Magazine Cultura
L'Auditorium del Parco della Musica di Roma è una bellissima costruzione disegnata da Renzo Piano e la sala di Santa Cecilia (perchè dedicata ad una santa poi? Hanno usato i soldi della Chiesa?) è tecnicamente ben fatta e vanta un'acustica che prometteva molto bene per il concerto. Forse era troppo grande, oppure c'era troppa luce, troppo spesso la sala veniva illuminata a giorno e i faretti invece di puntare sulla band venivano rotati contro il pubblico abbagliandolo. Il suono era pulito ma non riusciva ad avvilupparmi. Ero ancora una volta "fuori" dall'azione, guardavo, sentivo ma non provavo la musica, il momento, dentro di me. Avrei voluto fosse più forte, sentirla più fisicamente con il corpo. Avrei voluto sentirmi una cosa sola con il resto del pubblico, un organismo complesso fatto di infinitesime particelle che però riescono a coesistere in armonia e provare all'unisono. Come alla Pergola.
La band è sempre eccellente, tecnicamente non si può dire nulla, sono onesti e sinceri nel suonare ma si sentiva che sono stanchi. Sono mesi che sono in tournée in ogni parte del mondo e sebbene non gli potessi recriminare nulla, si sentiva un energia diversa priva del calore del primo concerto. Forse era inevitabile che rimanessi delusa visto che la volta scorsa era stato il concerto più bello che avessi visto.
Visto che eravamo a Roma poi siamo andati anche a vedere la mostra di Hopper, che chiude la prossima settimana, mostra che volevo vedere già quando era a Milano ma poi ho scoperto che andava a Roma che è più vicina e facile per me da raggiungere. Quando siamo arrivati c'era una fila di gente della madonna essendo Domenica, per cui incerta se saremmo riusciti ad entrare per tempo sono andata a sentire alla biglietteria se rientravamo nei tempi, entrando davanti a tutti quelli in fila in cerca di informazioni. Nessuno mi ha detto nulla quando sono passata per cui ho immaginato che fosse ok entrare per quelli che avevano fatto prevendita e ritiravano il loro biglietto e che la fila fosse per quelli che aspettavano il loro time slot per entrare. Diciamo che ho pensato poco e così metto le mani avanti. C'erano 3 persone davanti a me e presto la parte superiore della testa di una ragazza che sbucava sopra il monitor del pc, mi ha fatto cenno di avvicinarmi. Ho capito che tre biglietti costavano 70 euro ma lei mi ha corretto dicendo: Trenta, trenta Euro. Sollevata ho chiesto quando potessi entrare e lei ha detto perplessa: beh subito cosa ha preso i biglietti a fare sennò? Ho capito poi di aver fatto come tanti furbetti che detesto e di essere passata avanti a tutti quelli che in fila aspettavano di entrare per comprare il biglietto ed entrare! La ragazza con tono di rimprovero mi ha detto di entrare veloce prima che la folla capisse, ma dovevo chiamare Rog e Pippi che mi raggiungessero, e per loro non è stato altrettanto facile passare avanti alla folla e all'impiegato del museo che regolava l'ingresso, il quale ovviamente si è sentito chiamato in causa a protestare perchè entravano quando non era il loro turno... Abbiamo sì beneficiato dalla mia tontarellaggine ma se consola qualcuno mi sono sentita in colpa per tutta il tempo che eravamo dentro alla galleria!
Sono stata contenta di vedere i lavori di Hopper dal vivo, sebbene la mostra fosse piena di "gimmicks", trovatelle divertenti per quelli a cui non basta l'arte da sola a rendere interessante un evento come quello. Ecco quindi le stazioni dove "fare il proprio Hopper da portare a casa" dove il visitatore poteva tracciare a matita uno degli sketch di Hopper proiettati su risme di carta, oppure la ricostruzione tridimensionale a grandezza d'uomo del dipinto "Nighthawks"
con tanto di Diner e clienti appollaiati sugli sgabelli. Come Andy Warhol, Hopper era prima un designer che un pittore, per cui le sue opere sono interessanti per certi aspetti ma non per altri. Se uno sente tutte le congetture e analisi che i critici amano riversare sui grandi, uno riesce ad andare oltre all'impatto dei colori e la chiarezza di immagine nei dipinti e afferrarne il contesto razionale. Emotivamente però si nota l'isolamento dei personaggi di Hopper, per cui sono i dipinti con persone che più mi hanno colpito, mentre gli acquarelli di paesaggi, e navi i dipinti architettonici e paesaggistici mi hanno lasciato indifferente, se pur molto piacevoli all'occhio. Sono rimasta incantata a contemplare la carne della spogliarellista di Girlie Show,
il cui effetto pittorico mi ricordava molto le mani della Sposa Ebrea di Rembrandt al Rijikmuseum di Amsterdam che da vicino sono una massa di colore senza sfumature o pennellate, ma che fatti due passi indietro rendono incredibilmente l'effetto di carne viva, pulsante. Nell'Hopper al contrario, il blu del velo che la spogliarellista sventola dietro alle spalle fa da sfondo e si riflette freddamente sul rosa livido della carne privandolo di vita, ma la definizione dei muscoli e della tridimensionalità delle forme mi hanno ipnotizzato per un pezzo nel tentativo di capire cosa conduceva a quell'effetto. Nella mostra il quadro, illuminato brillantemente, si stagliava nettamente dagli altri. Questo corpo nudo non era bello, (con quei seni che sembrano implants quando ancora la chirurgia estetica non esisteva) ma non riuscivo a distogliere lo sguardo.
Ho anche notato come ogni disegno preparatorio, dei nudi in particolare, fosse dedicato alla moglie, come se con la sua dedica si facesse perdonare di qualcosa.
Infine parliamo di sport. Ok non sono una sportiva per cui solo tangenzialmente ne posso parlare. Quello che volevo riportare è un articolo nel NYT, che racconta come ai French Open di Tennis ci sia una lavanderia che ogni giorno lava e asciuga, stira e riconsegna ai reciproci proprietari 4500 capi di indumenti. Mi immagino un tavolone dove questi sacchi vengono aperti, e il loro contenuto tirato fuori etichettato, e spedito alle varie altre stazioni della lavanderia. Mi immagino i lavoranti, uomini e donne dal Marocco, Algeria, Turchia, Senegal, Vietnam e Cambogia; gente di tutti i colori e forme che si chinano sul tavolo ritmicamente per estrarre dai sacchi gli indumenti umidi e fragranti di sudore degli ultimi match. Spero di cuore che ridano mentre commentano e fanno battute su come l'odore della roba delle sorelle Williams abbiano odori differenti fra loro e da quelle della Dementieva, supponendone le cause fra razza, alimentazione, stress e periodo ormonale; vorrei pensare che traggano diversi significati da dove sono macchiati di terra rossa i calzini di Federer, da quanto sono sgorate di sudore le magliette di Nadal, dal numero di mutande che cambia Almagro o dai segni di maggior frizione visibili sui calzoncini di Gabashvili: tutte informazioni che possono rendere ai lavoranti la giornata più scorrevole, più colorita e piacevole. Spero che da tutto quello che traspare dagli indumenti spediti a pulire possano indovinare magari chi sarà quello che vincerà quel giorno, magari scommettendo e vincendo qualche soldo a fine giornata. Un breve e piacevole intervallo dalle interminabili pile di lenzuola e asciugamani degli alberghi, tovagliati e asciughini dei ristoranti che fanno parte del loro lavoro il resto dell'anno.
Ecco tutto e grazie a Wikipedia per i nomi di giocatori che non avrei saputo citare altrimenti.
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