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Music Box

Creato il 16 agosto 2010 da Vivi
Music Box
Una stanza grande e vuota, all’ultimo piano del palazzo sul Boulevard. Al posto della parete c’e’ una vetrata, e poi un terrazzo, e poi la coltre di luci sparse di Kinshasa. Da dentro, tutto e’ deformato dalla luce color fragola che inonda la stanza. Il terrazzo bianco sembra giallo. Il cielo antracite sembra blu cobalto. Siamo in un caleidoscopio di luci alterate. Nuotiamo in questi colori irreali come pesci in un acquario.
E’ tutta vuota, questa casa. Ci sono solo strumenti musicali e tappeti. Niente mobili, niente sedie. Solo chitarra, microfono, looper, amplificatori, pedali. Tappeti e cuscini sul pavimento, come fosse una tenda nel deserto, tutti portati dal Marocco. Ci son voluti 700 dollari in corruzione per attraversare la dogana con tutta quella roba, ma ne vale la pena per trasportare la propria anima.
A tocca la chitarra e comincia a suonare. Io, H e M, sdraiati sui tappeti ruvidi, ci prendiamo addosso questa pioggia di note, succubi della loro potenza. E’ musica composta da lui, piena di suoni nordafricani. Prende avvio un concerto privato in una dimensione parallela. Un’onda di suoni e di luci cosi’ densa che quasi non rimane aria per respirare.
Poi A tace, e lascia spazio alla musica del Sahara. Suoni del popolo Sarahawi, perso nel vuoto del deserto. E su queste note cominciano a parlare del Marocco, tutti e tre. Della sua magia, dei suoi colori. Dei festival nelle citta’ dell’interno, del vento nelle strade. Per A quella e’ casa, per M il nomade la terra di sua madre. Per H e’ la prima esperienza da espatriata che l’ha catturata per due anni interi. Nasce un dialogo di ricordi fra persone che si conoscono appena. Pieno di particolari precisissimi, di riferimenti a sensazioni che condividono in modo spaventosamente esatto per essere perfetti sconosciuti.
Abbiamo incontrato A e M venerdi’ sera all’Ibiza bar, un locale di fuoco con rumba dal vivo che ti si schianta sul petto. E non ci e’ voluto molto per ritrovarci tutti assieme in quella stanza vuota di cose e gravida di luce, a condividere l’indicibile. La musica andrebbe sempre ascoltata cosi’. In un cubo vuoto impregnato di colore.

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