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Sul Museo Nissim de Camondo la mia guida Clup era piuttosto laconica
Nissim, conte di Camondo, era un ricco dilettante amante dell'arte del XVIII secolo. Nel 1910 si fece costruire una casa simile al Petit Trianon di Versailles dove reinventò una corte degna di Luigi XVI. Il museo ospita mobili firmati da Jacob, Riesener, Saunier e tappezzerie Gobelins e Aubusson.
Non sono una particolare estimatrice di mobili d'antiquariato nè di tappezzerie Gobelins e quindi il Museo non era mai entrato nella mia lista delle cose imperdibili di Parigi, ma un pomeriggio, mentre gironzoliamo tra le rovine un po' vere e un po' finte del Parc Monceau,
il cielo diventa di quel nero incombente che non promette niente di buono e bisogna trovare un riparo prima che si scateni il diluvio. Da quelle parti ci sono due musei però uno, il Cernuschi, l'abbiamo visitato da poco, e perciò non ci resta che entrare nel secondo, il Nissim de Camondo.
Per prima cosa veniamo a scoprire che il ricco dilettante amante dell'arte non è Nissim, come scriveva la Clup, ma suo padre conte Moïse il quale ha intitolato la sua residenza privata al figlio aviatore caduto in guerra nel 1917. E' solo un'altra delle tante imprecisioni di questa guida un filino snob che nonostante tutto continuo a tenere nello zaino perchè riporta cose che le altre guide non segnalano (o anche perchè, forse, un filino snob lo sono anche io, diciamolo)
La casa è stracarica di mobili e oggetti preziosi, nessuno dei quali ovviamente alla portata di un comune mortale, ma non ha per niente l'aspetto del museo ingessato e anzi trasmette il calore di una casa vera, di quelle che nonostante tutte le differenze di gusti di cultura e di soldi, ti fanno sentire come piselli dentro un baccello anche se il tuo ideale di casa è anni luce distante.
Incanta la saletta che raccoglie semplicemente un superbo servizio da tavola in porcellana di Meissen
e si rimane praticamente imbambolati ad ammirare tutta l'ala destinata alla servitù e ai servizi di cucina,
con tanto di ufficio del capo cuoco col librone aperto alla pagina dei menu della giornata
e la sala da pranzo per il personale, dove ciascuno dei camerieri può contare su uno stipetto personale e sobrie raffinatissime stoviglie candide.
Viene da pensare che in una casa come questa non ci sia stato altro che solida felicità e invece la famiglia Camondo è stata funestata dalla tragedia.
Ebrei sefarditi originari della Spagna, quando nel 1492 l’Inquisizione decreta l'espulsione degli ebrei che non accetteranno di convertirsi, i Camondo si rifugiano nella Repubblica di Venezia, tanto che pare che derivino il loro nome dal dialetto veneziano: Ca’Mondo, Casa del Mondo. Nel Settecento li troviamo, mercanti di stoffe e spezie, a Costantinopoli, da dove il sultano li caccia per illeciti finanziari (veri oppure no? non lo sappiamo). La famiglia trasloca alla volta di Trieste e poi Vienna, ma è nuovamente a Costantinopoli che nel 1802 Isaac Camondo fonda la sua banca. Gli affari vanno decisamente bene, visto che quando Isaac muore di peste trent'anni dopo lascia in eredità al fratello Abraham Salomon un patrimonio stimato in venticinque milioni di dollari. Altri trent'anni dopo, la banca viene trasferita a Parigi e nel frattempo Abraham Salomon Camondo coltiva importanti legami con Vittorio Emanuele II, a cui consegna una quantità ingente di franchi per l'Orfanotrofio di Torino, offre sussidi alla causa dell'unificazione, finanzia la scuola italiana di Costantinopoli e contribuisce in maniera robusta alla creazione di un ospedale italiano a Istanbul. Per tutte queste benemerenze nel 1867 il re lo ricompensa col titolo, trasmissibile per primogenitura, di conte e per fare buon peso gli attribuisce anche uno stemma e il motto Fides et Caritas. Passato il testimone ai nipoti Abraham Behor e Nissim, la banca Camondo cresce sempre più fino a partecipare al finanziamento del canale di Suez. E' in questi anni intorno al 1870 che i due fratelli acquistano un lotto di terreno nel nuovissimo quartiere elitario che sta sorgendo intorno al parco Monceau. Frequentano il bel mondo parigino e stringono amicizia con Proust. E deve essere un'amicizia autentica, visto che Proust esprime in una lettera al conte Moïse tutta l’’ansia per il giovane Nissim che combatte al fronte. Tra la fine degli anni settanta e il 1889 muoiono sia il patriarca Abraham Salomon che i fratelli Nissim e Abraham Behor. I rispettivi figli Isaac e Moïse continuano l'opera di mecenate. Isaac, musicista colto e appassionato, frequenta Fauré e Debussy, fonda la Société Musicale e finanzia la costruzione del Théâtre des Champs Élysées che aprirà le sue porte nel 1913, due anni dopo la sua morte. Non ha eredi legittimi e lascia in eredità le sue collezioni allo stato francese. Moïse continua ad accumulare opere d'arte nel suo hôtel particulier al 63 di rue Monceau, che nel 1910 aveva fatto ricostruire secondo uno stile chiaramente ispirato al Petit Trianon di Versailles. Il suo matrimonio era fallito dopo appena una decina d'anni, quando la moglie lo aveva lasciato per unirsi ad un nobile italiano, e già da quel momento la sua vita mondana si era chiusa bruscamente ma dopo la morte del figlio Nissim nel 1917 la sua solitudine diventa totale, rotta soltanto per ricevere, rarissimamente, pochi amici fidati. La sua secondogenita, Béatrice, sposata con il musicista Léon Reinach da cui aveva avuto Fanny e Bertrand, sarà internata nel campo di Drancy assieme al marito e ai due figli e deportata ad Auschwitz nel 1943, dove morirà due anni dopo, ultima della sua famiglia. Grazie al cielo almeno questa ultima tremenda batosta al conte viene risparmiata: è morto nel 1935.
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