(articoletto di economia: dei brevi stralci, la versione completa la trovate qui)
Islam e business, solidarietà ed esportazioni. Si è chiusa ieri, domenica 14 ottobre, la quattordicesima edizione della fiera espositiva organizzata dalla Müsiad (Associazione degli industriali e degli uomini d'affari indipendenti): la potente organizzazione che dal 1990 raggruppa gli imprenditori che s'ispirano ai valori islamici, pii e conservatori, le nuove élites economiche vicine al movimento politico islamico e al governo dell'Akp. Hanno come base l'Anatolia centrale: Malatya, Kayseri, Gaziantep (ma anche Denizli, Kocaeli, Kahramanmaraş). Sono stati definiti 'Tigri anatoliche' per analogia con le economie rampanti dell'Asia sud-orientale, oppure 'Calvinisti musulmani' per il connubio tra etica e abilità negli affari che li contraddistingue: sono più di 5000 con oltre 15000 piccole e medie imprese registrate, danno lavoro a un milione e duecentomila persone, contribuiscono a circa il 15% del Pil della Turchia, sono orientati all'export (17 miliardi dollari nel 2011) e sono presenti con uffici di rappresentanza in 46 paesi dei cinque continenti.
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Nel 2011, infatti, la diminuzione dei flussi verso i paesi dell'Unione europea è stata almeno in parte compensata dall'incremento verso quelli mediorientali e più in generale islamici: passati dal 16% del 2007 al 23% delle esportazioni totali della Turchia; un trend che si è ulteriormente rafforzato nei primi tre trimestri del 2012: -8% verso l'Ue, +32% verso i paesi dell'Oic (soprattutto verso l'Iraq). Il premier ha poi dato altri numeri - il miliardo e mezzo di dollari di aiuti distribuiti all'estero, soprattutto attraverso la cooperazione allo sviluppo - e ha rivendicato il ruolo del suo governo nella costruzione di un mondo più ricco e più equilibrato, mostrando "compassione per le vittime e per gli oppressi" e anche in nome della "solidarietà islamica": ma "per essere forti" - ha ammonito - "è necessario risolvere i nostri problemi interni", affrontando i deficit di rappresentanza democratica e le diseguaglianze socio-economiche.
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Soprattutto, dall'8 all'11 - praticamente fondendosi l'ultimo giorno con l'expo - si è tenuta la ventottesima riunione dello Standing Committee per la cooperazione economica e commerciale (Comcec) dell'Oic, presieduto stabilmente dalla Turchia sin dal 1984. L'infaticabile Erdoğan è intervenuto anche in questa sede, in apertura della riunione ministeriale del 10: ha posto come obiettivo fondamentale dell'organizzazione l'incremento degli scambi tra i paesi membri per arrivare nel 2015 al 20% del totale (dal 17% attuale). Anche grazie a una nuova strategia collettiva - 'Creare un mondo islamico interdipendente' - basata su miglioramenti sensibili alla governance dei singoli paesi e dell'Oic, sulla libera circolazione di merci, persone e idee, sul ruolo decisivo di piccole e medie imprese e del settore privato più in generale (a cui è stata integralmente dedicata una sessione ministeriale), su di una serie di progetti congiunti nei settori dell'energia, dei trasporti, del turismo. La Turchia si propone come riferimento e guida, gli imprenditori e i governanti di paesi islamici sembrano apprezzare la proposta.
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