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Natale, una storia vera

Creato il 15 dicembre 2013 da Giulianoguzzo @GiulianoGuzzo

Pubblicato da natale

Buona parte del Natale così come lo conosciamo oggi, piaccia o meno, è “invenzione“. E’ così per il Babbo Natale di rosso vestito, trovata pubblicitaria della più globale delle bevande, la Coca-Cola; il presepe pare risalga al 1223 quando San Francesco – ottenuto il placet di papa Onofrio III – ne costruì il primo “ufficiale” a Greccio, piccolo paese laziale, anche se esistono testimonianze ancora precedenti che raccontano del grande interesse per il presepe da parte dei monaci cistercensi, persuasi più di tutti dell’importanza di far conoscere alla gente ogni fase della vita di Gesù.  E’ “invenzione“, infine, pure l’albero, tradizione inaugurata, pare, nel 1525 a Sélestat, località dell’Alsazia.

Anche se non si direbbe, risulta tradizione tardiva pure l’idea dei doni, degli auguri e del pranzo natalizio: trattasi, in questo caso, di un’eredità culturale che celebriamo a partire dall’epoca vittoriana.  Più precisamente, il merito è tutto di A Christmas Carol di Charles Dickens, racconto che vide le stampe il 18 dicembre 1843 riscuotendo subito successo e vendendo ben 6.000 copie in appena una settimana. George Orwell, non a caso, dirà che a Natale è «automatico» pensare a Dickens. Accanto a questi dati di fatto, che ci ricordano come il Natale contemporaneo sia in effetti una riuscita stratificazione di tradizioni e usanze differenti per origine storica e geografica, da tempo si sta facendo largo, negli scaffali delle librerie e negli interventi degli intellettuali, un’idea di per sé non nuova ma che non smette di affascinare, vale a dire la convinzione che, dopotutto, la stessa ragion d’essere del Natale, ossia la nascita di Gesù tramandataci dai Vangeli, non sia che un’invenzione.

Pensiamo ad una delle ultime fatiche di Corrado Augias, Inchiesta sul Cristianesimo come si costruisce una religione, testo che sin dal titolo mira ad equiparare il Cristianesimo ad un artificio politico, ad un abuso di credulità popolare. Oppure pensiamo a Michel Onfray, che nel suo Traité d’athéologie(2005) scrive:«Con ogni evidenza Gesù è esistito come Ulisse e Zarathustra». Gli fa eco Piergiorgio Odifreddi, che in una delle sue fatiche sostiene che «il Gesù dei Vangeli non è altro che una costruzione letteraria»(Perché non possiamo essere cristiani, Longanesi 2007, p.104). Vi sono poi tentativi più tiepidi e leggeri, quasi comici a dir il vero, di criticare la storia di Gesù e della sua nascita, come quello proposto – non si è capito se volontariamente o meno – da Eugenio Scalfari, il fondatore di Repubblica, secondo cui vicino al Bambino, accanto all’asino, anziché il canonico bue, vi sarebbe stata «una mucca» (L’Espresso, 10/1/2008, p.154).

Decisamente meno morbidi sono stati invece i toni usati da Marcello Craveri e della sua Vita di Gesù  (Feltrinelli, 1966), opera fortemente critica sulla vita di Gesù così come siamo abituati a immaginarla. A seguire ed estremizzare queste tesi ci ha pensato, in tempi recenti, Luigi Cascioli, ex prete nonché autodidatta di storia del cristianesimo arciconvinto che Gesù sia una creazione truffaldina della Chiesa delle origini, che avrebbe stravolto la storia di un personaggio del II secolo – a dire di Cascioli – realmente esistito, Giovanni di Gamala. Per meglio rendere l’idea della stravaganza delle tesi di Cascioli è sufficiente ricordare il titolo dell’opera che egli ha scritto e pubblicato a sue spese, La Favola di Gesù Cristo. Chissà se Bruno Bauer, il teologo berlinese che nella prima metà dell’Ottocento dubitava dell’esistenza storica di Gesù, si sarebbe immaginato – dopo quasi due secoli – di avere ancora così tanti discepoli pronti a riproporre le sue tesi. Il punto è che oggi, lo scetticismo nei confronti della nascita e dell’esistenza di Gesù, non è più un fenomeno ascrivibile solo ad atei praticanti quali Augias ed Onfray. Basti ricordare quanto riferito ai microfoni della Bbc da Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury nonché massima carica della Chiesa anglicana, a detta del quale «il mito della natività non è altro che una leggenda» (Avvenire, 21/12/07, p.27).

