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Napolitano: il peggiorismo peggiora

Creato il 15 marzo 2012 da Albertocapece

Napolitano: il peggiorismo peggioraAnna Lombroso per il Simplicissimus

“Il logoramento della maggioranza di governo e l’emergenza di un rischio di vero e proprio collasso finanziario pubblico hanno determinato la necessità di ricorrere anche in Italia a soluzioni non rinvenibili entro gli schemi ordinari…..
Questo è stato il senso della soluzione rappresentata dal formarsi del governo Monti, e dal decisivo pronunciarsi di una larghissima parte del Parlamento a suo sostegno col voto di fiducia. È nell’interesse comune che lo sforzo intrapreso, con significative proiezioni in sede europea, continui e si sviluppi in un clima costruttivo. Fuori discussione sono le prerogative del Parlamento e le esigenze di un corretto confronto tra governo e forze sociali.
Non intervengo nel merito di alcuna questione politicamente o socialmente controversa: metto però in guardia contro la pericolosità di reazioni, a qualsiasi provvedimento legislativo, che vadano ben al di là di richieste di ascolto e confronto e anche di proteste nel rispetto della legalità, per sfociare nel ribellismo e in forzature e violenze inammissibili”.

Lo spot in favore di Monti del Presidente Napolitano in prima pagina su la Repubblica, più che un tono incoraggiante alla condivisione di “necessari sacrifici”, presenta inequivocabili sfumature intimidatorie e non certo delle inopportune esternazioni di ministre che ai più suonano come indecorose provocazioni. Non entro nel merito dell’inserzione pubblicitaria (e poco cambia che si tratti della pubblicazione di parte dell’intervento pronunciato in occasione del contestato conferimento della Laurea Honoris Causa all’Università di Bologna) che, si direbbe, segna il definitivo passaggio dal migliorismo al peggiorismo.
E che è percorsa dai tradizionali vibranti richiami a quell’Europa sempre più espressione finanziaria, dal rituale richiamo al senso di responsabilità e alla cooperazione attiva all’adozione di scelte volte a fronteggiare le emergenze di questa fase critica, sul piano finanziario ed economico, per l’Italia e per l’Europa. Ed anche dalla prospettiva di una definizione credibile della revisioni di norme della seconda parte della Costituzione, come si riuscì a fare anni fa solo con la riforma del Titolo V in senso più conseguentemente autonomistico.

Non serviva rivendicare con tanta potenza che questo non è un governo tecnico, ma il governo del Presidente: tutte le mosse fin dall’inizio ce ne avevano convinti. E tanto per essere chiari se ci preoccupavano i proclami di Berlusconi : «Dobbiamo cambiare la composizione della Corte costituzionale, dobbiamo cambiare i poteri del Presidente della Repubblica e, come avviene in tutti i governi occidentali, attribuire più poteri al governo del Presidente del Consiglio», non è che si guardi con sollievo a una sia pur sobria ma acrobatica estensione dei poteri al Presidente della Repubblica, insomma una spallata delicata come i poke su Facebook ma determinata e decisa. Data senza reazioni grazie alla fiducia riposta dai cittadini in Napolitano, cui hanno attribuito la funzione di ultimo custode della legalità costituzionale rispetto a chi voleva trasformare l’investitura popolare in un “lodo” che lo ponesse al disopra delle leggi.
Ma decisamente, come il suo governo, Napolitano parla anche perché troppi sono silenziosi, o ridotti al silenzio. Se la voce delle istituzioni non deve spegnersi tanto meno si deve spegnere quella dei cittadini in nome di uno stato di emergenza legittimato a zittire quelle che i tecnocrati e i loro fan trattano da “ingenue idealità etiche” e che invece riguardano certezze, garanzie, diritti.

