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Musica da camera

Creato il 24 dicembre 2010 da Gadilu

Musica da camera

Quasi un terremoto. Uno di quelli che fanno vibrare con violenza la terra e mutare il paesaggio. Con l’approvazione della nuova norma che smembra il parco nazionale dello Stelvio in tre unità amministrative separate – facenti capo alle province autonome di Bolzano, Trento e alla regione lombarda – si rende perspicua l’idea che anche un bene per definizione pubblico e legato alla simbologia del Paese non possa continuare a sottrarsi al processo d’erosione attivato da chi ritiene proprio questi due fattori (bene pubblico e simbologia del Paese) qualcosa da rivedere. Resta da capire se con ciò si tratti di un mutamento virtuoso, come pensano tutti coloro che elencano i meriti e i guadagni della gestione provinciale in ogni possibile settore (incluso quello naturalistico), oppure del definitivo smantellamento di qualcosa di prezioso e intangibile, anche se la sua gestione attuale mostrava da tempo i segni di un colpevole deterioramento.

Non è costume di questo giornale schierarsi pregiudizialmente da una parte o dall’altra della solita barricata. Sarebbe dunque fuorviante leggere quanto accaduto con la lente esclusiva di chi cerca contrapposizioni ad ogni costo (da un lato la Provincia degli stambecchi, dall’altro lo Stato delle marmotte). Occorre comunque rendersi conto che nella vicenda in questione luci ed ombre si alternano e s’intrecciano in un modo da richiedere ponderate spiegazioni. Facciamolo adesso in modo sintetico, con l’avvertimento, in primo luogo a noi stessi, di accentuare lo sguardo, reso critico da un presente politico e istituzionale sempre più incerto e fluido.

Tra tutte le opinioni espresse a caldo, mi preme mettere in evidenza quella dell’assessore Michl Laimer: “per la prima volta, dopo decenni, il parco nazionale avrà la possibilità di essere amministrato in modo che la popolazione lo riconosca e ci si possa identificare”. La domanda, qui, non è tanto perché – “prima” – un simile riconoscimento e una simile identificazione non potessero darsi (di risposte, purtroppo, ce ne sono in abbondanza). La domanda riguarda il prezzo da pagare affinché ciò avvenga. Una concezione delle aree protette collocata al di sopra degli interessi particolari garantiva (e forse avrebbe potuto ancora garantire) una tutela per così dire “sinfonica” e più omogenea. Adesso, con una strumentazione da “camera”, il rischio è quello di accentuare la moltiplicazione degli interventi “antropizzanti” e soprattutto ridurre ogni porzione del territorio così frazionato a una mera occasione di autoaffermazione, se non di vero e proprio dominio. Come ha scritto ieri il nostro Toni Visentini, è necessario tenere alta la guardia.

Corriere dell’Alto Adige, 24 dicembre 2010



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