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Mr. Ciak: The Interview, Il ragazzo invisibile, Paddington, Housebound, Ouija, Son of a gun
Creato il 17 gennaio 2015 da Mik_94Sono un tradizionalista che i cartoni dell'ultimo periodo non li apprezza troppo. Non amo, in particolare, i cartoni in cui ci sono animali parlanti. Pensavo che Paddington facesse parte della categoria, lo avevo evitato. Non sapevo, invece, fosse un film a tutti gli effetti e, soprattutto, che fosse un film per famiglie attuale e significativo. Scropritelo come l'ho scoperto io. Sotto la neve e le luci del Big Ben, mentre vaga in cerca di una casa: venuto dal “misterioso Perù” dopo la morte dello zio, con la promessa lontana di un posto in cui stare e con la speranza dei nuovi inizi. C'è chi lo vuole ammaestrare, chi lo ritiene la causa di tutti i mali, chi vorrebbe rispedirlo al mittente. Ma, a un certo punto, una strana tribù borghese lo vede in stazione e decide di ospitarlo. La famiglia Brown non sa che Paddington è un disastro con i servizi igienici, che usa lo spazzolino per pulirsi le orecchie, che parla poco la loro lingua. E, quando viene a patto con i suoi pasticci e la sua diversità, impara ad amarlo anche di più. Paddington si è rivelato un buon modo per salutare l'anno vecchio e dire addio alle feste. Dolce, discreto, divertente. Una commedia inglese in cui, accanto al tenero orso animato in maniera strabiliante, ci sono attori di classe. La materna Sally Hawkins, una irriconoscibile ed esilarante Julie Waters, Jim Broadbent presissimo dal suo cameo e una superba Nicole Kidman dal caschetto biondo. Crudelia De Mon con un look nuovo. Paddington è una fiaba che, un po' a film e un po' a cartoni, ti racconta a modo suo, l'immigrazione e le opere buone. Sarebbe uno dei film Disney più interessanti degli ultimi tempi, se solo non fosse prodotto dalla Fox e, mica poco, dagli autori di Harry Potter. (7)
La vita di Kylie fa schifo. Prima gli sbirri l'hanno messa in manette. Poi, siccome non c'è mai fine al peggio, la sua punizione non è stata la galera, ma un soggiorno forzato. Agli arresti domiciliari con i suoi. Già la convinvenza è terrificante, ma se ci si mettono una presunta casa infestata potrebbe trasformarsi in un orrore. Girato in Nuova Zelanda, ma senza hobbit e bigiotteria da gettare in pozzi infuocati da ometti con le gambine corte, è un vero e proprio minestrone di idee. Un prodotto che bada al risparmio – e al riciclo – ma non te ne accorgi mai. Cupo, strano, ti destabilizza per la luce che manca spesso, per le frecciate che volano tra mamme e figlie, per un umorismo tutt'altro che sottile che, a modo suo, ti dipinge in faccia un sorriso. Quando cogli una citazione buttata un po' lì, quando quel passo ti ricorda qualcos'altro, quando ti diverti e basta. Housebound è una foto di famiglia con un ospite a sorpresa. Una commedia grottesca ma molto piacevole, che non fa troppa paura, non ti inonda con ettolitri di sangue, eppure apprezzi pienamente, perché è diretta bene e messa su ancora meglio. Un'inquietante struttura di lego con i vicini folli di La finestra sul cortile, i centimetri quadrati che ti limitano di Perimetro di paura, i muri che parlano di La casa nera di Wes Craven e perfino – pensate un po' – coi cattivoni di Mamma ho perso l'aereo. E basta, non è perfetto, ma fa simpatia. Con una Morgana O'Reilly troppo scontrosa e burbera per essere vera e l'ottima Rima Te Wiata che sembra una pianta d'appartamento – una creatura da commedia – trapiantata nella foresta. Un susseguirsi inarrestabile di colpi di scena, un epilogo che forse la tira un po' per le lunghe, un nascondino ritmato in cui niente è così lampante e grossolano come appare. Da recuperare. (7) Booo. Paura, eh? In realtà, quello di prima, era un rumoroso