Molti hanno visto nel formarsi extra o postparlamentare del governo Monti, voluto dal Presidente della Repubblica e accettato più o meno obtorto collo dalle intere Camere, esclusa la Lega, un passaggio salvifico che ci ha estratti dalla palude del berlusconismo. Molti vi hanno voluto leggere una superiore saggezza e oggettività, interpretazione spericolata della tecnica e della fedeltà a indiscussi padroni, impegnate a sostituire competenza, senso dello stato, lungimiranza e politica. E per molti il decisionismo del Presidente della Repubblica – che molta stampa e non solo vorrebbe già fornito dei poteri relativi e dunque di una costituzione presidenziale – rappresenta il coronamento accettabile e istituzionalmente corretto del superamento degli odiosi e inutili partiti, ormai spauriti e appartati.
Alla base di un consenso quasi plebiscitario, rotto solo dall’audience alta ed evidentemente non contraddittoria del programma della Guzzanti, resiste l’equivoco antico e irrisolto che considera a-politica una compagine tecnica. Eppure per sua stessa ammissione questo è in assoluto il governo più ideologico che si possa immaginare, per la sua natura liberista, per l’appoggio senza sorprese del moderatismo della Chiesa di Roma, per la consegna senza condizioni al potere “proprietario”: la liberazione violenta dai lacci e lacciuoli che si era conquistato il lavoro, il rifiuto alla Tobin Tax, la differenza scandalosa fra l’imposizione sul lavoro e quella sull’impresa, il perpetuarsi della franchigia delle transazioni finanziarie per miliardi, l’azzeramento dei referendum per assegnare i servizi pubblici ai privati, la innaturale prudenza sul contrasto alla corruzione, il teatrino ben orchestrato sull’evasione.

Il governo Monti non è né tecnico né oggettivo, è onestamente e dichiaratamente di parte. Ragione vorrebbe che essere di parte sia meglio che essere corrotto, è vero. Ma non è che poi gli effetti siano così differenti nella tremenda poltiglia che non distingue più fra destra e sinistra, sfruttatori e sfruttati, fra chi ha e chi non ha, chi si è arricchito e chi si è impoverito, fra redditi da capitale e redditi da lavoro, tra flessibilità e precarietà, tra diritti e privilegi, tra austerità e iniquità.
Il richiamo all’inevitabilità delle amare medicine di Monti in nome dello stato di eccezione e della necessità di corrispondere ai requisiti dell’appartenenza all’Europa, hanno ben poco di eccezionale: dettate ormai da un ventennio dalla cogenza della Costituzione scolpita nei trattati di Maastricht e sempre confermata da tutti, tra scossoni politici e referendari, con convenzioni e trattati a Amsterdam, Nizza, Lisbona, fino al fiscal compact dei nostri giorni, vagliato e varato, nel disinteresse generale, già da Commissione e Parlamento europei, ancor prima dei diktat di Angela Merkel e oggi inevitabile e indiscusso anche da noi.

C’è chi dice che la presunta illegittimità democratica del governo Monti altro non sia che la sospensione della competizione tra partiti e tra schieramenti, indotta non solo dalla condizione di emergenza ma anche dalla benefica “emarginazione” di organizzazioni non più rappresentative. Uno storico che certamente non appartiene alla corrente bolscevica ha sottolineato come l’uomo del Colle, sin dall’inizio del 2011, abbia progressivamente accentuato il suo protagonismo determinando la partecipazione italiana alla guerra Nato contro la Libia, a dispetto del trattato Italia-Libia, sollecitando l’accordo tra sindacati e Confindustria, assumendo un ruolo sempre più esecutivo: “L’espressione di governo del Presidente, certamente estranea al linguaggio dei costituenti…. con un esecutivo che governa e un Parlamento che vigila sembrano quasi alludere ad un semipresidenzialismo” alludendo come l’azione di Napolitano sia al di fuori della forma e della sostanza della Costituzione che non prevede nulla di ciò che è stato fatto: il presidente non ha la facoltà di nominare chicchessia a suo piacimento al governo, bensì ha la facoltà di sciogliere le Camere e di indire nuove elezioni, con un ruolo di controllo e garanzia della Costituzione, non esecutivo.

Non so se quella a cui assistiamo sia l’apocalisse della democrazia, ma è certo che il governo Monti è un governo di classe in forma pura, richiesto a gran voce dai centri del grande capitale italiano, molto prima che dall’Europa, con l’annullamento delle mediazioni di classe. Chiamato a fare ciò che nessuno schieramento o partito può permettersi di fare, perché significherebbe pagare un forte scotto alle prossime elezioni. I partiti estromessi, il messaggio di Napolitano è chiaro, saranno recuperati più avanti, pronti ad essere riutilizzati. Ma intanto sospendendo la democrazia, si è rivelato il potere del capitale e del mercato sulla società in una accelerazione del passaggio da governo di emergenza a governo bellico, quello consono a una guerra vera e propria contro i lavoratori, contro i cittadini, contro i laici, contro la solidarietà, contro la libertà. Una guerra che ci impone di stare dalla parte giusta.


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