Moby Dick. Varuas su Deviantart
Era il 1857 quando Herman Melville, l’autore del celebre romanzo Moby Dick, viaggiando in seconda classe sul ponte di un vecchio vaporetto, sentì nell’aria che si stava avvicinando a Napoli…soon smelt the city. Lo scrittore che ha raccontato il mare dentro personaggi tanto surreali quanto umanissimi, sbarca nel clangore della città, fissando le sue impressioni in concisi e fulminei appunti sul suo diario di viaggio. Passeggiando per via Toledo, Napoli gli si rivela a piccoli sorsi. Piena di luci e caffè affollati gli ricorda Broadway, mentre s’affastellano negozi di lotterie tempestati di icone di vergini e santini, in un misto di sacra profanità e suggestione. Una visita al Museo Nazionale estasiandosi davanti alla maestosa profonda benevolenza dell’Ercole Farnese. Il Vesuvio a dorso di cavallo…come una liquirizia congelata fino a Pompei descritta così: La stessa antica umanità. Che si sia vivi o morti non fa differenza. Pompei è un sermone incoraggiante. Amo più Pompei che Parigi.
Herman Melville
Poi, per le strade, in angoli o tra la folla, Melville annota anche un costante sottofondo: soldati, alcuni silenziosi come un mare in calma piatta, scariche di baionette, cannoni puntati verso i quartieri popolari, sentinelle militari continuamente in ronda. Si percepisce una certa tensione, che sfiora lo stato d’assedio: sono anni fibrillanti quelli, in un’Italia che ancora non esisteva e sarebbe stata creata da lì a poco. Rimbombava ancora l’eco dell’assedio di Messina, dove anche gli infermi ed i malati dell’ospizio di Collereale furono massacrati. Dell’assedio, che costò a Ferdinando II il Borbone l’appellativo di Re Bomba, doveva saperne anche Melville, se diversi anni dopo compose il poemetto, rimasto inedito: “Napoli al tempo del re Bomba” (Naples in the time of Bomba).
Statua di Ferdinando II di Borbone a Pietrarsa
Sebbene Melville fosse un conservatore, come afferma il prof. Gordon Poole, che ha curato la traduzione del poemetto, egli era pienamente consapevole della durezza del regime soppressivo di Ferdinando, un re comunque molto attento all’innovazione tecnologica, ma d’altro canto, con sguardo lungimirante, forse dovette pensare che dietro i moti rivoluzionari e risorgimentali si potesse instaurare un’altra tirannide, un nuovo dispotismo borghese del business. Una riflessione che rimane aperta su un pezzo di storia d’Italia che ci riporta, sull’onda dei viaggiatori di Mare Dentro, a guardare il mondo con occhi curiosi, critici e consapevoli.