Per me, che, se non costassero così tanto, sarei una collezionista di Moleskine, questo libretto di Pellai è graziosissimo: copertina rigida, elastico per tenerlo chiuso, illustrazioni artistiche (www.picciolini.de), pagine rigate (non bianche!) per scrivere i propri appunti, la propria biografia… wow!
In attesa che escano le mie due riflessioni su sololibri.net ne scrivo qui.
Lo vedo come un libretto più indirizzato agli uomini che, da figli, rischiano poi di rivivere lo stesso rapporto freddo e razionale coi propri, di figli. Però, si sa, mentre è raro che un uomo legga libri indirizzati alle donne, il viceversa è molto frequente. E produttivo.
Mi piace questa idea di narrativa psicologiamente orientata, anche se, forse, alla fine tutta la narrativa è così: che senso ha scrivere se non si parla dell’essere umano com’è davvero?
E ammiro l’autore, Pellai, che da medico psicoterapeuta si è cimentato nella narrativa: magari il risultato letterario non è canettiano, ma è sincero, si mette in gioco. Doppiamente coraggioso per la scelta della prima persona: quando scrivo io, in prima persona, devo sempre star a spiegare che non ho meditato omicidi, tradimenti, furti, e lascio sempre l’interlocutore col punto di dubbio sulla faccia. Ma forse Pellai non frequenta la mia pignola cerchia di conoscenze.
Trascrivo solo due righe sul perdono:
“(…) richiede una straordinaria competenza di natura autoriflessiva, la capacità di leggere non solo nella propria mente, ma anche nella mente altrui, si sapersi immedesimare in ciò che vedono e sentono gli altri, di andare insomma a individuare le ragioni – magari sbagliatissime oppure disfunzionali – che hanno portato ‘l’altro a comportarsi con me in un modo che mi ha fatto soffrire’. (…) è un gesto di intelligenza interiore“.