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"Natale con semplicità" un dona da Giovanni Stoto

Creato il 13 dicembre 2012 da Fine

Buon sera a tutti,
come va? Pronti gli addobbi natalizi? Noi si e sotto l'albero abbiamo un altro pacco per voi!  Il regalo di oggi ci viene gentilmente offerto da....

Giovanni Stoto, nato a Napoli il 13 giugno 1973, trasferitosi a Latina all’età di 4 anni, dopo aver girato il mondo mette in pratica il detto “mogli e buoi dei paesi tuoi”, tornando a vivere a Latina dove sposa una concittadina che solo 10 anni prima gli aveva dato il due di picche.
Ingegnere Informatico per necessità, ai bit preferisce la moto, il mare, le immersioni, la fotografia, le auto, la lettura e scrivere poesie. Ha da poco scoperto il mondo dei racconti brevi e cerca inutilmente di eguagliare i fasti di Theodore Sturgeon e Fredrick Brown.
Seguitelo nel suo blog http://thegios.blogspot.com, dove laconicamente armonizza l'amore per tutte le sue passioni, bit esclusi.

Ora andiamo a scartare questo nuovo regalo! Buona lettura a tutti.
Non ero mai riuscito a portarla con me giù in cantina senza che lei facesse tante moine. É strano come ogni volta trovasse una scusa che sul momento sembrava un pur valido motivo. Ricordo ancora la prima volta che varcammo la soglia di casa: fu impressionata da quegli scalini ripidi che sembravano immergersi in un abisso di pece, un mare denso e nero che emanava, lei diceva, un nauseabondo odore di vecchio. Ma pensa, e io che credevo che le cantine profumassero di oli delicati e d’incensi orientali. E che dire delle fantasie che quel posto le suscitava nella mente? Una sera, mentre ero concentrato su un difficile passaggio di una fuga di Bach, lei mi fu dietro in preda al panico, balbettando frasi assurde, con la convinzione che il buio in fondo alle scale della cantina fosse solido, tangibile.  E fu ancora più convinta di ciò da quella volta che tornai dal basso completamente ricoperto da uno strato di fuliggine, e cercai invano di spiegarle che ero andato a mettere ordine nella carbonaia. Passarono le settimane, e con il sopraggiungere della primavera scendevo di rado in cantina: con il caldo infatti la caldaia era ormai inattiva, e non essendo io un gran bevitore di vini non avevo alcun pretesto per mettere piede in un posto così angusto, e umido e buio. Non che ne fossi spaventato, comunque! Mia moglie, invece, prese la strana abitudine di star seduta per ore sul ciglio delle scale a fissarne il bordo. All’inizio la faccenda non mi preoccupò più di tanto. Anzi, mi divertiva e pensavo fosse un modo come un altro per esorcizzare la sua fobia. Un giorno la osservavo, la mia mente persa altrove, il suo sguardo fisso sulla porta, quando repentinamente saltò giù dalla sedia gridando “Avanza! Avanza!” e solo dopo un paio d’ore riuscii a calmarla e a farmi raccontare quale strano fenomeno l’avesse spinta a comportarsi in maniera così irrazionale. Mi spiegò allora che quel “buio”, oltre a essere palpabile, aumentava nel tempo di volume!  Era cioè convinta che si stesse espandendo, e per avvalorare la sua tesi mi raccontò di aver contato solamente dieci scalini, mentre affermava che il mese precedente ve ne fossero almeno dodici. Ogni mese che passava vedeva sempre meno scalini... La portai da uno specialista e da quel giorno ogni scalino in meno che contava era una dose in più di sedativo. Cominciai a pensare a cosa sarebbe successo quando di scalini non ne sarebbero rimasti più. Forse è questa la pazzia: guardare il buio della cantina e contare ogni giorno uno scalino in meno. Divenne così impossibile farle attraversare quella porta, anche in quei giorni in cui non potevo andarci di persona perché costretto a letto. L’inverno imperversava. Faceva freddo. Il carbone aveva smesso di bruciare. Era necessario che qualcuno ne aggiungesse dell’altro, ma quella stronza non aveva intenzione di scendere in quella fottutissima cantina. Mi imbottiva di medicine, nella speranza di accelerare la mia guarigione, e si metteva a frignare. «Almeno oggi cristo, è Natale, vai di sotto ad accendere quella cazzo di caldaia» gridai un giorno invano, esasperato più dal freddo che dalla malattia. É passata una settimana, e fa ancora molto freddo. Sono ancora ammalato, ma non sono più a letto. Sto scendendo in cantina per accendere la caldaia, anche se con grande fatica: il petto mi fa male quando mi piego, e il respiro è ancora corto e affannato. Ma io sono una marito premuroso, e ci tengo a non lasciare disordine in casa. Adesso, infatti, sto portando in cantina i pezzi più piccoli. Dopo però devo ricordarmi di tornare su a prendere la testa: è la parte del corpo che brucia più lentamente, è pertanto necessario che la caldaia sia a massimo regime. Ora fa un po' meno freddo...


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