In base a ricerche di natura storica, analisi statistiche, dati empirici Angelo Forgione, srittore e giornalista, ci rivela che Napoli e il Mezzogiorno sono le ultime regioni d’Europa per prodotto interno lordo pro-capite, e come se non bastasse la macro-area più arretrata, estesa e popolosa dell’Eurozona.
Tenendo ben presente che non esiste una stretta relazione e consequenzialità tra i dati del prodotto interno lordo pro-capite e qualità della vita, e che la maggior parte dei punti di riferimento statistici convenzionali peccano di vetustà di approcci, è comunque evidente lo stato di arretratezza delle regioni meridionali italiane rispetto al centro-nord dell’Eurozona. Esistono precise ragioni politiche, storiche, economiche, sociali perché Angelo Forgione restituisce queste tesi, ma, sicuramente, non può essere più fatto un ragionamento meridionalista, ma europeo.
Lo schiacciamento delle più diverse economie nazionali al di sotto di un unica valuta ha aggravato ancora di più le locali situazioni di arretratezza e sottosviluppo, ma quest’ultima è solo una considerazione superficiale in un contesto in cui l’ultima crisi sistemica e di sovrapproduzione lo ha reso ancora più rimbombante.
In base ai dati economico-politici degli ultimi 100 anni, secondo Forgione, la Campania ha subito un lento declino e una riduzione enorme della ricchezza. Le cause più rilevanti di questo divario tra Nord e Sud sono precise pianificazioni economiche, specifiche scelte politiche, che hanno riconfigurato il meridione d’Italia come territori di saccheggio, luoghi in cui lo sfruttamento delle risorse energetiche, minerarie, agricole vanno a esclusivo vantaggio di un Nord parassita.
Quasi come fu per il Vicereame spagnolo, per quanto Napoli e il Mezzogiorno resistano ponendo un argine di cultura scientifica e creativa accumulata socialmente tra i più storicamente avanzati, le terre meridionali stentano ad emanciparsi e vengono ridotte a un bacino nazionale e internazionale di approvigionamento. Il meridione d’Italia non riesce a mantenere quelle ricchezze che le garantirebbero prosperità in loco, e per tale motivo non riesce a ridistribuire la ricchezza prodotta socialmente al Sud.
Come si potrebbe pensare, attualmente ciò non dipende semplicemente dalla “crisi”, o da “un’arretratezza congenita” dei popoli meridionali, ma soprattutto dall’assenza di una base produttiva forte e, soprattutto, di classi di lavoratori intraprendenti. Questo e altro negli ultimi 50 anni ha determinato la plebeizzazione culturale ed economica del Mezzogiorno.
Bisogna, in conclusione, ripensare l’Italia e con essa l’Europa, un nuovo tipo di società capace di ristrutturarsi come un unica e specifica entità culturale, a partire da esperienze comuni di emancipazione, e non continuare a identificarsi con la vuota espressione di Eurozona.