Anche tra i giovani iscritti a percorsi di studio universitari, la conoscenza di Gesù risulta contrassegnata da una confusione che sconfina talvolta nel ridicolo. A questo proposito, è significativo riprendere quanto ricordato dal filosofo Giovanni Reale: «Un collega mi ha detto che nel corso di un esame, alla domanda che il candidato dicesse chi era Cristo, quel candidato rispose che si trattava di un autore che pubblicava le sue opere per l’editore Mondadori. E la risposta veniva data da uno studente universitario, con alle spalle tutte le scuole elementari, medie e superiori. Si tratta di un monstrum dal punto di vista culturale, di cui non avevo mai sentito l’uguale» (Il Giornale, 14/8/2009, p.10).

Dinnanzi ad affermazioni ed episodi così gravi e sconcertanti, è bene interrogarsi e chiedersi se quella del Natale non sia davvero tutta una fiaba di successo, una sorta di best-seller ante litteram. Allarmato da questa tendenza a screditare la storicità della figura di Gesù, lo stesso Santo Padre – autore, fra l’altro, di un recentissimo volume sull’argomento – già nel corso dell’udienza tenuta il 3 gennaio 2007 denunciava con forza il «dramma del rifiuto di Cristo, che, come in passato, si manifesta e si esprime, purtroppo, anche oggi in tanti modi diversi [...] dal netto rigetto all’indifferenza, dall’ateismo scientista alla presentazione di un Gesù modernizzato o postmodernizzato [...] oppure un Gesù talmente idealizzato da sembrare talora il personaggio di una fiaba».

Ora, per tentare di replicare a questa diffusa tendenza culturale, potremmo partire chiedendoci quali indizi possano in effetti suffragare la dimostrazione dell’esistenza storica di Gesù. Ebbene, gli indizi in tal senso abbondano: di Gesù troviamo ampia traccia, oltre che nei Vangeli canonici, anche in quelli apocrifi e pure nelle testimonianze di diversi autori non cristiani, tra i quali ricordiamo: Giuseppe Flavio, Plinio il Giovane, Mara Ben Serapion, Luciano di Samosata, Celso e, dulcis in fundo, Tacito, il più grande storico romano. A farci accantonare in modo definitivo l’idea di Gesù quale personaggio leggendario è poi, a ben vedere, il Cristianesimo stesso, a partire da quello degli apostoli, dei quali si conservano ancora oggi le reliquie: possibile che costoro si siano dati alla predicazione, incuranti persino del martirio, per annunciare il verbo di un personaggio mai esistito?

Perfino Rudolf Karl Bultmann, il teologo luterano pioniere di un metodo – quello storico critico – volto a ridimensionare fortemente, quando non del tutto la divinità di Gesù, se la rideva di quanti negavano l’esistenza storica di Gesù asserendo che «il dubbio che Gesù sia realmente esistito è infondato e non degno di essere confutato. Nessuna persona sana di mente può dubitare che Gesù stia dietro come fondatore al movimento storico, il cui primo livello distinto è rappresentato dalla comunità in Palestina». Assodata quindi – sia pure in estrema sintesi – la storicità di Gesù, possiamo approfondire un’analisi del Natale vagliando i punti nodali della questione.

Iniziamo con l’attesa messianica. L’Antico Testamento risulta letteralmente costellato di profezie concernenti l’avvento di un dominatore del mondo: nella sua Indagine su Gesù (Rizzoli, 2008) Antonio Socci ne ha conteggiate quasi trecento. Come ci ricorda il vaticanista Andrea Tornielli nel suo Inchiesta su Gesù Bambino (Gribaudi, 2005) già nella IV Egloga di Virgilio si annuncia la venuta di un puer, un fanciullo che «riceverà la vita dagli dei [...] reggerà il mondo pacificato per le virtù paterne», e grazie al quale l’«età del ferrò cesserà e (quella) dell’oro sorgerà in tutto il mondo».

