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Musica e danza nel Levante fenicio e nell’Occidente punico
di Anna Chiara Fariselli
Dalle più antiche fasi della civiltà fenicia in contesto siro-palestinese alle più tarde espressioni di quella punica nel Mediterraneo occidentale, la musica sembra esercitare un ruolo assai significativo rispetto a diversi momenti della vita pubblica. A fronte della scarse e poco puntuali informazioni ricavabili dalle fonti letterarie antiche, è il versante delle immagini, rintracciabili su vari supporti materiali, a fornire molteplici indizi in merito. Piccole orchestre, formate per lo più da personaggi femminili, solo raramente integrate da suonatori, documentano su manufatti eburnei e coppe metalliche la consuetudine dell’utilizzo di lire, timpani o cimbali e oboi. Spesso coinvolti in processioni e teorie che includono talora soggetti danzanti, i musici riprodotti sulle manifatture di provenienza orientale dovevano rappresentare una componente essenziale per il corretto svolgimento di cerimonie e liturgie connesse all’apparato regale.
Il re o la coppia sovrana, in alcuni casi manifestamente sostituiti da alter ego divini, sono i principali destinatari delle performance degli orchestrali, in grado di sottolinearne le vittorie militari, allietarne i banchetti festosi, accompagnarne i rituali di offerta e le attività religiose. In ambito fenicio-cipriota queste stesse manifestazioni sonore sono più chiaramente riconducibili alla figura di Astarte e alla gestione del suo culto, elemento documentato anche dalla testimonianza epigrafica dell’attività di cantori e musici tra il personale stipendiato nel tempio della dea a Kition.
Qui affonda le radici la connessione fra gli strumenti a percussione e le prerogative divine di Astarte, che in Occidente trova salde conferme nel recupero di cimbali bronzei con iscrizioni dedicatorie alla dea da tombe femminili di Cartagine, come pure nell’ampia e longeva distribuzione delle figurine femminili con “disco” al petto o delle più esplicite immagini di timpaniste riprese di profilo, nella coroplastica, sui rasoi bronzei incisi e nel rilievo lapideo. Al culto di Baal sembrerebbe invece associarsi l’utilizzo di flauti e oboi, unici fra gli strumenti conosciuti nel repertorio iconografico ad essere talora impiegati da personaggi maschili. Stando alle fonti classiche gli strumenti a fiato fenici dovevano produrre melodie assai lamentose, sonorità talmente peculiari di quel contesto culturale da giustificare il costituirsi di un vero e proprio topos letterario intorno ai gingroi (flauti) fenici e alla maestria levantina nella pratica dei canti funebri.
In Occidente l’impiego della musica è altrettanto incisivo. L’utilizzo del suono, tuttavia, sembra riservato alla sfera personale della fede, più che all’accompagnamento di cerimonie legate alle istituzioni. Le più chiare evidenze si percepiscono, infatti, soprattutto per quanto concerne la devozione privata e la consumazione dei complessi rituali del tofet. Cimbali metallici, flauti e parti di strumenti a corda in avorio e osso compaiono abbastanza frequentemente nei contesti tombali, talora come evidente residuo dell’equipaggiamento liturgico di sacerdotesse e officianti, ma spesso anche, probabilmente, come attestazione delle pratiche consolatorie gestite post mortem dai familiari o con funzione di talismani scacciaguai e, come parrebbe ipotizzabile nel caso dei molti campanelli metallici rinvenuti in deposizioni infantili, anche come giocattoli.
Stando alle descrizioni delle cupe atmosfere del tofet trasmesse dagli autori classici, la musica vi ha un ruolo imprescindibile partecipando, con suoni fragorosi e ritmati al tempo stesso, al raggiungimento collettivo del parossismo rituale o, come lascia intendere Plutarco (De sup., 13), addirittura procurando una sorta di stordimento nei parenti affranti degli infanti deposti. Depurate tali informazioni dagli inevitabili artifici propagandistici dei cronisti antichi, qualche dato si può invece ricavare dalla lettura delle immagini sulle stele votive: se da un lato si deve notare che dal repertorio occidentale spariscono le “orchestre”, molte delle figure singolarmente riprodotte sono donne con timpano, al petto o di profilo, talvolta erette su piccolo podio. Sia che si tratti di una rappresentazione divina, sia che vi si voglia riprodurre una sacerdotessa, la larghissima diffusione di tali immagini permette di supporre che fotografino una precisa sequenza del rito. Simili valutazioni possono a buon diritto accompagnarsi alle figure di “danzatori”, nudi e qualche volta camuffati da un indefinito copricapo, che la posa scomposta di gambe e braccia farebbe immaginare nel pieno di una sorta di estasi sciamanica, per la quale il rimbombare di tamburi e cimbali e lo stridore acuto dei flauti parrebbero davvero un sottofondo ottimale.
Bibliografia
Fariselli A.C. 2007, Musica e danza in contesto fenicio e punico: Atti del Convegno Eventi sonori nei racconti di viaggio prima e dopo Colombo, Genova 11-12 ottobre 2006: Itineraria, 6, pp. 9-46.
Fariselli A.C. 2010, Danze “regali” e danze “popolari” fra Levante fenicio e Occidente punico, in P. Dessì (ed.), Per una storia dei popoli senza note. Atti dell’Atelier del Dottorato di ricerca in Musicologia e Beni musicali (F.A. Gallo, Ravenna, 15-17 ottobre 2007), Bologna, pp. 13-28.
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