La mostra inizia con una delle prime cancellature, risalente al 1969. Riguarda un volume del dizionario enciclopedico Utet. Isgrò vi ha cancellato le righe con un pennarello nero, lasciando una o due parole per ogni pagina.
Trattati allo stesso modo sono anche alcuni volumi dell’enciclopedia Treccani, lunghe strisce di telex e due mappe geografiche, nelle quali i nomi delle diverse località, fiumi, monti, regioni sono pure celati da un tratto di pennarello, lasciandone solo qualcuno.
Isgrò non cancella per censurare: il suo non è un gesto costruttivo, ma creativo. La cancellatura serve a rivelare la parola non cancellata, a metterla in contatto con altre parole lontane nel testo, sprigionando cosi nuovi significati.
L’artista evolve lo stesso concetto in quadri relativi a personaggi storici, le cui immagini sono pure cancellate, e vi è solo una frase a indicare un riferimento storico. In mostra è presentata un’opera riguardante Trotskij, della serie “Storie rosse”, riferite a protagonisti delle rivoluzioni novecentesche e sulle quali le cancellature sono in rosso, classico colore rivoluzionario.
“Io – ha affermato Isgrò – non ingrandisco ciò che di per sé è fin troppo vistoso e dunque non ha bisogno di ingrandimenti ulteriori. Io, più modestamente, ingrandisco l’invisibile”.
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