che gli uomini di domanipossano essere uomini,ridicolo pensareche la scimmia sperassedi camminare un giornosu due zampe
è ridicoloipotecare il tempoe lo è altrettantoimmaginare un temposuddiviso in più tempi
e più che maisupporre che qualcosaesistafuori dell'esistibile,il solo che si guardadall'esistere.
Eugenio Montale, Satura, 1962-1970
A parte l'errore relativo alla scimmia (nel senso che il genere homo e il genere simia, i quali appartengono all'ordine dei primati, condividono sì un antenato in comune, ma dal quale, poi, hanno seguito linee evolutive diverse), la poesia di Montale (il cui titolo è quello in stampato maiuscolo e non il titolo del post, che ho scritto - arbitrariamente - io), che stamani ho riscoperto a caso aprendo Satura (ci sono mattine che accompagno il caffè con Montale), mi fa venire in mente quanto segue.
1.Noi umani (nella fattispecie: europei) che da alcuni anni ci dibattiamo con questa crisi economica scatenata dalle ondulazioni fameliche dei mercati, ci siamo resi conto o no che per uscirne (ammesso e non concesso che si voglia uscirne) occorre pensare qualcosa di diverso e non rattoppare questo sistema? Leggendo la doppia intervista a due economisti di opposta scuola (A. De Nicola e L. Gallino) fatta da Fabio Chiusi per l'Espresso dal titolo «Capitalismo: cosa ne facciamo?» la migliore risposta, da un punto di vista evolutivo, la offre un commentatore:
Più che "cosa ne facciamo" del Capitalismo direi che la domanda è: cosa siamo disposti a farci fare oltre a quello che ci ha già fatto?Ecco.In attesa che il capitalismo arrivi all'osso (ancora un po' di polpa sociale c'è da sbranare), quanto sono disposti gli umani a farsi sbranare dal sotto-genere umano dei capitalisti?
2.Avvenire, oggi, pubblica un'intervista al paleoantropologo di fama internazionale Ian Tattersall, dal titolo «E l'evoluzione si piegò al nostro volere».Pur diffidando dei titoli di Avvenire, mi sono detto che, forse, qualche spunto di riflessione per piegare il capitalismo in favore di tutto il genere umano, la si può trovare. Macché, niente. Di tutto si parla tranne che di questo (ovviamente, tra l'altro). Però, è interessante notare come l'intervistatore, Luigi Dell'Aglio, cerchi di piegare le domande per il verso creazionista, nonostante, inevitabilmente, qualsiasi serio antropologo, anche a essere cortese e non ostile al creazionismo, non può prestare il fianco.Leggiamo insieme alcune domande:
Professor Tattersall, l’emergere dell’uomo con la sua natura dal corso dell’evoluzione è considerato un evento unico, ma ora alcuni fisici negano che l’arrivo della specie umana sia una svolta impetuosa che cambia radicalmente l’avventura della vita sul pianeta. Perché questo principio viene contestato?Ora, a parte il fatto che mi sembra abbastanza pacifico considerare ogni emersione vitale un evento unico, sia essa vegetale o animale, non capisco come si possano fare delle generalizzazioni così spudorate. Innanzitutto: «alcuni fisici», chi? E poi, non mi sembra uno scandalo negare il fatto che la specie umana sia «una svolta impetuosa», giacché non sappiamo, non potremo mai sapere, cosa sarebbe accaduto nel caso essa non fosse emersa quale altro tipo di svolta potremmo avere avuto. A dircelo è lo stesso criterio adottato da coloro che vorrebbero torcere il principio antropico al servizio del creazionismo. Lo fa lo stesso Dell'Aglio che, successivamente, fa questa domanda
"L’universo aspettava l’uomo", dicono molti astrofisici sottolineando la quantità di condizioni favorevoli e di complesse attitudini grazie alle quali la specie umana ha potuto insediarsi sulla Terra. Alla luce di tutto questo, si potrebbe usare il concetto di "principio antropico" anche in paleoantropologia?Da «alcuni fisici» (delle merde, in pratica) qui si passa a «molti astrofisici» (dei geni in odor di nobel); l'importante è comunque non fare il nome di alcuno, tante volte arrivino telefonate in redazione.
L'impudenza creazionista, tuttavia, permea tutte le domande. In particolare, per ultimo, vorrei segnalare questa riportando anche la risposta di Tattersall che, secondo me - anche se non ho le prove - è stata tradotta capziosamente.
Nella disputa sull’origine della specie umana sembra ora accentuarsi e ora attenuarsi la spinta a invalidare la teoria dell’evoluzione. Tra gli antropologi credenti si fa notare che l’uomo non è la negazione dell’evoluzione. Al contrario, l’uomo "è la freccia dell’evoluzione, come diceva Teilhard de Chardin…».
«Teilhard era certamente nel giusto quando vedeva gli umani come un prodotto del processo evolutivo. Ma erano un unico prodotto di quel processo. Con alcune specialissime caratteristiche, soprattutto di tipo cognitivo».
Io sospetto che, per non dare troppo risalto alla stroncatura del pensiero spirituale ma non scientifico di Teilhard de Chardin, l'intervistatore abbia omesso l'avverbio “soltanto” in questo punto: «ma erano [soltanto] un unico prodotto di quel processo», oppure, meglio: «ma erano unicamente un prodotto di quel processo». Ma, ripeto, il mio è un sospetto.Tuttavia, rammentare ancora il pensiero di Teilhard de Chardin, - ha smesso persino Ravasi di citarlo,, per intendersi - è cosa veramente insulsa; come scrisse Peter Medawar relativamente al Fenomeno uomo, (l'opera forse più famosa del teologo-gesuita), «Si può scusare l'autore per la sua malafede solo se si pensa che, prima di ingannare gli altri, si sia dato gran cura di ingannare se stesso»*
*Citazione presa da R. Dawkins, L'illusione di Dio, Mondadori, Milano 2007 pag. 156