John , grigio impiegato che fa della mediocrità la sua qualità dominante, riceve la visita di Ingrid, sua ex convivente che è venuta solo per ritirare la sua roba che lui diligentemente ha inscatolato. Tutto avviene senza problemi anche se è evidente che la loro rottura è stata qualcosa di traumatico soprattutto per lui. Intanto conosce le sue vicine di casa, Anne e Kim, forse sorelle o forse no, comunque a prima vista poco raccomandabili che in breve lo mettono al centro di un sadico gioco di seduzione ed inganno. Forse.
Ho scoperto Pal Sletaune col suo ultimo film Babycall e , nonostante un finale in cui si sente puzza di imbroglio , ho apprezzato la sua capacità di costruire atmosfera e suspense.
In Naboer tutto questo è elevato all'ennesima potenza. In un crescendo di eros e di masochismo viene innalzata sempre più l'asticella della perversione fino al climax raggiunto in una sequenza raggelante di sesso e violenza, girata in maniera molto asciutta e senza compiacimento.
Naboer è una scheggia d'orrore psicologico girata tutto in interni in cui la tensione è assicurata per tutti i 72 minuti della sua durata. Sia la casa di John che quella delle sue due vicine di casa diventano dei labirinti inestricabili che sottintendono che ci sia qualcosa che non è dato sapere allo spettatore.
E questo qualcosa mano mano diventa più chiaro con il passare dei minuti.
John è sottoposto a un'odissea fisica in appartamenti che sembrano vasi comunicanti tra di loro in cui ogni porta si apre alternativamente su mondi nuovi e a una vera e propria odissea mentale in cui la sua psiche è stravolta da suggestioni sempre più difficili da metabolizzare.
Un gioco al massacro con la tecnica delle scatole cinesi in cui nulla e nessuno vengono risparmiati.
Il film di Sletaune usa gli ambienti come strumenti di tortura, i corridoi sembrano dei cunicoli asfissianti mentre lo squallore domina incontrastato, la claustrofobia diventa ben presto la sensazione dominante .
E John gira in lungo e in largo lungo degli itinerari obbligati che come in un percorso a cerchi concentrici lo riportano sempre al punto di partenza o a qualcosa che gli somiglia molto.
L'unico risultato che si ottiene è l'implosione della sanità mentale di John, al centro di un vortice di fatti accaduti o forse no, omicidi e incontri occasionali con personaggi surreali.
O forse sono tutte proiezioni mentali.
Come in Babycall da un certo momento in avanti ( e il bello è scoprire quando sarà questo momento) diventa difficile disitinguere tra realtà e fantasia di John ma stavolta la rivelazione finale ha quella plausibilità che manca all'ultimo film di Sletaune che chissà perchè imbocca la strada del soprannaturale per spiegare tutto in un finale shyamalanesco.
Qui invece nessuna scorciatoia.
Naboer ha molto del Repulsion di Polanski : gli oggetti della routine quotidiana diventano davanti alla cinepresa delle possibili fonti di orrore , il loro decadimento ( la carne nel film di Polanski ) diventava una sorta di misurazione empirica dello stato di decadimento psicofisico della protagonista, una indimenticabile Catherine Deneuve.
Sletaune invece usa lo squallore sempre crescente degli ambienti per arrivare a una conclusione che rimette in discussione tutto quanto visto nei 70 minuti precedenti.
La sequenza finale è un qualcosa che non si dimentica tanto facilmente.
Naboer è un film girato con un pugno di corone norvegesi, tutto in interni e con meno di dieci attori , povero di budget ma con una grande idea, anche se non originalissima, alla base.
Testimonianza ulteriore che il cinema non necessita del grande budget per appassionare le platee.
Questo thriller norvegese ha dalla sua una forza centripeta talmente prorompente che è impossibile resistere.
Appena iniziato anche lo spettatore viene irrimediabilmente catturato nella ragnatela tesa ad arte da Sletaune e dalle sue fide sacerdotesse.
Un po'come John.
( VOTO : 7 + / 10 )