Il nostro viaggio fra musica e letteratura inizia dal vuoto, dall’assenza, dall’essere in una bolla d’aria intorno al quale il tempo si muove con fermezza. È l’inizio di una battaglia lunga (per noi) e noiosa (per il tempo), una battaglia che inizia quando il primo bisogno di avere un senso si attiva nella nostra mente. È colpa dell’astinenza da fet-oil (lo definisce così Douglas Coupland, autore de Il ladro di gomme - edizioni ISBN - 2013), ossia la droga naturale che ci avvolge mentre siamo nel grembo materno, immersi nell’acqua, privi della percezione di un tempo che diventerà poi sempre troppo o troppo poco e comunque mai soddisfacente. Una droga che ci viene sottratta alla nascita, attimo in cui inizia l’astinenza, lunga una vita. Il ladro di gomme è quindi un libro per insoddisfatti, ossia un libro per tutti. È un libro per chi è alla ricerca di qualcosa di diverso, di migliore, ossia un libro per qualsiasi lettore, che legge perché la realtà ci consuma e ci protende verso il tempo come pezzettini di wurstel infilzati in stecchetti di regole che noi stessi abbiamo creato, non è la realtà di cui abbiamo bisogno. Ma qui cominciano le domande più serie: di cosa abbiamo bisogno?
Roger (il protagonista di questo romanzo epistolare in cui i vari personaggi s’incontrano attraverso quello che scrivono di se stessi e leggono degli altri) non lo sa ancora, Bethany (sua comprimaria e sua prima lettrice) non lo sa per nulla. Tutti gli altri personaggi intorno a loro sembrano non domandarselo e questo li fa sembrare più forti e sereni. Ciò che covano sotto la loro assenza di dubbi è solo rabbia. Rabbia che ha provato e prova anche Roger, rabbia che non l’ha costretto al silenzio come tutti gli altri, rabbia che è diventata purezza della delusione e disincantato cinismo che si scioglie ogni volta che si tuffa nel romanzo che sta scrivendo, un romanzo in cui i personaggi fanno ciò che lui non può ancora fare: cedere, smettere di inclinare il collo verso l’alto. Diventano la parte della sua anima necrotizzata cui rinunciare per salvare il resto, per salvare la ricerca di cui Roger ha bisogno. Ho letto questo libro avendo nelle orecchie una voce ben precisa, un testo ben preciso.
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Mi riferisco a Both sides now di Joni Mitchell, in cui la storica cantante concede al suo pubblico un frammento di assenza e una pozza di rabbia, bassa e melmosa, in cui la sua voce si dibatte come un delfino che sa saltare oltre, ma sa quanto sia facile non trovare una ragione valida per farlo. E allora all’inizio non riusciremo a comprendere cosa ci vuole dire. Ci sembrerà una sonorità priva di senso. Ci affideremo allora agli strumenti dell’orchestra che l’accompagna. Ci affideremo all’arpa che ci sospende nella bolla, ci isola e ci protegge, ma poi ecco arriveranno gli archi e le dolci percussioni, che ci avvertono che il fet-oil è finito da tempo e bisogna iniziare a osservare. Giungeranno il clarinetto, la tromba e il fagotto. Ci faranno scoprire gli altri che hanno deciso di far esplodere la bolla troppo presto e la loro rabbia l’hanno ingollata come uno degli scotch di cui si cibano i personaggi del romanzo che sta scrivendo Roger e che ora esce fuori dalle loro orecchie e non riescono più ad ascoltare la musica, non riescono più ascoltare la voce di Joni Mitchell che dice «I've looked at life from both sides now, from win and lose and still somehow, it's life’s illusions I recall.». (Ho guardato alla vita da entrambi i lati. Dal punto di vista della vittoria e da quello della sconfitta, eppure, qualche volta, sono proprio le illusioni della mia vita che cerco). Ci ricorda quanto la rincorsa dietro la propria idea di vita (una volta capita e accettata) sia l’unica che vorremmo sempre ricominciare. Ed è esattamente questo che faranno Roger e Bethany nel romanzo di Coupland: insistere, utilizzando tutte le loro debolezze e contraddizioni per nascondere il loro idealismo.
E quando Bethany sembra cedere e prova a fermare la sua ricerca, cercando un nuovo fet-oil nella ginnastica, nella cura del suo corpo e nell’accettazione incondizionata del mondo, quella ricerca non scompare, ma la mangia dall’interno e allora Bethany tenta di uccidersi, per fare del male a quel corpo che non capisce che lei non è solo secrezioni, urina, acqua e DNA da preservare, ma attesa per se stessa, che si nasconde dietro tutta quella poltiglia e ha fame di emozioni, di scopi.
Ecco, Il ladro di gomme è un libro sullo scopo intorno cui ruotiamo come un castoro intorno alla propria ruota. La ruota è la vita e il suo fulcro è il nostro scopo, ma se continuiamo a correre non arriveremo mai a una soluzione. Dovremo fermarci e spaccare la ruota per prendere il nostro scopo fra le mani e osservarlo e capire se ci piace. Allora e solo allora la voce di Joni Mitchell comincerà ad avere un senso.
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