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Pur ignorando cosa realmente cerchi un regista/sceneggiatore infilandosi in un sottogenere horror così affollato da non aver spazio nemmeno per alzare i gomiti e difendersi, è interessante comunque fare giuste distinzioni quando sono gli spunti e le trovate, nonostante una struttura di base talmente trita da non aver forse nemmeno più senso affrontare, a farla da padrone, annullando tutto il resto se si considera soprattutto la natura economica e generalmente priva di mezzi di un film come Stalled.
Microscopica produzione inglese, bisogna fare i conti con uno one man show tutt’altro che impeccabile di Dan Palmer, anche sceneggiatore, molto più bravo a scrivere che a recitare, e una fotografia da telefilm anni Ottanta, eppure c’è molta freschezza sotto la massa di morti, per certi versi si può vedere Stalled come una sublimazione (okay, termine gigante, passatemelo) di A Cadaver Christmas, perché se nel piccolo low budget di Joe Zerull a dominare erano le personalità dei tre protagonisti coinvolti in una classica zombie-story, nel film di Christian James non c’è solo una buona scrittura a differenziarlo dai tanti colleghi bensì una serie di idee che sfruttano paradossalmente le poche risorse a disposizione per tirare fuori passaggi a tratti davvero brillanti, a partire dalla situazione iniziale.
Interamente ambientato all’interno di una toilette di un'azienda in piena festa natalizia, Stalled vede un tecnico trovare rifugio dall’improvvisa epidemia in una delle tre cabine e da lì inventarsi una stupidaggine dietro l’altra per cercare di sfangarla, con risultati mediamente miseri e umanamente mortificanti: riempire ottanta minuti scarsi in una simile circostanza tanto da farci addirittura un film sembra cosa impossibile, eppure Palmer da una parte crea una serie di simpatiche idiozie che divertono e funzionano, e James dall’altra dirige con il giusto alternarsi di frammenti veloci e riprese fisse che permettono di non far mai pesare la scelta di una sola location. Esempi come la lunghissima sequenza dello specchio, oppure la contemplazione del primo zombie ucciso, o ancora la parte musical, sono momenti sulla carta assurdi eppure riuscitissimi, e a una lunga serie di gag sanguinolente (l’uso delle dita mozzate, i sogni eroici del protagonista) il duo aggiunge una manciata di idee davvero notevoli, come l’uso del disegno in corrispondenza dei dialoghi della ragazza intrappolata o lunghi botta e risposta che spezzano all’inverosimile l’azione e ammiccano a personaggi ed eventi che non si vedono mai (il passato della ragazza, il misterioso Jeff).Ci sarebbe inoltre anche un qualche tentativo, molto malriuscito, di dare slancio al personaggio femminile, e pur essendo tutto abbastanza sgangherato e non sempre a fuoco si apprezza la buona volontà, a tratti davvero tenera (il disegno sull’ascensore), perché è di queste cose che ha bisogno il cinema del terrore, idee che sappiano reinventare, migliorare, approfondire, dare sostanza: il discorso è sempre il solito, non è una storia a essere importante, è il saperla raccontare, e nell’horror odierno sono sempre in pochi a porsi quest’obiettivo prima di tutto.E con questo, buone feste, gente!
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