In occasione del primo compleanno di Febe avevo scritto un post raccontando della sua nascita in casa. Già durante la gravidanza, ma anche in seguito, quando parlavo di questa scelta ricevevo da alcune persone critiche più o meno pesanti. Il punto critico su cui vertono le opinioni negative è quello della sicurezza per il neonato.
Questo “problema sicurezza” è stato toccato anche nei commenti al mio post sull’epidurale, come se le due cose fossero legate, come se esistesse una fazione pro-parto in casa e una pro-epidurale e come se dovessero necessariamente essere incompatibili. Il perché di questa diatriba ancora non mi è totalmente chiaro, visto che sono convinta che una donna dovrebbe essere libera di scegliere per sè il modo e il luogo del parto (in base, certo, alle sue condizioni di salute e al procedere della gravidanza) mentre questo non avviene in Italia. Né per l’epidurale che è praticata in pochissimi ospedali (spesso solo in alcuni orari) e nemmeno per il parto a domicilio, che, non essendo offerto dal SSN si riversa in termini di costo economico interamente sulla famiglia (salvo rimborsi offerti solo da alcune Regioni).
Oggi ho letto un nuovo articolo sul parto in casa che affronta l’argomento in modo (volutamente) molto superficiale, conferendo al parto a domicilio connottati negativi di insicurezza non provati a livello scientifico o statistico.
A questo punto ho deciso di mettere anche qui nel mio blog le considerazioni che avevo fatto ad alcuni studi citati tra i commenti ad un articolo scritto da Massimo in MammaperMamma. In Italia non esistono studi su questo perché le donne che partoriscono in casa sono troppo poche e i dati sono pressoché assenti.
Lo studio pubblicato su BJOG (An International Journal of Obstetrics & Gynaecology) prende in considerazione l’Olanda ed è stato commissionato proprio perché in questo Stato il 30% delle donne partorisce in casa e la mortalità infantile è tra le più alte in Europa, dati che si credevano collegati e che invece la ricerca ha dimostrato non esserlo.
In questo studio vengono comparati i dati di mortalità infantile e materna tra parti pianificati a casa e quelli pianificati in ospedale. Vengono monitorate 529.688 donne considerate a basso rischio di cui il 60,7% decide di partorire a casa, il 30,8% in ospedale e l’8,5% non si pronuncia. Il periodo preso in considerazione è di sette anni (200-2006).
Risultati: nessuna considerevole differenza è stata riscontrata tra parti programmati in casa e quelli programmati in ospedale, per nessuno degli elementi considerati (morte durante il parto, morte del bambino durante il parto o nelle 24 ore successive o nei 7 giorni successivi, spostamento del bambino in unità di terapia intensiva). Quindi l’alta mortalità neonatale in Olanda non è dovuta al fatto che un terzo delle donne sceglie di partorire a casa.
Conclusioni: lo studio dimostra che programmare la nascita in casa NON aumenta il rischio di mortalità infantile ecc….
Perché altri studi precedenti davano risultati diversi? Gli studi precedenti si basavano su campioni troppo piccoli, oppure, come nel caso di quello australiano, non tenevano conto che molte donne che partorivano in casa lo facevano con parti “difficili” (gemellari, podalici, prematuri ecc…) e andavano quindi ad incrementare notevolmente i risultati negativi (osservazione che vale anche per la più alta mortalità infantile pre-ospedalizzazione). Uno studio americano si basava sui certificati di nascita e quindi non considerava affatto le variabili alto-basso rischio. Gli studi europei non dimostravano significative differenze tra parti iniziati in casa o in ospedale, ma i numeri a disposizione erano troppo esigui. In Olanda praticamente tutti i parti vengono recensiti in appositi registri, fornendo quindi un quadro numericamente attendibile per uno studio di questo tipo.
Nella ricerca si è considerato anche il fatto che alcuni parti sono iniziati a casa ma si è poi reso necessario il trasferimento in ospedale, senza comunque che questo abbia inciso sull’esito del parto.
- Da Wikipedia: HumanNewborn
Un altro studio è stato pubblicato da AJOG (American Journal of Obstetrics & Gynecology) e questo è quanto Massimo ha tradotto e riassunto: “…il numero delle morti neonatali per i parti programmati in casa è 32 su 16500, mentre per i parti programmati in ospedale è 32 su 33302. Non serve una calcolatrice per notare che il rapporto è circa 2:1.
Dopo questa constatazione, una donna che si informa sui rischi connessi al parto in casa giustamente si allarma, ma, visto che di rischio si parla, magari prende la calcolatrice e decide di fare un semplice calcolo delle probabilità. Vediamo cosa trova in base a questa ricerca: 0.1939% (morti neonatali parto in casa) contro 0.0960% (morti neonatali parto in ospedale). Cosa conclude? Conclude che se opta per il parto in casa va incontro ad un rischio di morte neonatale di circa l’uno per mille in più rispetto a chi sceglie il parto in ospedale. Ora la donna ha effettivamente quantificato quel rischio che il rapporto 2:1 lasciava nel vago.”
