2011: Mr Beaver di Jodie Foster
Molte aspettative per un film (presentato alla 64esima edizione del Festival di Cannes fuori concorso) che si mostrava interessante per più di un motivo:
il ritorno sullo schermo -dopo tanto tempo- di un divo molto «chiacchierato», la presenza di un’illustre attrice qui in veste anche di regista, la trattazione di un tema -quello della depressione- drammaticamente attuale…
La critica ha rivolto al lavoro (accolto piuttosto tiepidamente dal pubblico americano) giudizi generalmente positivi, lodandone soprattutto il coraggio nell’aver affrontato un argomento scomodo e problematico senza ricorrere a pietismi e retoriche (“una commedia umanista amara di sensibilità non comune” ha scritto Repubblica).
Mr Beaver sicuramente non ricatta lo spettatore con facili espedienti e vanno riconosciute alla regia e alla sceneggiatura asciuttezza ed equilibrio ma va anche detto che il film non può definirsi un’opera riuscita.
Fastidiosa risulta l’eccessiva importanza data al rapporto tra il figlio del protagonista e la compagna di scuola: fastidiosa perché non necessaria, incongruente con la trama principale di cui spezza l’unitarietà (fastidiosa perché netta è l’impressione che il suo inserimento sia il frutto di un calcolato lavoro a tavolino tendente a strizzare l’occhio al pubblico più giovanile e convincerlo a vedere il film). Fastidioso il finale, eccessivamente «sorridente» (l’happy end così tipico di tanto cinema hollywoodiano è qualcosa di cui evidentemente gli Americani non possono fare facilmente a meno ma agli occhi di noi Europei non può non risultare ingenuo e banale).
La pecca maggiore di Mr Beaver è però costituita dalla prestazione di Mel Gibson.
Jodie Foster (che come attrice qui si mette umilmente un po’ da parte) offre una mirabile prova di amicizia offrendogli un personaggio che farebbe gola a qualsiasi attore ma non ne è ripagata in termini di prestazione. Un ruolo particolarmente difficile e dalle mille sfaccettature, complesso e problematico, che Gibson non dà l’impressione di saper affrontare compiutamente. Statico e monocorde, con la stessa espressione e atteggiamenti dall’inizio alla fine, non esprime le inquietudini, i trasformismi, le evoluzioni di un personaggio che nelle mani di un Al Pacino o di un Tom Hanks o di un Robin Williams… avrebbe fatto scintille, ci avrebbe massimamente coinvolto sconvolgendoci e commuovendoci, il che qui semplicemente non accade.
Assistiamo a un dramma senza sentirci compartecipi, un dramma elegantemente confezionato ma essenzialmente privo di «cuore».
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