Un’attesa, quella del Messia, decisamente fondata e diffusa dunque, tanto è vero che spaventò, e molto, Erode. A questo proposito, J. Schniewind annota: «La paura per la venuta del Messia (cioè del Figlio di Davide definitivo, del figlio di Dio aspettato dalla fine dei tempi dai re di Israele) ha veramente caratterizzato gli ultimi anni della vita di Erode [...] la tradizione di quel tempo narra anche di consultazioni di Erode con gli scribi a riguardo delle affermazioni regali dell’Antico Testamento: il punto critico di Erode, come sovrano, consisteva nel fatto che, edomita qual era, stava al di fuori dell’attesa regale dell’Antico Testamento, della speranza messianica».

Compresa, sia pure per sommi capi, la fondatezza storica della figura di Gesù Cristo – fondatezza, giova ricordarlo, per nulla inferiore, sul piano documentale, a quella di altri grandi personaggi storici quali Alessandro Magno – e ricordato il clima di attesa che permeava il mondo ebraico dell’epoca, passiamo ora a ricostruire più da vicino l’avvenimento del Natale. Dove e quando nacque Gesù? Precisiamo subito che ignoriamo se effettivamente il Bambino nacque, come siamo soliti immaginare, di notte; i Vangeli canonici non dicono nulla in proposito e ci sono ottime ragioni per ascrivere la paternità di questo particolare al Sant’Ambrogio che, nei suoi Inni, scrive: «Risplende già il tuo presepe/la notte effonde la tua luce,/ che nessuna tenebra offuschi,/ma splenda d’inesauribile fede».

Quanto al dove Gesù sia nato, mentre Marco e Giovanni iniziano la loro narrazione dalla sua predicazione, com’è noto sia Matteo che Luca riferiscono, nominandola sette volte, di Betlemme. E poiché vi sono prove attestanti come Betlemme, già a partire dai primi secoli dopo la nascita Gesù, fosse meta di molteplici pellegrinaggi, non si vede ragione – con buona pace di Ernest Renan, secondo cui il Bambino nacque a Nazaret (Cfr. Vie de Jésus, 1863, p. 19) -  per dubitare dell’indicazione dei due evangelisti. Tanto più che l’imperatore Adriano - dopo averla rasa al suolo con l’intento di trasformarla da luogo di culto cristiano (quale già era) a sito di culto pagano - nell’anno 135 consacrò Betlemme al dio Adon, ed è sempre, guarda caso, sull’area della grotta della natività che i romani piantano un bosco sacro. Tra l’altro va ricordato che esiste, nell’Antico Testamento, una esplicita profezia che riconosce quella città come luogo speciale, dove sarebbe nato un Messia.

E’ il libro del profeta Michea (5, 1-3), dove possiamo leggere: «E tu Betlemme di Efrata / così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda / da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele». A quanti sostengono che l’evangelista Matteo, soprattuttto per quanto riguarda i 48 versetti “natalizi” della sua narrazione, abbia “inventato” tutto di sana pianta proprio a partire dalle profezie dell’Antico Testamento (il che spiegherebbe, a detta di costoro, l’impressionante convergenza fra queste ed il contenuto evangelico), facciamo rispondere da uno cattolico autorevole ma certo non tacciabile di chiusure pregiudiziali, mons. Gianfranco Ravasi: «L’ipotesi è piuttosto stravagante. Come, infatti, si può “creare” tutto il racconto dei Magi dalla profezia di Michea che [...] parla solo di Betlemme? Come “inventare” a partire dall’oracolo di Isaia sulla “vergine” che genere l’Emmanuele tutto il racconto che in realtà è un’annunciazione a Giuseppe?» (I Vangeli di Natale, San Paolo, 1992, p. 31). 

