Tenere in vita una contenitore di recensioni (e in generale un blog di musica) quando non esce nulla di decente nel panorama metal è una vera fatica. Misuriamoci comunque in questa misera impresa affrontando tre album che nel bene o nel male si sono ritrovati a girare nello stereo del ‘vostro affezionatissimo’, ovvero Passage degli Alda, Shards of Silver Fade dei Midnight Odyssey e Under the Red Cloud degli AMORPHIS, principiando proprio da quest’ultimi.
Avevo fatto un fioretto, quello di non stroncare mai un album dei finlandesi, per l’affetto che nutro per loro praticamente da sempre. Tanto è vero che ho parlato fin troppo bene di The Beginning of Times, come pure ho fatto finta che Circle non sia mai uscito. E proverò a non parlarne male nemmeno adesso ma l’affetto non è eterno e la stima è un qualcosa che ogni tanto va rinforzato con delle prove di bravura. Che tardano ad arrivare. Se di Under the Red Cloud non si può parlare male tout-court, nemmeno se ne può dire bene. Personalmente l’ho trovato scialbo e copiativo. Non nella produzione (che è sempre più gommosa), nemmeno nel songwriting (visto che qua e là qualcosa di decente spunta fuori), ma nel fastidioso vizio di rincorrere l’altrui cifra imitandone stile e atteggiamento musicale. E se non si può dire ‘opethiano’, perché ti saltano alla gola mille cani rognosi, allora occorre affidarsi al vocabolario dei sinonimi e contrari del metal che alla voce ‘Opeth’ recita: melenso, stucchevole, ridondante. Il prog non è questo, ci tengo a ribadirlo, prog non equivale a rottura di palle. Sfatiamo questo falso mito: il movimento progressivo, rock o metal che sia, è il virtuosismo, la fantasia al servizio della melodia. L’odiosa associazione di idee che facciamo oggi è causata da quei gruppi troppo dediti alla fredda tecnica fine a se stessa, dai ‘vorrei ma non posso’ o dalle vecchie glorie bollite che si riciclano ad nauseam. Inseguire la cifra altrui, come dicevo, ricalcandone l’atteggiamento ‘artistico’, magari puntando allo stesso pubblico di riferimento un po’ generalista, che a fatica può definirsi death metal (che poi uno si dimentica che questi qui prima facevano death metal e ora boh) e che magari converte le percentuali di gradimento di Metal Archives in cultura personale; tutto ciò a me sta parecchio sulle palle. Gli Amorphis stanno buttando il cervello all’ammasso e, ancor peggio, sono a un passo dal finire nella playlist del kebabbaro sotto casa.
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In chiusura, due righe per gli ALDA forse è il caso di spenderle. Black metal cascadico nord americano che riparte dagli inflazionatissimi Agalloch, come ce ne sono tanti (e mediamente tutti abbastanza interessanti se non avete grosse pretese), gli Alda si muovono all’interno di confini ben definiti, ingabbiati in un sottogenere che difficilmente potrà dare ulteriori frutti. Cercano di superarli in quest’ultimo Passage, col risultato di produrre comunque un disco da non lasciar passare in silenzio ma un filino meno personale dei due precedenti. (Charles)
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