Corro lungo un muro lungo.
Muro di pietra.
Lunga pure lei.
Nel senso che le pietre di arenaria che fanno il muro sono pietre lunghe e non brevi e tozzi parallelepipedi (parallelepipedi è una parola ostica, un torcilingua, ma piacevole, mi fa venire in mente degli animaletti -femmina, guarda un po'- che camminano con movimento armonioso, tipo millepiedi jessicaalba, simpatici, con i tacchi e con le tette).
Comunque, scusate la digressione, corro -dicevo- a perdifiato.
E si dice perdifiato ma si dovrebbe scrivere perdi fiato.
Ma non tanto perché a correre si fa fatica e ci si sfiata, solo perché in questo stramaledetto sogno sogno (il primo sostantivo, il secondo verbo) di dover schivare la presa di strani esseri che escono di colpo e a sorpresa dal muro e vogliono prendermi e murarmi con loro in una nicchia di pietra (gli esseri di cui parlo non sono i parallelepipedi di cui parlavo, quelli fanno parte solo della digressione, questi somigliano piuttosto a un maldestro cocktail di zombie e portinaie).
Ma, prima di murarmi, vorrebbero svuotarmi dell'aria che ho ancora in corpo schiacciandomi come si farebbe con materassino gonfiabile da piegare e mettere nel baule dell'auto (è così che perderei fiato nel sogno).
Allora, io corro e schivo braccia di portinaie mortifere, tese a ghermire me e il mio fiato.
Io sono vestito con una canottiera.
Sopra.
Sotto, no.
Niente canottiera, sotto, solo testicoli al vento.
E le gonadi, mentre corro, sbattono tra loro e fanno il suono di congas.
Roba da Africa nera.
Il ritmo della corsa e la velocità del suono crescono insieme.
Crescono, crescono, escono le braccia, che mi finalmente mi prendono, mi schiacciano e mi sgonfiano e mi sbattono nel muro.
Guardo la zombie portinaia (zombinaia) che mi ha acciuffato.
Lei ha lo sguardo zombie. Io le sorrido come si fa e si deve con la portinaia (si se vuole evitare la sparizione della posta).
Le mostro il pene libero e le chiedo se può rigonfiarmi.
Lei mi manda in quel paese e mi spinge fuori dalla nicchia nel muro.
Sei il solito cazzone -mi dice, intanto.
Veramente, sono sgonfio -rispondo.
Che sogno del cazzo (si può dire, sul vostro blog?).Dreamed by: Parco Cane.
Magazine Diario personale
Corro lungo un muro lungo.
Muro di pietra.
Lunga pure lei.
Nel senso che le pietre di arenaria che fanno il muro sono pietre lunghe e non brevi e tozzi parallelepipedi (parallelepipedi è una parola ostica, un torcilingua, ma piacevole, mi fa venire in mente degli animaletti -femmina, guarda un po'- che camminano con movimento armonioso, tipo millepiedi jessicaalba, simpatici, con i tacchi e con le tette).
Comunque, scusate la digressione, corro -dicevo- a perdifiato.
E si dice perdifiato ma si dovrebbe scrivere perdi fiato.
Ma non tanto perché a correre si fa fatica e ci si sfiata, solo perché in questo stramaledetto sogno sogno (il primo sostantivo, il secondo verbo) di dover schivare la presa di strani esseri che escono di colpo e a sorpresa dal muro e vogliono prendermi e murarmi con loro in una nicchia di pietra (gli esseri di cui parlo non sono i parallelepipedi di cui parlavo, quelli fanno parte solo della digressione, questi somigliano piuttosto a un maldestro cocktail di zombie e portinaie).
Ma, prima di murarmi, vorrebbero svuotarmi dell'aria che ho ancora in corpo schiacciandomi come si farebbe con materassino gonfiabile da piegare e mettere nel baule dell'auto (è così che perderei fiato nel sogno).
Allora, io corro e schivo braccia di portinaie mortifere, tese a ghermire me e il mio fiato.
Io sono vestito con una canottiera.
Sopra.
Sotto, no.
Niente canottiera, sotto, solo testicoli al vento.
E le gonadi, mentre corro, sbattono tra loro e fanno il suono di congas.
Roba da Africa nera.
Il ritmo della corsa e la velocità del suono crescono insieme.
Crescono, crescono, escono le braccia, che mi finalmente mi prendono, mi schiacciano e mi sgonfiano e mi sbattono nel muro.
Guardo la zombie portinaia (zombinaia) che mi ha acciuffato.
Lei ha lo sguardo zombie. Io le sorrido come si fa e si deve con la portinaia (si se vuole evitare la sparizione della posta).
Le mostro il pene libero e le chiedo se può rigonfiarmi.
Lei mi manda in quel paese e mi spinge fuori dalla nicchia nel muro.
Sei il solito cazzone -mi dice, intanto.
Veramente, sono sgonfio -rispondo.
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