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Nascita e sviluppo del movimento irredentista

Creato il 16 luglio 2011 da Ilcasos @ilcasos
Nascita e sviluppo del movimento irredentista

Finalmente!, cartolina commemorativa di Leopoldo Metlicovitz (1919)

L’analisi di Trieste – e più in generale dei territori circostanti abitati da italiani – nel periodo dell’irredentismo non può essere svolta solo seguendo un piano prettamente politico. Infatti, per comprendere a fondo la situazione in cui si venne a trovare la Venezia – Giulia sia prima che dopo la Prima Guerra Mondiale, è necessario uno sguardo omnicomprensivo che tenga conto anche del suo sviluppo economico, storico e culturale in relazione sia con l’Italia che con l’impero Austro – Ungarico, realtà che hanno lasciato un segno più profondo di quello che potrebbe sembrare, sul territorio.

1. Trieste sotto gli Asburgo

Trieste iniziò il suo sviluppo agli inizi del XVIII sec., quando la monarchia asburgica si affermò come grande potenza a seguito della vittoria sui turchi (1683) iniziando la sua espansione verso i Balcani e verso il mare Adriatico. In questo periodo la casa d’Austria cominciò a costituirsi come una monarchia assoluta e fortemente centralistica, con l’avvio inoltre di nuove politiche economiche e commerciali secondo le linee guida delle riforme e del mercantilismo.  L’Adriatico è una strada praticamente obbligata per l’espansione del commercio marittimo, conosciuta fin dall’antichità, così come Trieste ne è il naturale approdo, secondo Pietro Kandler[1]. Infatti essa si affermò sotto gli Asburgo come porto principale dell’impero, ottenendo così lo status di porto franco e tutta una serie di benefici da questo derivanti, come la libertà di esercitarvi commercio o industria, la possibilità per gli stranieri di possedere case o terreni, oltre all’esenzione dalle imposte e alla protezione dei commercianti stranieri in caso di guerra. In questo modo Trieste divenne il «centro di raccolta e di distribuzione per l’Europa Media dei prodotti mediterranei»[2], oltre che attrattiva per numerose imprese commerciali e non.

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Cartolina con soggetto il porto di Trieste (1900)

Ma, nonostante la forte influenza austriaca, Trieste mantenne una sua certa personalità, dovuta anche al fatto che buona parte della borghesia si sentisse più vicina culturalmente all’Italia che all’impero Austro – Ungarico. Un forte flusso migratorio, soprattutto slavo, si riversò in città attratto dalle prospettive di lavoro offerte dal porto, e questo, in virtù del cosmopolitismo proprio della città favorì la diffusione della lingua e della cultura italiana anche tra i ceti più bassi, amalgamandoli nella creazione di una nuova grande città[3]. L’eccezionalità di Trieste si rinforzò, assumendo termini più orientati all’autonomismo, subito dopo la Restaurazione, attuata dall’Austria seguendo una linea più accentratrice e sotto un rigido controllo politico. L’Europa chiedeva soprattutto stabilità interna e equilibrio in campo internazionale[4], e in città questa politica fu attuata dai nuovi rappresentanti della burocrazia asburgica, che tennero sotto strettissimo controllo le attività economiche e politiche. In questo contesto, aggravato da una crisi economica, Domenico Rossetti[5] iniziò a costruire l’identità di fondo della città, basata sulla lingua; come scrisse egli stesso: «l’originario stipite principale dei triestini, egualmente dei forestieri che vi si domiciliarono, è l’italiano»[6]. Rossetti mescolò l’idea dell’italianità di Trieste con quella dell’autonomia, non partecipante attivamente alla vita politica di uno stato centrale ma comunque ad esso legata, ovvero: il mantenere una propria personalità, sia politica che economica, pur dovendosi rapportare con lo stato centrale.

