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Ma non riesco a dirti quanto ti sono grata per la nostra piccola infinità. Mi hai regalato un per sempre dentro un numero finito, e di questo ti sono eternamente grata. La recensione del film Se una cosa sai già come finisce, magari ci rimani meno male. Di solito sì. O almeno così si dice. Ma ci sono quelle storie che, per copione, per contratto, devono lasciarti di sasso, in briciole, ogni volta. Quello è il loro segreto fascino. Senza tristezza, in fondo, che sarebbe di loro. Colpa delle stellefa parte di quel filone lì. Film strappalacrime, drammoni sentimentali: come vi pare. Si vede. Si sa. Ora lo sanno tutti, perché tutto il mondo, tipo, ha letto il romanzo e sa cosa aspettarsi. Io lo sapevo da prima, e lo so da circa due anni. Era il 2012 quando ho preso in mano il romanzo e l'ho letto. Aspettandomi una mezza tragedia che, alla fine, con quella metà più o meno colmata, si era manifestata. Si parla di ragazzini, si parla di cancro, si parla di commozione assicurata nel prezzo. Invece no. John Green – l'autore a cui, prossimamente, erigerò un piccolo altarino in libreria – non era arrivato a quel punto. Okay che io non sono un tipo da lacrima facile. Però datemi vecchietti, cagnolini, amori impossibili e, be', sarò perdutamente vostro. Qui non c'erano i vecchieti, nemmeno i cagnolini: solo un gran, bell'amore impossibile. Uno di quelli che piacciono a me. Perché non ci sono rose senza spine, non ci sono amori con l'happy ending e blablabla. Una volta, mi hanno detto che io sono un tipo malinconico. In realtà, mi piace semplicemente deprimermi, di tanto in tanto. E a voi? Io ci sguazzo, come se le mie sfighe quotidiane non fossero sufficienti. Comunque, dicevo che Green non era stato il solito Green. E che, con quella storia lì, ruffianotta e decisamente ben scritta, non mi aveva convinto al cento per cento. Lui era altro, lui sapeva fare di più. Avevo trovato fastidiosa l'ironia di alcuni dialoghi, irrealistica. Che volete farci: io sono per gli amori sfigatelli più tradizionali, un tipo alla Sparks-sfiga non alla Green-sfiga. Ho seguito gli sviluppi del film da lontano. Sbirciato il trailer, controllato l'uscita italiana. In realtà, quel trailer l'avevo molto più che sbirciato. Lo conoscevo a memoria. E avevo messo la colonna sonora – Birdy, Ed Sheeran, One Republic – sull'mp3. Altri libri mi avevano fatto fare pace con John Green. Il semplice trailer mi aveva fatto far pace, invece, con Colpa delle stelle. Da intiepidito fan del libro, avevo aspettative non intiepidite. Alla fine ho ceduto. Alla fine l'ho visto e l'ho trovato perfetto. Ho dimenticato in due ore i motivi per cui avevo trovato vagamente fastidioso il romanzo. Dio, come avevo fatto a trovare fastidiosi Augustus Waters e Hazel Grace Lancaster? Ma siamo sicuri che erano come quei due baldi giovani che, nei casting, non mi piacevano granché? Mi dicono di sì. Sono sicuro. Cinici, chiacchieroni, brillanti, malatissimi, proprio come gli originali. Shailene Woodley e Ansel Elgort funzionano a meraviglia e sono bravi davvero. Belli, lì, su quell'altalena. In quel viaggio ad Amsterdam. A una cena con indosso gli abiti dei loro potenziali funerali. Non è un mistero quanto lei poco mi piaccia. Invece, anche grazie alla visione in lingua originale, l'ho trovata intensa, al centro di momenti che, sulla mia pellaccia dura, hanno fatto affiorare i brividi. In estate.
Quel pianto, e quello sguardo prima di quel pianto.
Rivelazione lui: vent'anni, faccia pulita, un contagioso sorrisone tutto denti. Sono bellissimi, giovani, pieni di vita e cellule cancerose. Diversi tra loro, ma identici a come li ricordavo: lei pensa troppo e legge libri ammorbanti, lui gioca troppo ai videogame e non legge libri che non contemplino zombie, apocalissi zombie, isole zombie. Avevo notato in Stuck in love, consigliatissimo, la sensibilità del regista, Josh Boone. Mentre, all'epoca, Green l'aveva un po' fatto, deludermi, dico, Boone no. Mai. Col tempo che ha disposizione fa frullati di sentimenti coinvolgenti, personaggi irresistibili, location sparse. Emerge il dolore e la forza delle famiglie, un'infanzia bucherellata in flashback saggiamente distribuiti, la simpatia e la brutalità del personaggio del mitico Isaac, un Nat Wolff con poche scene, ma esilarante e tormentato. Uno spera sempre in un intoppo nella sceneggiatura. E' cambiato qualche dialogo, perché non l'epilogo? Quei momentacci arrivano lo stesso. E li ricordavo con una smorfia anch'io che, verso Green – da allora in poi – ho nutrito silenzioso risentimento. La parte del romanzo che più tocca, l'aggravarsi di una situazione già precaria, l'irruzione del dramma in mezzo a tanti sorrisi e a discorsi dal sapore geek, è sfumata; giusto accennata. Ho apprezzato. Sarebbe stato troppo. E' già abbastanza tuttocosì. In linea con il libro, preciso e rispettoso, mi ha emozionato nei momenti in cui il libro non l'ha fatto. Arrivato, almeno nel mio caso, lì dove il libro non era arrivato. Fatto pienamente breccia. Che dico, una galleria: un traforo. Le gag in compagnia di un isterico Isaac e la dichiarazione d'amore, in un ristorante che vende risotto alle carote rosse e stelle in bottiglia, erano importanti e lo restano. L'allegra e malinconica festa di morte nel letterale cuore di Gesù, capirete guardando, ti fa in frantumi e ti ricorda lo splendore di certe frasi, che sulle labbra di due attori che si comunicano amore – e okay infiniti – con gli occhi sono ancora più dirette. Meno spazio per la pena e più spazio, invece, per un viaggio dei desideri ad Amsterdam. Dafoe è un irritante canaglia che puzza di liquore e segreti sussurrati solo a sé stesso; la città delle droghe libere, i musei famosi, la storia a ogni passo è fotografata nel miglior modo che c'è. Una scena che non mi era "arrivata", la visita nella casa di Anne Frank. Nel film l'ho sentita tutta, percepita, soppesata come per la prima volta: la scalata di Hazel per scale ripide, il suo calvario di diciassettenne metaforico e non, i passaggi del diario di Anna che sembravano parlare di loro due, dell'aldilà e della felicità da cogliere senza temere granate successive. Puro magone. Infine, quel bacio, venudo dopo il ti amo. Strano percorso... Colpa delle stelle è il film lacrima d'oro per il nerd d'oro – lo mostrano le maratone sul divano di Buffy, le occhiate ad Alien, lo sposalizio tra adolescente e joystick. Divertente. Dolce. Umano. Tristissimo e così poco triste. Un brindisi alla vita, dal film tutto cancro che farà di te uno spettatore tutto cuore.
Okay? (8)
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