiso terrestre di Giverny.

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Il Ponte di Charing Cross (Monet) – da artdreamguide.com

Siamo a Verona, nel maestoso scenario del Palazzo della Gran Guardia che trova dimora proprio in Piazza Brà. L’orologio che annuncia il quadrilatero più conosciuto della città cara a Shakespeare e che fu teatro dei tormenti d’amore di Romeo e Giulietta ha da poco battuto le ore 9 del mattino ed è il momento migliore per presentarmi all’appuntamento con la mostra “Verso Monet, storia del paesaggio dal Seicento al Novecento” – dal 26 ottobre 2013 al 9 febbraio 2014 -, come sempre e più di sempre allestita impeccabilmente da Linea d’ombra. Scansiamo così le comitive assatanate che arriveranno da lì a qualche ora e le chiassose scolaresche che distrattamente si aggireranno per le sale espositive. Inizia il viaggio, scoperta ed emozioni allo stesso tempo, da percorrere in cinque tappe che documentano l’ingresso della natura, come elemento fondamentale, nell’opera dei pittori più celebri.

1. IL SEICENTO. IL VERO E IL FALSO DELLA NATURA. La mostra prende avvio con alcune tele preziose che documentano proprio il passaggio della natura da elemento prettamente di contorno a componente centrale del dipinto. Annibale Carracci, e siamo a fine Cinquecento, con il suo meraviglioso “San Giovanni Battista” è l’antesignano di questo momento cruciale e anticipa quel che saranno in grado di produrre gli olandesi, di cui qui abbiamo la stupefacente “Valle del fiume con gruppo di case ” di Seghers.

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L’Isola di San Giorgio Maggiore (Canaletto) – da athenaenoctua2013.blogspot.com

2. IL SETTECENTO. L’ETA’ DELLA VEDUTA. Dalla natura che inizia ad apparire dominante all’età d’oro dei maestosi dipinti di vedutisti d’eccezione il passo è breve ed ecco che l’occhio appassionato del vostro scriba incontra uno dei suoi prediletti, Giovanni Antonio Canal, meglio conosciuto come il Canaletto. “L’isola di San Giorgio Maggiore vista dal Bacino di San Marco“, così come “Bacino di San Marco“, sono in prestito dal Museum of Fine Arts di Boston – lo stesso da cui provenne il Gauguin di “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?“, di Genova 2012 – e lasciano meravigliati per le dimensioni nonchè per la perfetta riproduzione della vita dell’epoca. Passando per Van Wittel scopro Bellotto e Guardi e l’inerzia della mostra, lo ammetto, volge verso l’alto.

3. ROMANTICISMI E REALISMI. Il secolo XIX si apre all’insegna del romanticismo prodotto dal pennello sensibile di Friedrich, Turner e Constable, che qui abbiamo in successione con alcuni prodigi di indubbio impatto. In “Mare al chiaro di luna” c’è tutta l’intensità di Casper Friedrich e del suo saper confondere l’energia della luce con l’intimità più romantica, ed il risultato, che rasenta la perfezione, è sotto gli occhi di tutti. Dall’Inghilterra ci spostiamo in Francia e Corot qualche metro oltre segna il confine che conduce al realismo europeo, espresso a piene mani nel suggestivo “Ville d’Avray“. Ritrovo gli americani e i loro splendidi paesaggi sconfinati, “Il lago Tahoe, California” tra questi, di Beierstadt, ed il tempo che scorre indica che l’epicentro che sto inseguendo è dietro l’angolo, magari annunciato da Millot con “Fattoria a Vauville, Normandia” che se non è plein-air poco ci manca.

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Sentiero che curva (Cezanne) – arsetfuror.com

4. L’IMPRESSIONISMO E IL PAESAGGIO. Ci siamo, è giunta l’ora di lasciar la scena al momento che segna la storia dell’arte nel senso stretto della parola – magari questa sarà una forzatura dello scriba -: 25 aprile 1874, quando un articolo di giornale irride un gruppo di pittori, che avevano esposto dieci giorni prima da indipendenti nel locale del fotografo Nadar perchè rifiutati dal “Salon“, chiamandoli impressionisti. Ed allora ecco salire alla ribalta Pissarro, definito ingenerosamente “l’ortolano impressionista: specialità verze”, col suo tocco esente da pecche, “La Varenne di Saint-Hilaire“; Renoir con l’inconfondibile delicatezza nel sovrapporre i colori, “La Senna a Chatou“; Cezanne che impara l’arte e la mette da parte, “Sentiero che curva“; Sisley armonioso e raffinato, “Frutteto a primavera vicino a By“; Manet che studia gli esterni ad Argenteuil, “Barche ad Argenteuil“; Degas simbolico e non solo ballerine, “Case ai piedi di una scogliera“; il disagio vorticoso che ispira lo smisurato estro di Van Gogh, “Uliveto“; l’essenza esotica di Gauguin, “Paesaggio tahitiano. I maiali neri“.

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Uliveto (Van Gogh) – da aletheia.it

5. MONET E LA NATURA NUOVA. E Monet vi chiederete? Il capostipite che proprio con il suo “Impression au soleil levant” scatenò l’audacia artistica che abbiamo la fortuna di ammirare tra queste sale veronesi? Benvenuto monsieur Claude, per ultimo ma non certo ultimo nella scala dei valori. E’ il punto di arrivo dell’evoluzione in pittura della natura, che qui rigetta il plein-air impressionista per trasferirsi e trovar culla nelle segrete stanze dell’anima. La sala che chiude l’esposizione è una sorta di curriculum vitae di Monet, e non nego che brividi di piacere avvolgono il mio corpo in una stretta emotiva dalla quale è impossibile sottrarsi. “Casa del pescatore a Varengeville” è una finestra che si apre sul senso di infinito imposto dal mare; “Neve ad Argenteuil” è tra i miei preferiti per la capacità dell’artista di tradurre su tela il decadimento della stagione col passaggio dalla luce all’inverno, a cui si contrappone subito dopo “Prugni in fiore a Vetheuil” col ritorno della primavera; il “Campo di papaveri vicino a Giverny” e le “Ninfee“, che qui abbiamo in quattro diverse versioni, sono l’apogeo del Monet che proprio a Giverny fece base e dipinse senza sosta. E poi… e poi voglio chiudere in bellezza, come se non ne avessi mai abbstanza di questi capolavori che hanno la forza delle sirene di Ulisse ma non fanno male, ed allora ecco il Monet che dalla sua stanza al sesto piano del Savoy Hotel di Londra vede al mattino i due ponti, quello ferroviario di Charing Cross, e quello stradale di Waterloo, che sfumano nella nebbia. Già, proprio come un’impressione.

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