Le idee autonomiste comunque passarono così come erano arrivate, con il miglioramento della situazione economica – che aveva fatto avvicinare al programma autonomista di Domenico Rossetti  parte dei ceti mercantili  -  a partire dagli anni trenta dell’800. A Trieste i principali attori della scena economica erano gli imprenditori e la borghesia cittadina, rappresentata dai grandi negozianti, in grado di condizionare fortemente non solo l’economia locale, ma anche le autorità asburgiche pur di salvaguardare la propria posizione sociale. Comunque il concorso tra la politica austriaca e la borghesia cittadina non mancò di dare frutti: infatti in città si contavano investimenti industriali, commerciali e immobiliari per svariate decine di milioni di fiorini; vennero costituite, sul modello capitalista franco-britannico, le due grandi compagnie assicurative private delle Generali  e la RAS (rispettivamente nel 1831 e nel 1838); nel 1836 nacque il Lloyd Austriaco, inizialmente società di assicurazioni, diventata poi armatrice. Il Lloyd ebbe dal governo imperiale un particolare sostegno, attraverso convenzioni e agevolazioni economiche, in quanto veniva considerato da Vienna un importante strumento di prestigio, nonché di penetrazione politica e commerciale.

Fra l’altro, nonostante la stretta repressiva imposta dal Metternich dopo la Restaurazione, l’attività culturale di Trieste rimase molto viva,grazie alla grande circolazione di libri e giornali anche rari; il porto continuò a svolgere anche il suo (saltuario) compito di mediatore culturale: infatti qui giunsero alcune  delle prime opere della letteratura americana, successivamente tradotte per l’Italia o l’Austria.  Conseguenza di questa politica cittadina improntata alla tolleranza che aveva assorbito alcuni elementi del Romanticismo – che contribuirono a disgregare il municipalismo stretto di cui si era fatto cantore Rossetti -  fu un importante afflusso di artisti ed intellettuali stranieri.

Questo dimostra quanto la società cittadina fosse aperta ed evoluta, e così viene descritta dallo scrittore Guido Caprin: «siccome Trieste era un porto franco, così sotto il reggimento dello Stadion fu una città libera anche nella vita intellettuale, malgrado il Metternich… Nella sala di lettura del Tergesteo[7] circolavano giornali, opuscoli e libri irreperibili altrove»[8]. A gran parte di questa società non interessava la partecipazione politica, in quanto essa si sentiva già rappresentata nella Borsa Commerciale, mentre parlava di se come di una nazionalità a parte – la nazionalità triestina fondata sull’italiano come lingua comune – ma che si proponeva, allo stesso tempo, come punto d’incontro tra popolazioni diverse. Da questa emerse una nuova classe sociale, il ceto medio composto da funzionari, burocrati e insegnanti: questi ultimi soprattutto, provenienti in larga parte dall’Italia, portarono con loro nuove idee e nuovi fermenti, diffondendoli e contribuendo in larga parte a far nascere in città l’idea di liberalismo politico che propone un’esigenza di unità nazionale (come evoluzione e, al tempo stesso, superamento del cosmopolitismo). Tali idee e la loro diffusione nel retroterra triestino vennero favorite dal fatto che molti suoi abitanti frequentarono i salotti e le università italiane, tra cui soprattutto Padova, oltre a congressi ed associazioni culturali[9]. Questi fermenti politici, uniti alla massiccia presenza  italiana – che si identificava come parte integrante del neonato Regno d’Italia – a Trieste e nel suo retroterra saranno le scintille che daranno vita al movimento d’opinione dell’Irredentismo.