boh. Boh, ma perché hanno girato questo film? Boh, ma quale disperato ha deciso di andarlo a vedere? Ma sì, lo sapevo già che questo Ouija era un filmaccio, però adoro guardare roba inutile e sconsigliarla, soprattutto se – senza la mia santa guida – qualcuno potrebbe trascinarvi a vederlo. Uccidete quel qualcuno, per favore; poi chiedetegli scusa in una seduta spiritica e via, pace fatta. Ouija è una schifuja che consiglio a chi, al cinema, vuole morire. Di noia. La prima parte: un piattume animato da dialoghi idioti, attori da quattro soldi, spauracchi da niente. La seconda parte: leggermente più movimentata, ma come è movimentata l'attività cerebrale di uno in stato comatoso; piena di colpi di scena che sono un'offesa all'intelligenza. All'inizio concilia il sonno, alla fine si rivela una ghost story interpretata da star della tivù in pausa momentanea per i finali di stagione e priva di atmosfera.Un teen horror senza infamia e senza lode, che il fatto ti abbia fatto perdere tempo rende più infame che altro, con personaggi da nulla che non hanno mai guardato un episodio di Supernatural (Sam e Dean, su, non vi hanno mai spiegato come fare fuori uno spettro?) e un cast amorfo in cui spicca solo Olivia Cooke, ma perché – tolti quei dannati tubicini nel naso di Bates Motel – è adorabile, anche se – tra questo gioiello e l'altro, Le origini del male – non azzecca un film neanche per sbaglio. (3) Una pellicola australiana che parla di troppe cose: un intreccio con più strade aperte, ma leggero, in un modo positivo e in un modo negativo. A fine visione, mi sentivo di avere visto abbastanza, ma non tutto. Poteva osare un'altra mossa. O forse non poteva fare altro, per via di storia semplice e dispersiva, e quel poco che poteva l'ha fatto al meglio. Parte dietro le sbarre, come un prison movie in cui allo spettatore non vengono risparmiati i riferimenti alla violenza sessuale, alle alleanze; poi diventa la storia di una fuga e di una rapina, di miniere di diamanti e famiglie violente; alla fine, un travestimento, una barca, una telefonata e un flashback fanno di lui un minuscolo intrigo alla American Hustle. Sembrerebbe un pasticcio, ma qualcosa me l'ha fatto apprezzare con i suoi difetti e le sue sterzate. Frastagliato, discontinuo e impreciso com'è. Sarà che l'ho guardato con un piede dentro e uno fuori, coinvolto per caso come quel protagonista adolescente che si trova al centro di una situazione fuori controllo. Criminale per caso, educato all'arte degli scacchi e alla violenza, è spaesato e su di giri. La sua freschezza, il bisogno di avere un adulto accanto che gli insegni a nuotare e a sparare, ti portano a vedere anche il suo improbabile scampolo di vita con sguardo comprensivo. Son of a gun ricorda gli irrealistici film di avventura che ti piacevano una volta, con le ragazze impossibili da salvare e i colpi di scena prevedibili, ma è dalla parte dei cattivi, pur rimanendo pulito. Mi ha colpito questo. Il punto di vista di un protagonista irrisolto, ma familiare, che quel Brandon Thwaites, con i suoi venticinque anni suonati e l'aria da eterno bambino, incarna perfettamente. Si conferma un giovane talento in ascesa, lui, e divide la scena con un McGregor irsuto, traditore che non ci regala la prova della sua carriera ma che sa il fatto suo. Intorno, una Australia bellissima con il mare e con il deserto, una acerba femme fatale che ha qualcosa di Eva Green, un realismo di polvere e sudore che non capisci cosa ci faccia con una vicenda tanto rocambolesca, anche se il risultato, con un filo d'ironia e tanto sentimento, vedi?, ti fa parlare. Non è granchè, ma piace. Le sequenze finali, con una bella canzone in sottofondo che si chiama Enter One, mi hanno lasciato pure sereno. (6,5)
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