Uno dei miei più cari amici a Oslo andava a scuola con uno che suonava nei Mysticum. Credo fosse Robin Malmberg, o forse addirittura più di uno, non ricordo bene. Siamo ad Asker, provincia di Oslo, primi anni Novanta. Ora, si dà il caso che il mio amico avesse una grande passione per il cinema d’essai francese e avesse fondato un cineclub di provincia dove propinava Truffaut, nouvelle vague e via dicendo ai suoi coetanei. Una sera, secondo il suo racconto, si presentò Malmberg alla cassa, con intenzioni non propriamente amichevoli e in compagnia di un pastore tedesco. Come sia andata a finire la storia non lo so – è anche passato molto tempo, quindi potrebbe anche non essere del tutto esatta – ma mi è tornata alla mente perché del tutto aderente con il significato di questo Planet Satan.
In the Streams of Inferno (1996, se non sbaglio) era un album geniale, basato su due elementi chiave del primo black metal norvegese: riff alla bell’e cazzo e adorazioni del dimonio. A questo si aggiungevano un certo interesse per le sostanze psicotrope, soprattutto se pesanti, e un tizio addormentato su una drum machine lanciata a rotta di collo. Un disco pensato, scritto ed eseguito da e per buzzurri, che nella sua semplicità esprimeva perfettamente il potenziale creativo che il genere aveva all’epoca.
Come più o meno tutti sapranno, In the Streams of Inferno sarebbe dovuto uscire per la DSP di Euronymous, ma la sua morte prematura fece naufragare il progetto. Fin dall’uscita per l’americana Full Moon, i Mysticum hanno annunciato l’imminente successore, Planet Satan. Hanno continuato a farlo per 18 anni. Fate un po’ voi. Non ho ben capito (lo troverete in qualche intervista), ma immagino che il materiale sia sempre quello, più o meno rimaneggiato. Se volete, la cosa ha un che di romantico e di idealista. Uno ci mette 18 anni a pubblicare un disco che suona esattamente come avrebbe dovuto suonare all’epoca, forse con dei suoni vagamente migliori. Insomma, quest’album è, in buona sostanza, come presentarsi in un cineclub dove proiettano Truffaut, disposti a menare le mani e accompagnati da un pastore tedesco. Incuranti che di mezzo ci siano stati gli Aborym, i Diabolicum, i Black Lodge, solo per citare i primi che mi vengono in mente.
E il disco com’è? Per quanto mi riguarda, è il disco scritto da e per buzzurri che ho atteso per 18 anni (con gli intermezzi dell’ottima Black Magic Mushrooms e di Eriaminell). Giudicarlo con criteri estetici non ha molto senso, così fuori tempo massimo, e mi rincresce soltanto che la band esprima, in episodi come The Ether o Fist of Satan, qualche velleità intellettuale che avrebbe potuto risparmiarsi. Il resto è tutto integrità e ricordi.