2. La nascita dell’Irredentismo

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L’irredentismo italiano fu un movimento attivo principalmente in Italia tra la seconda metà del diciannovesimo secolo e la prima del secolo successivo. Esso chiedeva l’integrazione nel Regno d’Italia di tutti i territori – non necessariamente compresi nella regione geografica italiana – abitati da italofoni e collegati all’Italia da secolari legami storici, linguistici e culturali. Dopo la terza guerra d’indipendenza (1866), per giungere ad una totale unificazione dell’Italia mancavano, secondo gli esponenti del movimento irredentista, ancora il Trentino, il Friuli e tutto il suo retroterra (il cosiddetto “confine orientale”). Trieste ne fu, con Trento, oggetto e al tempo stesso centro propulsore. Ad alimentare l’irredentismo triestino furono soprattutto le classi borghesi in ascesa (ivi compresa la comunità ebraica), le cui potenzialità ed aspirazioni politiche non trovavano pieno soddisfacimento all’interno dell’Impero austro-ungarico. Quest’ultimo veniva considerato da molti[10] come un naturale protettore del gruppo etnico slavo presente sia in città che nel suo immediato retroterra (che iniziò ad essere definito in quegli anni con il termine di Venezia Giulia). Agli inizi del Novecento il gruppo etnico sloveno era in piena ascesa demografica, sociale ed economica, e costituiva circa la quarta parte dell’intera popolazione triestina. Ciò spiega come l’irredentismo assunse spesso, nella città giuliana, dei caratteri marcatamente anti-slavi che vennero perfettamente incarnati dalla figura di Ruggero Timeus (dal 1911). La convivenza fra i vari gruppi etnici che aveva da secoli contraddistinto la realtà sociale di Trieste subì, pertanto, un generale deterioramento negli anni che precedettero la Prima Guerra Mondiale. Va aggiunto inoltre che anche le varie entità slave dell’Impero Austro–Ungarico stavano dando inizio alla metà dell’Ottocento ad un processo di identificazione nazionale, prevalentemente nei territori dell’interno della Venezia-Giulia, destinato poi ad entrare in competizione con quello portato avanti dagli italiani coabitanti.

Nonostante la sconfitta subìta, l’Italia ottenne dopo la Terza Guerra d’Indipendenza il Veneto ed il Friuli occidentale; rimaneva disattesa invece l’annessione del Trentino per esplicita volontà di Bismark nel corso delle trattative per un’alleanza tra Prussia ed Italia in funzione anti – austriaca condotte poco prima della guerra. Analoghi tentativi non vennero invece avviati per Trieste o per l’Istria, forse perché meno sentiti dai governanti e dall’opinione pubblica del Regno come territori italiani; inoltre va aggiunta la scarsa prestazione dell’esercito italiano nella guerra, sconfitto nonostante la superiorità numerica nelle battaglie di Custoza (24 giugno 1866) e Lissa (20 luglio 1866), che fecero ulteriormente diminuire le speranze. L’aspirazione della politica di espansione italiana nella zona rimase al massimo una ridefinizione del confine orientale, da ottenersi con l’Austria per via diplomatica[11]. Questo prudente atteggiamento nei confronti della monarchia asburgica rifletteva il clima politico dell’epoca ed il terremoto che si stava verificando in Europa nella seconda metà dell’Ottocento, con la nascita del nuovo Impero Germanico e l’avanzata della Russia nei Balcani a scapito dell’Impero Ottomano: questa serie di avvenimenti avrebbe poi portato ad un avvicinamento politico tra Italia e Austria, allo scopo di porre un freno a questa duplice espansione, mettendo da parte quindi un cinquantennio di tradizionale antiaustriacantismo.

Tuttavia la politica estera del governo italiano non fece altro che dare nuova linfa ai vari movimenti irredentisti allora sparsi in giro per l’Italia e nei territori d’oltre confine: questi, a partire dal 1878, iniziarono una serie di moti di protesta in tutta Italia, con assalti ai consolati austriaci e manifestazioni di piazza. Tra di essi spiccava L’Associazione in pro dell’Italia irredenta, fondata a Napoli nel 1877 dal fuoriuscito triestino Matteo Renato Imbriani. Tale associazione  assunse poi una funzione di coordinamento per i vari movimenti irredentisti e di incitazione alla guerra contro l’Austria con il duplice obiettivo di completare l’unificazione nazionale e riscattare l’Italia da una condizione  civile e morale che ritenevano degradata e lontana dagli ideali risorgimentali. Ma il governo e gli irredentisti marciavano in direzioni opposte: l’Italia nel 1882 aderì alla Triplice Alleanza al fianco di Austria e Germania e si assunse davanti agli alleati la responsabilità della repressione del movimento irredentista. Repressione che iniziò subito dopo la morte di Guglielmo Oberdan: impiccato dagli austriaci con l’accusa di alto tradimento e diserzione, e, fra l’altro, per essere stato ideatore di un attentato a Francesco Giuseppe d’Austria (poi non attuato), la sua vicenda venne accompagnata con una condanna ed una presa di distanza da parte del parlamento italiano dall’irredentismo e dalle idee di cui esso era portatore. Francesco Crispi, Primo Ministro dal 1887, continuerà su questa strada vietando le commemorazioni per la morte di Oberdan, sciogliendo vari comitati irredentisti e chiudendone i circoli.

