-Seconda parte-
Nella sala attigua, sotto la finestra, si trova un altro coperchio. Sebbene sia grigio e semplice come il precedente, ha tuttavia qualche accenno di ornamenti alle estremità. L’iscrizione scolpita su di esso si presenta, dal punto di vista letterario e concettuale, molto perfezionata, anche se purtroppo non sia possibile leggerla per intero: le lettere sono logorate e la pietra è scheggiata e non sarebbe coretto cercare di indovinare solo seguendo il senso della frase.
Pelasgo - Etrusco
Albanese
Italiano
C
Qe
Era
ANA
ana
Dalla parte
NAS
nash
Di noi
LA
la
Lasciò
ROI
roi
Di vivere
LARTHAL
I Larti
L’Altissimo
MATIUAL
I Maturi
il Saggissimo
CCLA
Ke krah
Nelle braccia
TI
Tij
Sue
ANATI
Ana Tij
al lato Suo
VOI
vej
metterlo (voglia)
LAFTNI
lavdi
Lode
…
…
…
CERIM
kërkim
richiesta
TE
te
verso
MAHI
Madhi
la Grande
SA
Za
Voce
MUTHITH
mu thith
essere recepita
…
…
…
In fondo alla seconda sala del museo, è posato un sarcofago con una figura maschile adagiata sul coperchio. La base presenta bassorilievi elaborati, che tuttavia ormai sono velati dalla nebbia del tempo e sembrano fantasmi di se stessi.
La figura, nel suo atteggiamento di sereno riposo, sembra l’espressione della beatitudine e se non leggessimo il messaggio scolpito sul bordo del coperchio potremmo rimanere con questa precisa sensazione.
Invece l’iscrizione è un urlo disperato, rivolto ad ARNO, il Creatore, per la perdita di quasi tutti i membri di quella famiglia, forse causa di un epidemia.
Quanto dolore straziante traspare dalle parole:
“Hai condannato i padri a sopravvivere, o Creatore!”.
Pelasgo- Etrusco
Albanese
Italiano
DAINOA
Dënove
Hai condannato
APAT
apat
i padri
RUI
ruj
a sopravvivere
LAROIAL
duke la rojtjen
facendo lasciare di vivere
FEKH
duke fik
e spegnendo
ATA
ata
loro
CRI
qe i ri
era giovane
AI
ai
colui
CALE
ka le
che è nato
ONAS
jonash
dai nostri
ARNO
Arno
Creatore
AI
ai
egli
LAROI
la roi
lasciò di vivere
ATIMIA
a timia
anche la mia
PUIA
gruia
moglie
APA
apa
il fratello maggiore
…
…
…
AVIS
a fis
e i parenti
TER
tër
tutti
NES
nesh
di noi
…
…
…
La tomba dei Vend-Kahrun e le altre di Tarquinia sono conservate come luogi di culto.
L’ordine, la pulizia che le contraddistinguono esprimono l’intensità dell’amore per i nostri lontani antenati da parte di coloro che curano questa cultura e che con passione la mostrano al visitatore.
Con occhi stupiti, il visitatore riceve i messaggi, legge le iscrizioni e impara ad amare chi visse e soffrì come noi, moltissimo tempo prima di noi.
Lucus a non lucendo, diceva Marco Fabio Quintiliano alludendo ironicamente alle distorsioni verbali per trovare la radice delle parole.
Infatti non è stato proprio “il bosco sacro dal non far luce” il risultato dello sforzo di tanti linguisti che si sono prodigati nel tentativo di scoprire “la chiave” dell’idioma degli Etruschi rincorrendo parole tortuose che sgusciano via e il più delle volte fanno perdere l’orientamento?
Hanno potuto raggiungere lo scopo solo coloro che hanno avuto l’intuizione di affidarsi alla lingua albanese.
Un particolare riconoscimento in questo senso è dovuto al Prof. Zacharie Mayani dell’Università della Sorbona di Parigi, che ha voluto imparare l’albanese, ne ha approfondito la conoscenza pratica in Albania e ha potuto così mettere in luce la verità. Altra personalità di grande cultura è il Prof. Skënder Rizaj dell’Università del Kosovo a Prishtina, che con il soccorso dell’albanese e riuscito ad interpretare la paleografia nell’odierna Turchia occidentale, anticamente abitata da tribù pelasgo-iliriche.
Né vanno dimenticati gli approfonditi studi del Prof. Giuseppe Catapano che con lo stesso metodo ha dato nuova luce all’idioma esoterico dell’altra sponda del Mediterraneo, l’Egitto faraonico (in albanese fara = stirpe, one = nostra).
Tratto dal libro L’etrusco lingua viva dell’autrice Nermin Vlora Falaschi