Riavvolgendo il nastro di un’audiocassetta mi torna in mente questo: “Il teatro è una cosa seria ed è la lezione più grande che mi ha lasciato papà. Dal letto mi disse di andare perchè il pubblico non poteva e non doveva aspettare. Quella fu l’ultima volta che lo abbracciai”.
Luca De Filippo non mi ha trasmesso mai soggezione, questo no, quanto la serietà e l’etica che fanno dell’uomo calato nella quotidianità la reversiiblità dell’uomo del palcoscenico.
Luca non è stato soltanto il figlio accorto, fattosi missionario della complessa e sterminata opera del padre, ma l’attore che ha fatto della napoletanità la congiuntura tra memoria e futuro, tra Eduardo e il mondo. Non a caso Peppino Patroni Griffi mi disse alla prima del suo remake di Sabato, domenica e lunedì: “Eduardo è il mondo”.
I messaggini e le banalità confezionate e spalmate sui social network, nel giorno della scomparsa prematura di Luca De Filippo, mi hanno fatto pensare.
Se tutte quelle persone fossero stati realmente pubblico assiduo nei nostri teatri, non avremmo subìto il vuoto tra le platee dell’ultimo decennio e potremmo ancora parlare del ruolo civico del teatro di prosa.
“Nun me piace ‘o presepe” è diventato l’assillante tormentone per la scena guitta e amatoriale che il più delle volte ha soffocato la drammaturgia eduardiana nella macchietta divoratrice di prospettive. In pochi conoscevano la formula magica: dietro la celebre battuta di Natale in Casa Cupiello c’era il “Non mi piace il teatro” del piccolo Eduardo ripetuto a papà Scarpetta, perchè da grande avrebbe voluto fare un mestiere utile alla società, il pompiere, il medico.
Noi andiamo controcorrente. A nuje ce piace ‘o presepe perchè il teatro resti la corteccia dell’esistenza. Senza Luca De Filippo c’è il vuoto intorno, ci sentiamo più soli.