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Cartolina commemorativa con soggetto Guglielmo Oberdan (1915)

Questo avrebbe dovuto significare la morte del movimento, ma in realtà così non fu. Rimane da sottolineare che, nonostante le condanne e le chiusure delle associazioni, il problema posto dall’irredentismo non poteva essere eliminato del tutto in quanto esso rivendicava l’applicazione di quel principio nazionale che era stato alla base della nascita del Regno d’Italia. Fa notare Gaetano Salvemini: «la nuova Italia [che] era sorta dalla fede nel diritto di nazionalità […] poteva deplorare, e magari reprimere le manifestazioni più turbolente del sentimento nazionale […] ma non poteva ripudiarlo proprio mentre era obbligato ogni giorno ad invocarlo contro i sovrani spossessati e il Papa […]»[12].

3. La svolta dell’Irredentismo in senso nazionalista alla vigilia della Grande Guerra

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Con l’accettazione del tema delle compensazioni territoriali che l’Austria si era impegnata a offrire all’Italia nel trattato della Triplice Alleanza[13], il movimento irredentista prendeva le distanze dalle sue origini universalistiche (benedette per giunta da Mazzini) [14] per confluire nell’alveo della politica estera dello Stato. Veniva quindi ad infrangersi quel binomio nazione – libertà, con la prima che diventava elemento di un rinnovato circolo formato dalle nazioni europee: era insomma il trionfo di Bismarck e della realpolitik.

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Fazzoletto stampato nel 1882 a Firenze per commemorare l'alleanza tra Italia, Germania ed Austria

Nella Venezia-Giulia questo cambio di registro portò l’irredentismo verso posizioni antislaviste: l’Austria veniva accusata di essere protettrice degli slavi ed accusata di sostenerli a discapito degli italiani[15] . Il partito liberal – nazionale, espressione politica della comunità italiana di Trieste, in precedenza aveva portato avanti la propria battaglia  attraverso la sua rappresentanza nel parlamento imperiale, certo che con la scomparsa dell’impero austro-ungarico gli embrionali processi di nation-building in atto tra gli slavi si sarebbero dissolti. Il partito, in questa fase, fece proprio l’antislavismo degli irredentisti, che divenne quindi punto d’incontro fra realtà politiche differenti e caratteristica principale dei movimenti nazionali italiani nella fase di passaggio da movimento d’elitè a movimento di massa. Vennero così fondate diverse associazioni, tra cui è opportuno ricordare la Pro Patria e la Dante Alighieri che si adoperarono per promuovere asili e scuole di lingua italiana. La Dante Alighieri inoltre fu anche il tramite attraverso cui il governo crispino finanziava segretamente il partito liberal-nazionale, nonché la coordinatrice di una rete di spie che passavano ogni genere di informazione allo stato italiano.

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Manifesto pubblicitario del Convegno Ginnastico Interregionale organizzato dalla Pro Patria a Trieste il 28-29 giugno 1914

Questa rete formata da scuole, società di ginnastica, circoli di lettura e quant’altro aveva come scopo di esprimere un attaccamento per la patria attraverso manifestazioni culturali, nonché di rendere visibile la presenza italiana sul territorio. Questo processo di costruzione nazionale procedeva tanto più spedito quanto esso sentiva una “concorrenza” pressante da parte di altri gruppi nazionali che miravano allo stesso obiettivo. Allargando la propria base di partecipazione, il movimento irredentista aveva incorporato elementi come inni, allegorie, stendardi, ecc. che contribuivano a creare nei sostenitori una sorta di unione spirituale tra loro, facendoli diventare credenti di una nuova “religione civile”.