Se, nonostante le inevitabili divergenze, si può dunque ritenere assai fondata l’idea che Gesù - conformemente a quanto insegna la tradizione – sia nato a Betlemme,  più dibattuto, fra gli storici, è l’anno della sua nascita. Qui non ci sono certezze e l’ipotesi più condivisa è che Gesù possa essere nato fra il 6 e 7 a.C. Il punto di partenza per comprendere questa ipotesi è Luca, che scrive: «In quel tempo fu emanato un editto da Cesare Augusto per il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento ebbe luogo quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi iscrivere, ciascuno nella propria città. E anche Giuseppe salì dalla Galilea, nella città di David, chiamata Betlemme, perché egli era della casa e della famiglia di David, per farsi iscrivere insieme a Maria, sua sposa, che era incinta» (Lc. 2, 1 -2). Ora, è provato che Publio Sulpicio Quirinio, nativo di Lanuvium, condusse un censimento in Siria e in Giudea nell’anno 6 d.C. Ma poiché Luca (1,5) e Matteo (2,1) asseriscono concordi che Gesù nacque prima della morte di Erode, avvenuta, secondo Giuseppe Flavio, nel 4 d.C., molti usano questa apparente contraddizione per accusare Luca di essere contraddittorio.

In realtà, come ricorda la storica Marta Sordi (1925-2009), Luca non era affatto sprovveduto ed era, anzi, perfettamente al corrente dell’esistenza del censimento del 6 d.C, al quale peraltro allude con chiarezza (At 5,37). Infatti costui, a scanso d’equivoci, parla esplicitamente di un «primo censimento» (2,2 «apographé prote») nell’epoca in cui Quirinio era legato della Siria. Il punto è che esiste, oltre a questo, un censimento fatto in Giudea da Senzio Saturnino, governatore di Siria fino al 7 a.C. e poi impegnato, probabilmente per la successione del trono di Armenia. L’ipotesi più verosimile appare allora la seguente: che il primo censimento, quello iniziato da Senzio Saturnino, sia stato poi continuato da Quirinio quando questo, prima del 6 a.C., aveva finito la guerra contro gli Omonadensi, e reggeva temporaneamente la legazione di Siria. Anche lo storico Giulio Firpo concorda e aggiunge: «Un altro indizio può suffragare questa ricostruzione: nel 7 a.C., ai sudditi di Erode fu chiesto di giurare fedeltà ad Augusto. Era una richiesta frequente nei censimenti provinciali e secondo molti può essere collegata al censimento ricordato da Luca» (Storia e Dossier, anno VI, n.56, 1991, p. 39).

Non manca neppure chi sostiene, forte di argomenti interessanti, un’altra datazione (Cfr. Loconsole M. Quando è nato Gesù?, San Paolo 2011). Anche perché, guardando ai fenomeni astrali, dopo il 6 e 7 a.C., si sono verificarono altri eventi interessanti e che potrebbero essere ricondotti al fenomeno definito da Matteo come stella. Per esempio le numerose e significative congiunzioni planetarie che si verificarono tra il 3 ed il 2 a.C.: 12 agosto del 3 a.C. la congiunzione di Giove e Venere;  il 14 settembre Giove si congiunse con Regolo (con replica, l’anno dopo, il 17 febbraio); il 17 giugno 2 a.C. si registrò una spettacolare congiunzione tra Giove e Venere nella costellazione del Leone, il 27 agosto di quell’anno, poi, nella costellazione del Leone si congiunsero addirittura quattro pianeti (Giove, Venere, Marte e Mercurio) e, dulcis in fundo, dal 12 agosto del 3 a.C. Giove, ritenuto il pianeta dei re, è sempre presente e dal 2 a.C. – combinazione proprio attorno al 25 dicembre di quell’anno! -inverte il proprio moto rispetto alle stelle fisse più vicine, in pratica – ha osservato Ruggero Sangalli (Cfr. Giove, la stella dei magi, La Bussola Quotidiana, 17/12/2011) – “fermandosi” in cielo.

Ciò nonostante – lo dicevamo poc’anzi – per molti studiosi Gesù sarebbe nato tra il 6/7 a.C., ipotesi a cui ci conduce anche la citata e triplice congiunzione tra Saturno e Giove, evento previsto dagli astrologi orientali e che spiegherebbe la venuta dei Magi. Magi che, vale la pena sottolinearlo, non sono nemmeno loro frutto di fantasia. Matteo li racconta come nobili pellegrini e sapienti astronomi, anche se – è vero – i nomi Baldassarre, Gaspare e Melchiorre sono figli della tradizione medievale. Da parte loro, alcuni storici sostengono come le loro spoglie di questi Magi, da Costantinopoli, sarebbero state portate a Milano dal vescovo Eustorgio, mentre altri studiosi affermano che le loro reliquie siano giunte in Italia in seguito alle Crociate. Una cosa risulta certa: le spoglie dei Magi, nel 1162, si trovavano in Lombardia, e da qui, due anni dopo, sarebbero state portate a Colonia da Federico Barbarossa fino a quando, nel 1903, alcune di queste reliquie furono restituite simbolicamente da Colonia a Milano, precisamente a Brugherio, unica località italiana poter vantare la custodia di qualche resto dei nobili e colti adoratori di Gesù.

