Nono capitolo del ciclo dei Rougon-Macquart, Nanà è uno dei romanzi più letti di Émile Zola, il maggior esponente del Naturalismo francese. Esso è il seguito (ma non il libro immediatamente successivo) del più noto L'Ammazzatoio, poiché la ragazza il cui nome dà il titolo al libro è la figlia dei protagonisti. Solo tre anni separano Nanà dalla storia dei suoi genitori: il romanzo viene pubblicato nel 1880, ma già nel 1877, colpito dalla sua apparizione ne L'Assomoir, il pittore Édouard Manet ne ha ritratto la protagonista. Con i suoi capelli d'oro e le rotondità che Zola descrive come le sue infallibili armi di seduzione, Nanà volge con naturalezza lo sguardo al suo spettatore come solo le modelle di Manet sanno fare. Ma tale sfrontatezza emerge anche nelle pagine del romanzo a lei dedicato, e i rapporti fra Zola e Manet sono un buon motivo per pensare ad un'influenza reciproca.
Nanà è un'attricetta parigina che riempie il Teatro di Varietà non con la sua bravura (che, anzi, è negata all'unanimità), ma grazie alla sua prorompente femminilità: gli ammiratori la tempestano di fiori e di richieste di appuntamento, ma è nel suo appartamento parigino che ella conduce la sua vera vita, come amante capricciosa circondata di frivolezze. Mantenuta dal conte Muffat, ossessionato dall'incubo della dannazione ma incapace di resistere alla sensualità di Nanà, la giovane passa da un'avventura all'altra non tanto per piacere (si dichiara, al contrario, disgustata dagli uomini), ma per la fascinazione del lusso e della bella vita e, soprattutto, per il godimento che le dà sapere di essere in grado di dominare qualsiasi uomo le si avvicini. Ella usa la propria bellezza per ottenere denaro e oggetti di lusso, per riempire di merce esagerata e pomposa i suoi appartamenti, senza curarsi del dolore che infligge a chi, come il giovane Georges, la ama davvero e volgendo la sua lealtà alle persone sbagliate, dalla sventurata Satin, che rifiuta di farsi togliere dal marciapiede, al violento Fontan, che per lei ha solo ceffoni.
Ambientato nei luoghi esclusivi della borghesia francese di fine Ottocento, Nanà si presenta come un atto di denuncia sociale che addita le falsità dei rapporti della 'Parigi bene', in cui ciascuno si impegna a tradire il coniuge ma dà mostra di voler salvaguardare la propria immagine e il decoro familiare, lo strapotere del denaro, che induce alle falsità più grandi, e l'artefatto perbenismo di chi, come Muffat, non sa resistere agli istinti carnali. L'umanità descritta da Zola è un insieme indistinto di passioni, morbosità, pulsioni contrastanti, in una parola di bestialità. Lo scrittore, fedele alla lezione naturalista che incarna non solo con il ciclo dei Rougon-Macquart ma anche con l'attività di giornalista, analizza la società del suo tempo nel dettaglio, indagandone i comportamenti con la precisione di uno scienziato, con la sottile ambizione di produrre una spinta al miglioramento civile.
Seguendo, nella scelta di una storia incentrata su una prostituta, il filone di una narrativa già ampiamente sperimentata in Francia (pensiamo a La signora delle camelie e, in parte, a I misteri di Parigi), l'autore modifica però la prospettiva: Nanà non è più un debole personaggio da salvare o da riscattare, ma l'incarnazione del desiderio che ossessione la buona società, il simbolo della brama che distrugge e irretisce ogni cosa e ogni persona, fisicamente, moralmente o economicamente. Nell'immagine dell'immensa Nanà che calpesta le sue vittime scorgiamo un monito sociale forte che, però, viene piegato al più consono dei finali.
Le aspettative su questo romanzo erano molto alte, e forse per questo sono rimaste in parte deluse. Mi aspettavo una maggior incisività sociale, un intento di denuncia più potente, un'analisi meno convenzionale nelle immagini e nelle sequenze proposte. L'oggettività che avevo imparato scolasticamente a considerare come la caratteristica portante della narrativa naturalista in questa esperienza di lettura non si è presentata come tale: vero è che di Nanà non viene mai indagato il pensiero, quasi ella fosse un corpo da analizzare scientificamente, da vivisezionare, ma di Muffat, il suo burattino principale, Zola rivela i più reconditi pensieri, le pulsioni più vergognose, scavando nella sua interiorità in modo quasi eccessivo per buona parte del capitolo quinto. Originale è la sfilata dei vari personaggi nei luoghi della socialità parigina, dal teatro all'ippodromo, passando per le cene lussuose e le case di campagna, mirabili le descrizioni di Zola, ma l'allegoria di Nanà, a mio avviso, comporta l'ammissione di un residuo di moralismo letterario che, pur non essendo negativo, appare però tutt'altro che scientifico. Nella Nanà che simboleggia la Parigi del Secondo Impero alla vigilia della disfatta di Sedan (1871) appare chiaro l'intento dell'autore di proporre una grande metafora del suo tempo, di una nazione che si erge a giudice dei destini di un intero continente e fa acuire i peggiori vizi umani per poi crollare e diventare niente più che un oggetto di compianto. Tale simbologia travalica l'oggettività del Naturalismo e suggerisce, semmai, un registro decadente. Del resto l'impronta naturalistica è ben evidente nella tecnica narrativa, nella registrazione delle parlate dei bassifondi cittadini e nel ricorso frequente al discorso diretto libero, utile a lasciar parlare il personaggio, più che a farlo parlare (facilitando la cosiddetta 'eclissi dell'autore').
Attendo di leggere altri capitoli del ciclo dei Rougon-Macquart, di preferenza L'Ammazzatoio o Germinale, prima di valutare quanto Nanà possa essere dichiarato un manfesto del Naturalismo e quanto il suo impianto ricalchi le definizioni tecniche che hanno alimentato il mio preconcetto. Fino ad allora il mio giudizio su questo romanzo resta parziale: il ritmo è variabile (l'inizio è davvero troppo lento e monotono), i personaggi interessanti, gli scenari perfettamente ricostruiti, l'oggettività prevale certamente, ma non è assoluta, e, in conseguenza, dello smascheramento dei vizi sociali e dell'analisi 'scientifica', non si riesce ad amare realmente nessuno dei protagonisti, a partire dalla stessa Nanà. Mi resta da capire quanto di tutto ciò rappresenti Zola e quanto una nota caratteristica di Nanà e se il mio giudizio possa passare da un tiepido gradimento a qualcosa di più.
Come quei mostri dell'antichità, il cui terrificante reame era coperto di ossa, lei posava i piedi sui teschi. [...] La sua opera di rovina e di morte era compiuta, la mosca volata via dall'immondizia dei sobborghi, portando con sé i fermenti di putredine sociale, aveva avvelenato quegli uomini, semplicemente posandosi su di loro. Era giusto, andava bene così, aveva vendicato il suo mondo, i miserabili e i diseredati.