Pubblicato da Giovanni Nuscis su marzo 29, 2012
L’ultima raccolta poetica di Narda Fattori, edita da L’Arcolaio di Gianfranco Fabbri, Le parole agre, richiama forse intenzionalmente, nel titolo, il noto romanzo di Bianciardi; esprimendo in effetti, in misura marcata, una visione sconsolata della vita, anche se non in modo assoluto. Come osserva Ivano Mugnaini nella sua prefazione vi “domina, certo, l’asprezza delle immagini e delle situazioni. Al suo fianco però, tenace, quasi tenuta in vita controvoglia, come qualcosa che ci esprime e ci sostenta quasi nostro malgrado, c’è, a volte, ostinata, riconoscibile al di là di ogni crepuscolo, una forma di speranza, una luce che emerge dall’ombra.” Le parole, infatti, come è dato osservare già dai primi testi, esprimono anche dell’altro: “Io gioco con le parole e con le parole/canto e rido e faccio convito/ballo la loro musica sempre variata…” E non è poco: cosa sarebbe l’urgenza espressiva senza la gioia intima del dire, del gioco con le parole? La poesia, e l’arte in genere, non possono essere solo coercizione. “Parlare, ascoltare. Trovare racconti mai narrati, dirli con gioia. Scoprire l’altro nelle storie che racconta” scriveva Sergio Atzeni (Passavamo sulla terra leggeri). Il gioco è anche gratuità, dedizione totale di sé stessi. Ed ecco anche la speranza a cui accenna Mugnaini: “Ma io so che/la forza di una sola goccia/scava abissi crea stalagmiti//dentro quella goccia attendo/il diluvio che laverà via/il belletto degli istrioni/e finalmente contro il nuovo sole/solo innocenza e gratuità del fare.”
Il libro, altra osservazione da condividere col prefatore, “esplora […]con energia autentica e sincera, quello spazio che unisce e separa il ricordo dal presente, l’idillio dalle contingenze amare di un’epoca rapida e brusca.” Anche se “nessuno riuscirà a raccontare la quantità/di male e di dolore che spadroneggia/sulla terra.” Sforzo, del resto, dagli esiti spaventevoli: “A raccontarla la favola del dolore/a raccontarla intera/senza un lieto fine senza una fine…”. Il poeta, quando non canta la bellezza del mondo, ne rappresenta il dolore, l’assurdo, la banalità, l’orrore; percependo su di sé, per primo, la frizione della realtà col sogno, del desiderio con le forze oscure o palesi che l’opprimono, in una lotta impari; sapendo che nessuno, per questo, è totalmente colpevole, né l’esatto contrario (“E nessuna mano è innocente/se pure rimbocca le coperte e canta/una ninna nanna dei giorni andati/che tinse l’infanzia di sogni/poi la strizzò come panno bagnato.”), cercando sempre la giusta distanza con le cose del mondo, tra coinvolgimento totale e freddo distacco (“Non so accordare arpe/raccontare fole per adulti/passarvi una buona medicina//il mio canto è stonato/stracciata la partitura/…/Non mi inganna neppure il gallo/che al levar del sole tace/per non tornare a cantare/il tradimento.”). Ma il dolore e la disillusione che pervadono profondamente la raccolta, mettono a nudo l’uomo e la sua fragilità costituzionale, nelle relazioni e nelle scelte, e la solitudine; ricorrono così parole come abbandono, ferite, dolore (“i semi del dolore non germinano/sterili infestano sotto la corteccia l’albero”; “l’avessi saputo con una sicura certezza/mi fosse toccato un qualunque abbandono/ora anch’io avrei il palmo fiorito/invece il dubbio mi ha indurito le arterie/e tuttavia morirò con un sorriso…”). Ma, come dicevamo, non manca la speranza, come una luce ora vicina ora lontana, nell’incertezza dei giorni.
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Giungerà il tempo del pensiero chiaro
e si diranno nomi e cognomi nei crocicchi
forse si sparlerà ma ci sarà chi alla gioia
donerà un concerto di note melodiose
ai miei assilli si troverà rimedio
ai miei nipoti si appronterà un domani.
Saranno tempi allegri di giustizia
e avrà avuto un senso vivere
e anche morire si potrà con un sorriso
sotto le palpebre chiuse.
E nelle culle i nati avranno un futuro
buono come il latte materno
caldo come un seno per cuscino.
Sarà un sogno che si dilegua al nuovo giorno.
Sarà la mia gioventù che ancora brucia sotto le rovine.
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Narda FATTORI
LE PAROLE AGRE
L’Arcolaio di Gianfranco Fabbri (Forlì 2011)
Prefazione di Ivano Mugnaini