Infine una newsletter pubblicata su Saperidoc (Centro di Documentazione sulla Salute Perinatale e Riproduttiva) cita uno studio effettuato sul territorio Canadese tra il 2000 e il 2004 per confrontare gli esiti dei parti a domicilio assistiti da ostetriche con gli esiti dei parti in ospedale assistiti da medici e con gli esiti dei parti in ospedale assistiti da ostetriche.
Sono state monitorate 2.899 donne che avevano pianificato un parto a domicilio assistite da una ostetrica e non sono state escluse le donne con una presentazione podalica diagnosticata dopo l’inizio del travaglio. Il gruppo di confronto era costituito da donne che rientravano nei parametri per scegliere il parto a domicilio ma che all’inizio del travaglio avevano deciso di partorire in ospedale. Sono stati considerati due gruppi di controllo. Uno di 4.752 donne composto dalle donne che avevano pianificato un parto in ospedale assistito da una ostetrica e un altro di 5.331 donne che avevano pianificato un parto in ospedale assistito da medici e con le medesime caratteristiche (anno del parto, parità, stato civile, età materna, ospedale di riferimento) delle donne che avevano partorito a casa.
Le ostetriche che assistevano i parti in ospedale erano le stesse che seguivano quelli a domicilio, inoltre gli esiti sono stati valutati per tipo di assistenza pianificata (ostetrica a domicilio vs ostetrica in ospedale o medico in ospedale) e non per luogo effettivo del parto, quindi includono gli eventuali trasferimenti in ospedale (hanno partorito in casa 78,8% dei parti pianificati a domicilio; in ospedale 96,9% dei parti pianificati in ospedale).
I RISULTATI
Il tasso di mortalità perinatale: 0,35 per mille fra i parti pianificati a casa, 0,57 per mille fra i parti pianificati in ospedale e assistiti dall’ostetrica e 0,64 per mille fra i parti pianificati in ospedale e assistiti da un medico, senza alcun caso di morte fra 8 e 28 giorni di vita neonatale. Una errata classificazione del luogo pianificato del parto non avrebbe modificato le conclusioni dello studio: se tutte le morti perinatali avvenute nel gruppo delle donne che avevano partorito in ospedale assistite da una ostetrica venissero attribuite al gruppo delle donne che avevano partorito a casa, il tasso di mortalità perinatale sarebbe 1,4 per mille parti a casa e la differenza fra i due gruppi non raggiungerebbe comunque la significatività statistica.
Gli interventi ostetrici: sono stati significativamente inferiori quelli registrati fra le donne del gruppo del parto pianificato a casa, sia rispetto alle donne con un parto pianificato in ospedale assistito da una ostetrica che rispetto alle donne con un parto pianificato in ospedale assistito da un medico.
Interventi sui neonati (necessità di rianimazione alla nascita o ossigenoterapia oltre 24 ore): sono stati significativamente inferiori quelli registrati fra i neonati delle donne del gruppo del parto pianificato a casa, rispetto agli altri due gruppi; inoltre si è notata una minore frequenza di aspirazione di meconio e – limitatamente al confronto con i neonati nati da donne con un parto pianificato in ospedale assistito da un medico – una maggiore probabilità di essere ricoverati o riammessi in ospedale, prevalentemente per iperbilirubinemia.
Si può considerare valido questo studio anche per l’Italia? Secondo Saperidoc sì: la popolazione descritta nello studio non presenta caratteristiche diverse da quelle prevalenti nei paesi dell’occidente sviluppato con un sistema pubblico di assistenza sanitaria.
La conculsione di Saperidoc è che il parto pianificato a casa è sicuro come quello in ospedale e offre alcuni vantaggi, indipendentemente dal professionista che fornisce assistenza.
Quindi partorire in casa (se la situazione lo permette) è sicuro quanto farlo in ospedale per il bambino ed è più sicuro per la mamma.
Queste sono le conclusioni a cui si può arrivare guardando “i numeri”. Poi la percezione del pericolo, del rischio, le ansie e le paure di ogni donna sono più che legittime e sono le più diverse; per questo l’OMS dice che la donna dovrebbe avere il diritto di “partorire in un luogo che sente sicuro al livello più periferico al quale si possa garantire assistenza appropriata e sicurezza. Per una donna con gravidanza a basso rischio questo luogo può essere la casa, una casa maternità o l’ospedale”. (Documento completo – in inglese)
Inviato il 19 dicembre a 21:23
pensavo che quattro anni fa ero la 'nella famigerata sala travaglio !auguri Dennis per domani Ti Amo