Ho voluto leggere Narciso e Boccadoro prim’ancora del mio amico, che aveva comprato per sé il romanzo di Hermann Hesse, scritto nel 1930.
Pensavo di restituirglielo in breve tempo, perché all’inizio la lettura mi aveva davvero preso – tra l’altro, l’edizione della collana “Classici Chrysalide” della Mondadori è intrigante, ha i bordi delle pagine neri e l’effetto è originale e curioso.
Ero attratta dalla polarità di queste due creature opposte, anche se, dei due, solo uno ne aveva consapevolezza. Sono tra chi ritiene che le contraddizioni nella vita reggano l’equilibrio del mondo.
Narciso e Boccadoro è un bildungsroman (romanzo di formazione) che spesso si consiglia agli adolescenti, ma, visti i tempi di maturazione dei giovani d’oggi, fa bene leggerlo anche a 20 o 25 anni (o insomma, anche 30 se siete ancora alla completa scoperta di voi stessi).
Quando ci si trova di fronte a uno scritto complesso e profondo, viene da chiedersi quanta autobiografia sia presente fra le righe. Ebbene, la risposta ho voluto cercarla dopo aver finito di ascoltare Narciso e Boccadoro. Solo dopo, infatti, ho letto i cenni biografici di Heman Hesse, Premio Nobel per la Letteratura nel 1946.
Boccadoro entra in convento appena adolescente, accompagnato dal padre, un signore maturo, dal volto preoccupato e un po’ contratto.
L’inizio della permanenza in convento non è delle migliori. Boccadoro fa fatica ad avere amici veri, pur instaurando buoni rapporti con tutti. Ci sono due figure che lo attraggono particolarmente: l’abate Daniele e l’assistente Narciso. Quest’ultimo, a dispetto dell’omonimo personaggio mitologico, è un giovane stimato da tutti per la profondità dei pensieri e la rara erudizione.
Boccadoro e Narciso hanno profili fisici e personalità contrapposte.
È grazie a Narciso che Boccadoro comincia a interrogarsi sulla sua vocazione, non solo come scelta di vita religiosa, ma come senso, direzione, ragione della propria vita (“vocazione” è una parola bellissima, ma un po’ temuta, perché ricondotta sovente a scelte di sacerdozio o vita consacrata, mentre indica piuttosto la predisposizione che siamo chiamati a realizzare per essere pienamente noi stessi). È quel giovane pensatore, capace di leggere negli animi, a risvegliare in Boccadoro ricordi sopiti.
Se Narciso è espressione del pensiero, dell’astrazione, dell’ordine regolatore, Boccadoro è incarnazione del principio del piacere che sospinge e dà senso alla vita.
In virtù di una spinta più forte di tutte le intenzioni e i progetti ipotizzati, Boccadoro, terminati gli studi, va via dal convento. Da quel momento si lascerà trasportare dall’ebbrezza della vita, dai piaceri delle donne (ne incontrerà molteplici, ciascuna con tratti differenti, in grado di insegnargli e dargli amore, eccitazione, passione, ma anche conoscenza e possibilità di crescita), si sporcherà le mani di sangue, vivrà da vagabondo, vedrà gli effetti della peste, diverrà artista, tornerà a Mariabronn per salutare l’amico Narciso (Hermann Hesse frequentò per un periodo il seminario di Maulbronn) e si abbandonerà all’abbraccio della madre.
Nonostante il titolo presenti due protagonisti, tutto avviene per iniziativa o in conseguenza delle azioni di Boccadoro. Quando si allontana dal convento, la figura di Narciso scompare apparentemente, ma resta vivida nei ricordi e nei desideri del giovane. Non un’ombra, bensì una presenza silenziosa.
La maggior parte del romanzo è incentrata sul vagabondaggio di Boccadoro, sulle sue avventure, scoperte, difficoltà. Sono tanti i personaggi che si susseguono nei dieci anni di vita errabonda e sono soprattutto donne, perché ciascuna è custode del segreto della vita, ne è linfa e principio.
Eppure, devo ammettere che tutto il suo peregrinare, i suoi continui incontri, la sua irrequietezza, l’ossessione (in un certo senso) per l’amore e le donne mi hanno stancato. Tuttavia, riconosco che anche le numerose figure femminili non sono mai scontate o ripetute; ognuna è delineata con pochi ma precisi lineamenti, che danno una chiara idea tanto dell’aspetto fisico quanto del loro temperamento.
Per questo ho sospeso la lettura per un po’ e l’ho ripresa a distanza, per poi concluderla definitivamente l’ultimo dell’anno, a pochissime ore dall’arrivo del 2015. Come a segnare la fine di una storia, di una vita e del tempo di cui disponiamo o vogliamo disporre per un libro.
Ho sempre seguito con molta attenzione, invece, i dialoghi esistenziali tra Narciso e Boccadoro (che risentono dell’influenza della filosofia di Nietzsche e Aristotele), ci ho riflettuto, ho provato anche a intervenire, ma non volevo interromperli e così ho annotato tutto a parte. Più volte ho sentito risuonare le parole dell’erudito: tu sei un artista, io un pensatore. Tu dormi sul petto della madre, io veglio nel deserto.
Ognuno di noi ha un’attitudine (vocazione) dentro di sé, un moto propulsore che da potenza diviene atto, in grado cioè di trasformare una possibilità in decisione o azione concreta.
E voi chi volete essere? Il pensatore o l’artista: Narciso o Boccadoro?
Hermann Hesse, Narciso e Boccadoro, Mondadori, pp. 364, 9,50 euro.
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