Le prospettive di espansione italiane ripresero vigore agli inizi del nuovo secolo, con l’annessione della Bosnia – Erzegovina da parte dell’Austria, invocando a gran voce le compensazioni territoriali previste nel trattato della Triplice Alleanza. Inoltre veniva gettata ulteriore benzina sul fuoco dell’antiaustriacantismo, per mezzo di articoli apparsi sui maggiori quotidiani nazionali (il Corriere della Sera e La Stampa furono in prima linea), in cui si poteva leggere come l’espansione austriaca non avrebbe fatto altro che rinforzare le posizioni slave a svantaggio degli italiani della Venezia-Giulia e della loro identità nazionale, quando non sarebbero stati oppressi in svariati modi a causa dell’assedio (sic) a cui erano sottoposti dalle altre minoranze etniche. In tal senso anche l’applicazione della legislazione austriaca[16], anche se con numerose eccezioni, era oramai considerata dall’opinione pubblica del Regno parte di una congiura austriaca per danneggiare gli italiani della Venezia-Giulia.

Altro organo di dibattito dei problemi degli italiani in quel territorio fu  La Voce, rivista fondata nel 1908 da Giuseppe Prezzolini, cui parteciparono anche gli intellettuali originari dell’area giuliana, come Scipio Slataper, Giani Stuparich, Alberto Spaini, che contribuirono alla discussione esprimendo diversi punti di vista [17]. Slataper, in particolare, si fece propugnatore dell’idea di “irredentismo culturale”, cioè la diffusione della cultura italiana nel mondo germanico e slavo, pur lasciando invariata la situazione territoriale, con Trieste che sarebbe stata la porta attraverso cui sarebbe passata tale diffusione[18]. Ruggero Timeus fu invece il sostenitore di un “irredentismo nazionalista”, secondo cui la conquista della Venezia-Giulia non sarebbe stato altro che il primo passo verso un’espansione imperialista dell’Italia nella penisola balcanica; l’elemento slavo, nel suo caso, rappresentava il nemico, da combattere con ogni mezzo. Timeus  fa ben capire il radicalismo esasperato che aveva raggiunto il movimento irredentista giuliano,  mostrando anche la parallela evoluzione compiuta dal nazionalismo italiano in senso imperialista ed il maggiore spazio dato alla questione della potenza piuttosto che a quella dell’uguaglianza tra le nazioni[19].  In questo quadro politico e con tali premesse, la partecipazione dell’Italia alla guerra poteva essere data quasi per certa.

4. L’Italia entra nella Grande Guerra

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L’Italia inizialmente si tenne fuori dal conflitto, facendo riferimento al trattato della Triplice Alleanza ed al suo carattere esclusivamente difensivo, e proclamando quindi la propria neutralità[20]. Oltre ai motivi prettamente diplomatici, comunque, per comprendere le ragioni della neutralità italiana è necessario sapere anche che l’esercito italiano non era né preparato, né sufficientemente equipaggiato per poter affrontare una guerra, ed era soprattutto tale punto a far tergiversare il parlamento. Tuttavia la situazione si sbloccò con il Patto di Londra del 1915, nel quale l’Italia accettava di scendere in guerra al fianco dell’Intesa (Russia, Francia, Gran Bretagna) contro la Triplice Alleanza in cambio di sostanziose contropartite territoriali lungo il suo “confine orientale”.

Il fronte italiano ricalcava i confini con l’Impero Asburgico, per un totale di circa seicento chilometri tra il passo dello Stelvio e il mar Adriatico, con un immane dispendio di uomini mobilitati (soprattutto contadini) che avrebbero pagato un tributo di sangue pari a seicentomila caduti alla fine del conflitto[21].