Tornando alla datazione del Natale, se c’è dibattito sulla questione dell’anno, su quella del giorno si consuma una vera e propria diatriba. E’ difatti diffusa, specie fra persone con una certa istruzione, l’idea che il 25 dicembre come data natalizia fu una scelta convenzionale della Chiesa, promossa per soppiantare il culto pagano del Sol Invictus. Orbene, su quest’idea andrebbe fatta chiarezza. Anzitutto specificando che questa ipotesi – avanzata verso la fine del XII secolo dal vescovo siriano Jacob Bar-Salibi (Cfr. Christianity and Paganism in the Fourth to Eighth Centuries, Ramsay MacMullen. Yale, 1997, p. 155) – viene spesso venduta come una certezza mentre invece è, per l’appunto, solo una ipotesi; peraltro discutibile. Infatti, se la prima citazione della celebrazione del Natale cristiano al 25 dicembre proviene da Ippolito di Roma, martirizzato nel 235 d.C., pare non si abbiano fonti storiche antecedenti, ma solo successive, che alludono al culto Sol Invictus.  Ad ogni modo, il 25 dicembre non è comunque una data inventata o frutto di una scelta “politica”.

Vediamo perché considerando – ancora una volta – quanto riferisce il vangelo di Luca dove si spiega che l’Angelo del Signore, Gabriele, sei mesi prima dell’annunciazione a Maria (Lc 1, 26-38), alla conclusione della solenne e quotidiana celebrazione sacrificale, annunciò all’anziano sacerdote Zaccaria che avrebbe avuto un figlio dalla sua sposa, l’anziana e sterile Elisabetta. Ora, noi sappiamo che nel santuario di Gerusalemme David aveva disposto che i «figli di Aronne» fossero distinti in 24 taxis – sebaot in ebraico – ossia i “turni”. Questo significa che, avvicendandosi in ordine immutabile, tali “classi“, dovevano prestare servizio liturgico per una settimana, da sabato a sabato, due volte l’anno.

Ebbene, grazie ad uno studioso israeliano, Shemarjahu Talmon, che ha esaminato, servendosi del Libro dei Giubilei, la successione dei sopraccitati 24 turni sacerdotali, sappiamo che «il turno di Abia», quello di Zaccaria, corrispondeva all’ultima settimana di settembre. Un dato questo, che corrisponde al rito bizantino che, da secoli, celebra l’annuncio a Zaccaria il 23 settembre.  E quindi, se consideriamo che l’Annunciazione a Maria è fissata quando Elisabetta era al sesto mese – ed è infatti festeggiata dalla Chiesa il 25 Marzo -, capiamo come sia tutto tranne che fantasioso credere che nella notte tra il 24 ed il 25 dicembre, in quel di Betlemme, sia effettivamente nato un Bambino di nome Gesù, un puer destinato a cambiare la storia.

Ora, considerazioni come quelle sin qui svolte non hanno – nè potrebbero avere, vista la loro brevità – la pretesa di esaurire il dibattito e men che meno di archiviare questioni che, almeno fra gli specialisti, sono tutt’ora motivo di discussione. Ciò che invece premeva era mettere ciascuno di noi nella condizione di capire che il Natale che festeggiamo tutto è fuorché la rievocazione di una leggenda. Certo – lo abbiamo ammesso sin dall’inizio - vi sono molti elementi a noi familiari, dall’albero all’idea del pranzo natalizio, che nulla hanno a che vedere con l’autenticità storica del Natale. Vi sono tuttavia molte ragioni per credere che venti secoli fa qualcosa di davvero straordinario sia accaduto, e che quel qualcosa, ancora oggi, abbia molto a vedere con l’autenticità della nostra vita.


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