Muore Luis Aragonés, l'allenatore che ha dato alla Spagna lo spirito vincente
Da Rottasudovest
A volte la storia è ingiusta. Molto ingiusta. Oggi la Spagna ha perso Luis
Aragonés, morto a 75 anni per una leucemia, a Madrid. E' l'allenatore con cui la Nazionale di calcio ha iniziato a vincere e a
battere ogni record. E' stato nel 2008, in Austria-Svizzera. La Spagna arrivava
con i soliti blablabla di favorita numero 1 e neanche si ascoltava più, nelle
sue radio e nelle sue tv, la solita cantaleta (cantilena). Ma nell'Europeo
del 2008 era successo qualcosa di magico: Luis Aragonés aveva adottato il tiki
taka, passaggi brevissimi per garantirsi il controllo della palla, dalla difesa
fino al gol, senza lasciare respiro agli avversari, senza permettere loro strategie
di difesa. Aragonés aveva avuto anche il coraggio di lasciare a casa alcune
delle bandiere del calcio spagnolo, a cominciare da Raúl, il capitano del Real
Madrid, che tutto aveva vinto con i merengues e niente con la sua Nazionale.
Raúl Selección! era stato il grido di battaglia dei madridisti per mesi, per fare
pressioni sul CT (e ancora adesso, quando sento il nome dell'ex capitano, mi viene automaticamente da aggiungere Selección!). Ma Aragonés niente, Raúl a casa e una nuova generazione in campo.
Con lei uno spirito nuovo, più consapevole, più umile, più determinato.
La svolta, quella che ha cambiato la Spagna del calcio degli ultimi anni, era
arrivata ai quarti di finale. Contro l'Italia. Avevo sentito la partita per
radio, su un autobus che da Malpensa mi riportava a Torino, di ritorno da
Siviglia. Era andata come vanno (quasi) sempre le partite contro la Spagna,
pareggio e parità di forze in campo. Poi c'erano stati i rigori e la Spagna
aveva vinto. Era dagli anni 80 che la Spagna non riusciva a superare i quarti di
finale. Erano l'incubo della Selección, la fine di tutti i sogni di gloria
orgogliosamente coltivati. Essere riusciti a vincerli, per di più contro
l'Italia, storica bestia nera degli spagnoli, mai battuta in incontri ufficiali,
era stata come una liberazione. La fine di un incubo nazionale, festeggiato quasi più della successiva vittoria in finale, per tutti i freni psicologici che portava con sé. A rompere quell'ostacolo, a dare forza, sicurezza e consapevolezza ai giocatori era stato Luis Aragonés, con la sua calma, le sue parole, la sua idea del calcio. Da quel momento, da quella notte del 22 giugno 2008, in cui si è liberata dell'incubo dei quarti, contro la più odiata delle bestie nere, più niente
ha fermato la Spagna, che ha travolto tutti i record e si è aggiudicata, di
seguito, due Europei e un Mondiale. Nessuno mai, prima, era riuscito
a vincere tanto in così poco tempo.
Io non so cosa abbia fatto prima Luis Aragonés, non conosco i dettagli della sua carriera, che non è passata per il Real Madrid, e chissà se questo conta, ma so come l'ha trattato la Spagna
poi, lasciandolo a casa subito dopo la conquista degli Europei, permettendo la sua fuga in Turchia, per affidare la Nazionale al madridista Vicente del Bosque.
Come sanno essere ingrati, i Paesi. La Spagna vincente di questi anni è una
creazione di Luis Aragonés, ma il Premio Principe delle Asturie e qualunque
altro premio dato alla Nazionale in questi anni, è stato ritirato da Vicente
del Bosque. E io di Vicente del Bosque ho un solo ricordo, a parte le
dichiarazioni boriose. La finale degli Europei del 2012. Ancora una volta
Spagna-Italia. La Spagna vince per 2 a 0, meritatamente, perché non è colpa
sua se il CT italiano manda in campo gli uomini stanchi della solita epica
semifinale contro la Germania (no, non ci sarà mai un'Italia-Germania che non
sia emozionante), per un malinteso senso di gratitudine (lo stesso che mantiene
l'Italia appesa alla sua gerontocrazia). E' così malconcia, l'Italia, che il
giocatore dell'ultimo cambio si infortuna pochi minuti dopo essere entrato in
campo, così la Nazionale gioca tutto il secondo tempo in 10, in inferiorità
numerica. Del Bosque, a un quarto d'ora dalla fine di una partita che sta
meritatamente vincendo e controllando, manda in campo due giocatori freschi,
contro i quali l'Italia, in inferiorità numerica e senza alcuna possibilità di
effettuare cambi (per infortunio, non per espulsioni), non può fare niente.
Finisce 4 a 0 per la Spagna, l'unica volta in cui la Spagna ha travolto
l'Italia. Tranquilli, appena ci provano, a vantarsi, spiego loro concetti
sconosciuti al loro CT, quali lealtà, nobiltà, sportività.
La differenza tra Luis Aragonés e Vicente del Bosque è tutta in quelle due
partite, i quarti di finale della liberazione, dell'entusiasmo, della nuova pagina di storia, e la finale dell'assenza di lealtà e sportività verso una squadra in inferiorità numerica, già sconfitta.
Mi spiace molto che il suo Paese non abbia dato a Luis Aragonés il
posto che si merita, che lo abbia subito fatto fuori dalla Nazionale per dare il
posto a un madridista, che solo oggi, negli editoriali che raccontano la sua
morte, ricordi che è l'uomo che ha dato alla Nazionale lo spirito vincente (è
anche quello che ha iniziato a chiamarla la Roja, la Rossa), quello da cui è
iniziato tutto.
Que descanse en paz, Luis.
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