Non è un caso, non è una scoperta, non è irrazionale considerare ormai che l’orrenda falange di pre-pubescenti e adulti pregiudicati che affollano la movida serale e del fine settimana a Napoli, abbia eretto un vero e proprio altare alla fuga dalla realtà, e dalla sofferenza, a suon di droga e d’alcol.
Sono anni che le arterie principali del centro storico napoletano e dello shopping popolare sono inondate dai fumi dell’hascisc, della marijuana, dell’alcol a dispetto degli editti e delle più fondamentali regole di quieto vivere e del codice amministrativo, civile e penale.
Una recente indagine de Il Mattino, il quale ha raccolto dati disponibili della Questura di Napoli e dei Comandi provinciali delle forze dell’ordine, ha denunciato il sintomo di una criminalità dilagante e una pericolosa inosservanza della legge durante le attività ricreative del Vomero, del Centro storico, della Riviera, della Napoli piccolo-borghese e di quella proletaria e migrante delle periferie.
Sembrerebbe che a Napoli una incredibile accozzaglia di pregiudicati e giovani adepti della microcriminalità sia continuamente da filtrare, controllare, arginare da parte delle forze dell’ordine, le quali, in base alle ultime stime, negli ultimi giorni hanno effettuato 114 arresti, accolto 641 denunce, 504 scooter sequestrati, 926 multe per violazione del codice stradale, 58 patenti sequestrate. A Napoli sembrerebbe che il popolo è più popolo che altrove, e questo lo diceva già Montesquieu.
Sono state predisposte per il fenomeno misure speciali di sicurezza, che vanno dalla, per certi versi pericolosa, proliferazione dei circuiti di video-sorveglianza, ai posti di blocco, alle perquisizioni e agli interventi lampo, a piccole squadre specifiche e specializzate nell’individuazione e nell’intervento delle sospette attività criminali.
Napoli dal giovedì sera alla domenica sera si sta blindando, e ormai non solo transenne ma interi cordoni sanitari l’avvolgono in una stretta non indifferente.
Ciò che ci preoccupa è ancora una volta non l’esplosione di questi fenomeni, ma il processo repentino di plebeizzazione e di massificazione che sta vivendo nell’attualità la nostra città. Ciò che al primo impatto può sembrare un problema di sicurezza e controllo, è invece l’esasperazione di una vera e propria malattia del tessuto sociale cittadino. Lo stato di abbandono e di degenerazione politica e culturale della città sono manifestazioni sintomatiche di un malessere, di una sofferenza profonda delle masse popolari. Le cornici e le griglie che una volta organizzavano e irregimentavano in appartenenze definite le genti, sono ora slabbrate, in crisi, e questo loro stato di deperimento sono la motivazione principale del fenomeno criminale. Quando le principali appartenenze declinano, sembra che la barbarie avanza e la plebe diviene regina, ma questo perché non esistono più, o in parte hanno perso il loro lustro, modelli di riferimento e di riconoscimento.
La Napoli della droga, la Napoli dei cocci rotti delle bottiglie di vino, la Napoli dei figli di papà che si ubriacano fino a vomitare nella zona degli studi universitari o della Vomero alta, le decine di accoltellamenti, di omicidi, la valanga di rapine o di atti vandalici ai danni dei monumenti e dei simboli della città, l’esplosione dell’aristocratica criminalità dei colletti bianchi, le delegittimazioni dell’autorità – dai vigili urbani pestati ai sindaci linciati dai disoccupati -, l’inconsistenza delle proposte della crema intellettuale cittadina, sono tutti sintomi di un degrado delle masse metropolitane nazionali, non solo napoletane.
Le forze dell’ordine bastano, o sono i moduli preposti, per la risoluzione di una questione sociale? Fino a quando si continuerà ad utilizzare il manganello dove occorre un’incisione clinica?
Napoli ha bisogno di ritornare ad imparare ad ascoltare, e rivolgersi, ai suoi padri. Queste masse di un “paradiso abitato da diavoli” necessitano sì di una nuova autorità, ma che sia non un nuovo pastore di pecore, o di un duce primordiale per ultras da stadi; i napoletani necessitano finalmente di un’identità propria, di un’appartenenza in grado di fornirgli una volontà politica capace di renderli liberi ed emancipati.
Napoli, come del resto l’Italia e l’Europa, soffre di una melanconia collettiva ed esige di lottare, organizzata, per una speranza, una progettualità, una missione storica e politica in un mondo globalizzato.