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Da quando ho ucciso la mia famiglia, non ho trovato più gioia nella vita: volevo spegnere ogni briciola di felicità nei cuori altrui. Ho capito che la mia personalità è composta da due parti: una che preferisce il bene e la vita e una che si nutre di dolore, morte e sangue. Lasciai che questa prendesse il sopravvento, non feci nulla per impedire che il vortice della disperazione mi trascinasse sempre più in basso. Avevo perso il paradiso, ero precipitato all'inferno; non ero più padrone di me stesso ormai: ogni gesto, ogni parola era dettato dalla disperazione. Lasciai la casa dove avevo vissuto momenti felici, dove avevo imparato ad amare. Ma quella casa presto divenne un luogo silenzioso, tetro, inquietante. Avevo tre bambine ma nessuna di loro sapeva ridere, nessuna di loro sapeva gioire. La gioia in quella casa era soltanto un nome, quello di mia moglie. Iniziai a viaggiare come un vagabondo, chiedendo ospitalità e misericordia alle porte delle case a cui bussavo. Mentre fuori infuriava l'inverno con le sue tempeste e la natura risvegliava la sua parte più selvaggia con i lupi e i serpenti, dentro le case soddisfacevo la voglia di sangue. Molti giornalisti mi hanno paragonato alla neve: arrivavo, uccidevo ma non lasciavo tracce - neve che si scioglie. Riuscii a sfuggire alla giustizia per anni, nascondendomi nell'ombra della folla, confondendomi con milioni di altre persone. La mia seconda personalità si nutriva di morte, era naturale che agisse di notte, quando il buio nasconde ogni cosa. Lasciai che gli eventi seguissero il loro corso, non feci nulla per impedire di compiere il disegno che il destino mi aveva riservato. Uccisi mia moglie soltanto perché con il suo comportamento turbava la felicità che avevo trovato nel matrimonio: era gioia soltanto di nome, era diventata fredda, distante. Non era più la stessa ragazza che avevo sposato in primavera. Sembrava che il suo carattere fosse cambiato seguendo le stagioni: più la natura si faceva spoglia e desolata, più diventava triste e malinconica. Forse nel suo inconscio sapeva che un coltello da cucina l'avrebbe uccisa ma non poteva certo immaginare che sarebbe stata una mano amica a compiere il gesto. La legai con il filo elettrico e poi la colpii. Una, due, tre volte. Il sangue riempì presto il pavimento della stanza, macchiò anche i miei vestiti. I suoi occhi azzurri, quando era felice, rilucevano come gioielli ma da quando era triste e malinconica avevano perso tutta la loro bellezza. Dopo averla uccisa la osservai per un attimo: anche nella morte la sua bellezza risplendeva, non aveva perso la sua grazia. Un urlo strozzato in gola, il sangue che colava dalle ferite, gli occhi vitrei, spalancati, le braccia senza forze pendevano lungo il corpo legato. La sua visione mi riempiva di orgoglio per il lavoro appena compiuto. Salii al piano di sopra, le bambine dormivano, perfetto. Niente di più facile. Le uccisi una ad una, con lo stesso coltello con cui avevo ucciso la loro madre. Avevano i suoi stessi occhi, altri gioielli che avevano perso la loro lucentezza. Tre bambine, nessun sorriso, nessuna risata. Quando nacquero, pensai che avrebbero portato un po' di felicità in quella casa buia e malinconica. Ma i miei piani andarono presto in fumo: crescendo, assomigliavano sempre più alla madre. Non ho mai visto i loro occhi illuminarsi di gioia, il loro sorriso apparire sui loro volti, non ho mai sentito la loro risata. Che suono aveva? Una pugnalata al cuore per ciascuna di loro. Nessuno si svegliò e mai si sveglierà. Dal caldo delle coperte alla fredda terra. Da una casa accogliente a un cimitero desolato. Dagli sguardi pieni d'affetto agli sguardi pieni di dolore. Un ghigno mi tagliò in due il volto, la mia anima cominciava a nutrirsi delle vite altrui. Vedere il dolore, la sofferenza, i tentativi delle persone di restare aggrappati a una flebile speranza di vita mentre le uccidevo non mi ha mai turbato. Le mie mani agivano da sole come ora le gambe continuano a portarmi verso la morte. Arrivavo di giorno, mi presentavo come un viaggiatore alle case ma in realtà ero un cacciatore. Un cacciatore di anime innocenti. Sono tanti i nomi che i giornalisti mi hanno dato: assassino degli innocenti, sterminatore di vite, ladro di anime, l'ombra della morte e tanti altri. Uccidevo tutti, uomini, donne, vecchi e bambini, senza rimorsi, senza sensi di colpa. Li ho uccisi tutti allo stesso modo: legati con il filo elettrico e poi accoltellati o pugnalati al cuore; preferivo ucciderli nel primo modo perché potevo vedere i loro occhi cambiare espressione. Paura, disperazione, vani tentativi di fuggire, le lacrime che scendevano lungo i loro volti, gli occhi che chiedevano pietà. I loro comportamenti erano sempre simili, come se tutti fossero stati istruiti a fare le stesse cose. Nessuno scampò mai al mio coltello assetato di sangue. Tutti dovevano morire. In ogni casa scrivevo frasi con il sangue: sempre diverse ma tratte tutte da libri dello stesso autore, John Milton. Se in casa mia ho scritto una frase tratta dal "Paradiso perduto", c'era una ragione. Il Paradiso perduto non era più un insieme di fogli di carta, lettere e segni di punteggiatura, era la mia vita. Con la malinconia di Gioia tutto la bellezza della vita è sfumata, perduta per sempre in un mare sconfinato di tristezza. Le lacrime non hanno mai segnato il mio volto: non riuscivo più a provare emozioni. Le vite strappate agli innocenti coloravano la mia anima di nero e rosso: assomigliavo a un quadro mai finito, lasciato a metà. Lo componevano pennellate distratte, il pittore permetteva alla tela di dipingersi da sola. Così era la mia vita: un disegno indefinito, abbandonato, dimenticato. Non avevo nessuno, non ho mai avuto nessuno. Alle case dove bussavo mi presentavo come un uomo con una storia da raccontare, molti mi credevano e finivano nella trappola. Chiedevo pietà, misericordia, loro mi accoglievano. Un passo, due, tre. Sono gli ultimi della mia vita. Alzo gli occhi al cielo e vedo fiocchi bianchi volteggiare nell'aria. Adesso riuscirò ad avere queste cose dall'ultimo che può accogliermi?Have mercy on me, sir
Allow me to impose on you
I have no place to stay
And my bones are cold right through
I will tell you a story (Song of Joy - Nick Cave)Matilde Guidi
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