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Fronte italiano (1915-1917)

Durante tutti gli anni del conflitto, su questo fronte i cambiamenti furono ben pochi, con un lentissimo e sanguinoso avanzamento degli italiani fino a Gorizia e all’Isonzo, da cui dovettero ritirarsi per via dello sfondamento operato dagli austriaci a Caporetto (1917); tale disfatta comporterà il ritiro dell’esercito italiano fino al Piave, oltre che alla sostituzione del comandante in capo delle forze armate Luigi Cadorna con il generale Armando Diaz. Quest’ultimo riuscirà nel 1918 a capovolgere le sorti di un conflitto che si credeva ormai perduto, con l’arresto dell’avanzata austriaca prima e la controffensiva di Vittorio Veneto poi, che in pochi giorni avrebbe costretto l’Austria – Ungheria alla resa. Un fattore che rimane da mettere in luce per quanto riguarda il fronte orientale, che a mio avviso ha fatto sentire le sue conseguenze dopo la seconda guerra mondiale,è quello che si può definire una sorta di “conflitto nel conflitto”: slavi ed italiani si trovarono schierati a combattere su due fronti contrapposti, mettendo in risalto una conflittualità etnica che prendeva origine dalle rispettive ambizioni territoriali sull’Istria e la Dalmazia [22].

5. Conclusioni

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In questo articolo ho volutamente trattato solo le origini e quella che si potrebbe definire la “prima fase” dell’Irredentismo. Una sua trattazione completa infatti, comprendente l’analisi del suo appoggio iniziale al regime fascista – e della sua strumentalizzazione successiva ad opera di quest’ultimo – e, di conseguenza, della successiva definizione di quel “confine orientale” tanto agognata dagli irredentisti, avrebbe richiesto molto più spazio ed approfondimenti. Tuttavia, nell’articolo vengono fuori quelle che si possono considerare senza dubbio le premesse del successivo sessantennio di conflittualità dell’area, ovvero le ambizioni territoriali e l’ostilità etnica. Entrambe vennero successivamente cavalcate dopo la guerra dal nascente movimento fascista, che approfittò del clima di insoddisfazione per porre le basi del proprio consenso, facendo leva sul senso di abbandono diffuso tra i reduci e sulle compensazioni territoriali disattese dal trattato di pace di Versailles. L’Irredentismo entrava nella sua seconda fase accompagnando tutto il cammino  del fascismo, ed i suoi ideali divennero la giustificazione per portare avanti i mirabolanti progetti di espansione territoriale, ovvero la costruzione di quel “Nuovo Impero Romano”[23] che avrebbe dovuto dare all’Italia quel posto al sole tanto agognato. Nel caso della Venezia – Giulia, l’espansione portò ad una barbara pulizia etnica, con cifre nell’ordine delle decine di migliaia tra morti e deportati nei campi di concentramento allestiti nel Triveneto ed in Dalmazia in pochissimi anni (1941 – 1943)[24]; tale caccia all’uomo farà sentire le sue ripercussioni nel secondo dopoguerra, con l’uccisione di massa da parte dei soldati jugoslavi di migliaia di abitanti italiani della regione balcanica, soprattutto istriana – che originò un esodo verso l’Italia di oltre trecentomila persone – come ritorsione contro le deportazioni del precedente dominatore[25].

Il confine orientale dell’Italia venne infine fissato con la Jugoslavia nel 1975 in seguito al Trattato di Osimo, cedendo in mano slava la regione dell’Istria. Si mise così la parola fine ad una rivendicazione costata all’Italia una guerra mondiale, un ventennio di dittatura ed una scia di sangue lunga più di mezzo secolo, vero unico filo conduttore della storia di questa parte del nostro Paese.

Nascita e sviluppo del movimento irredentista

I due firmatari del tratto, Miloš Minić e Mariano Rumor (1975)

[Bibliografia]

Note   (↵ returns to text)
  1. P. Kandler, Emporio e porto franco di Trieste, in E. Apih, Trieste, Laterza, Roma – Bari, 1988↵
  2.   E. Apih, Trieste,  op. cit↵
  3. E. Apih, Trieste, op. cit↵
  4. S. Malfèr, Immagini dell’altro: austriaci e italiani, in Storia d’Italia. Annali 22: il Risorgimento, Einaudi, Torino, 2007↵
  5. Civico Procuratore di Trieste dal 1818 al 1842 e strenuo sostenitore dell’autonomia della città, pur se in seno all’impero Austro – Ungarico↵
  6. D. Rossetti, Della Mnemosine,  in E. Apih,  Trieste, op. cit↵
  7. Galleria del Tergesteo, tuttora esistente↵
  8. G. Caprin, Tempi andati,  in Apih, E., Trieste, op. cit↵
  9. M. Cattaruzza, L’Italia e il confine orientale, Il Mulino, Bologna, 2008↵
  10. M. Cattaruzza, L’Italia e il confine orientale, op. cit.↵
  11. M. Cattaruzza, L’Italia e il confine orientale, op. cit↵
  12. G. Salvemini, La politica estera italiana, in M. Cattaruzza, L’Italia e il confine orientale, op. cit↵
  13. Compensazioni che sarebbero toccate all’Italia nel caso che l’Austria si fosse espansa nella penisola balcanica a discapito dell’Impero Ottomano↵
  14. M. Cattaruzza, L’Italia e il confine orientale, op. cit.↵
  15.   E. Apih, Trieste, op. cit.↵
  16. Fece scalpore un decreto del Luogotenente austriaco di Trieste, secondo il quale i cittadini del Regno d’Italia non avrebbero potuto mantenere incarichi pubblici nell’amministrazione della città, cfr. Cattaruzza, M., L’Italia e il confine orientale, op. cit↵
  17. R.  Lunzer, Irredenti Redenti: intellettuali giuliani del ‘900, Lint editoriale, Trieste, 2009↵
  18. Lunzer, R., Irredenti redenti, op. cit↵
  19. E. Gentile, La grande Italia: il mito della nazione nel XX secolo, Laterza, Roma – Bari, 2006↵
  20. M. Cattaruzza, L’Italia e il confine orientale, op. cit.↵
  21. A. Del Boca, Italiani, brava gente?, Neri Pozza, Vicenza, 2010 ↵
  22. A. Del Boca, Italiani, brava gente?, op. cit↵
  23. G. Zaffiri, L’impero che Mussolini sognava per l’Italia, The Boopen Editore, Pozzuoli, 2007↵
  24. A. Del Boca, Italiani, brava gente?, op. cit.↵
  25. A. Zazzaroni, Italia di frontiera, Italia d’oltreconfine. L’Italia vista attraverso la storia del suo confine orientale, in <<Diacronie. Studi di storia contemporanea>>, 5/2011, URL:<http://www.studistorici.com/2011/01/29/zazzaroni_numero_5>

    1. E. Apih, Trieste, Laterza, Roma – Bari, 1988.
    2. M. Cattaruzza, L’Italia e il confine orientale, Il Mulino, Bologna, 2008.
    3. A. Del Boca, Italiani, brava gente?, Neri Pozza, Vicenza, 2010.
    4. E. Gentile, La grande Italia: il mito della nazione nel XX secolo, Laterza, Roma – Bari, 2006.
    5. R. Lunzer, Irredenti redenti: intellettuali giuliani del ‘900, Lint Editoriale, Trieste, 2009.
    6. S. Malfèr, Immagini dell’altro: austriaci e italiani, in Storia d’Italia. Annali 22: il Risorgimento, Einaudi, Torino, 2007.
    7. G. Zaffiri, L’impero che Mussolini sognava per l’Italia, The Boopen Editore, Pozzuoli, 2007.
    8. A. Zazzaroni, Italia di frontiera, Italia d’oltreconfine. L’Italia vista attraverso la storia del suo confine orientale, in «Diacronie. Studi di storia contemporanea», 5/2011, <http://www.studistorici.com/2011/01/29/zazzaroni_numero_5>.


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