Dalla superstrada si vedono le montagne di Lecco: semilimpide in una giornata che era cominciata male e che forse doveva continuare peggio. Invece l’aria si è fatta più mite e c’è questo timido sole di ottobre che fa sembrare il primo pomeriggio l’ora del tramonto.
E’ la vigilia dell’ultima Classica della stagione.
Nella hall quasi deserta dell’hotel, chiedo di Tony Gallopin alle ragazze della reception. Una di loro alza la cornetta, chiama nella sua stanza, gli parla in francese. Poche parole. Sa già tutto.
Scende poco dopo. Ha la tuta grigia da dopocorsa della sua squadra, sul cuore c’è scritto: Lotto Soudal. In rosso. Ci stringiamo la mano e ci sediamo su alcuni divanetti vicino alla finestra. Appoggio sul tavolo l’opuscolo del Lombardia.
“E’ il percorso di domani?” chiede Tony. Lo sfoglia, cerca l’altimetria. “Ieri abbiamo provato gli ultimi cinquantasette chilometri. Il Sormano è durissimo ma anche questa qui…Questa salita nuova…”
E indica l’ultima asperità di quell’elettrocardiogramma sulla carta.
“Civiglio?”
“Civiglio” conferma lui e fa un gesto per dire che è molto ripida. Molto. “Ho fatto il Lombardia due volte: è una delle corse più difficili del calendario.”
Sfoglia distrattamente l’opuscolo, poi lo chiude e lo riappoggia sul tavolo. In fin dei conti quello che interessa a chi la corsa la corre è l’altimetria. Più di tutto, anche del percorso. E’ la parte che devono sentire nelle gambe, meglio mettersi l’anima in pace da subito.
Gli chiedo se gli piace correre in Italia. Lui fa una faccia strana e scoppia a ridere.
“No…Non molto” confessa, sorridendo. E io sono contenta perché finalmente qualcuno dice la verità al primo colpo. O perlomeno qualcosa di diverso.
“E’ un Paese che mi piace molto ma purtroppo qui ho solo brutti ricordi. Quando ero un ragazzino ho corso in Toscana e sono caduto molte volte durante quel periodo. E anche recentemente, nelle corse italiane, ricordo solo pessimi incidenti. Come al Lombardia lo scorso anno: sono caduto due volte! Non mi portano molta fortuna. Vedremo domani…”
E scherza, allungando un braccio per picchiettare con le dita sul tavolino. Che è di legno. Un gesto scaramantico, tale e quale al nostro toccare ferro.
Le previsioni dicono pioggia per l’indomani. Senza sosta. Dalla partenza all’arrivo. A nessuno piace correre sotto l’acqua ma Tony non è certo uno che ha paura delle condizioni atmosferiche. Gli ricordo la vittoria di quest’anno alla Parigi Nizza e lui sorride.
“E’ stata una giornata dura” racconta, “un po’ come probabilmente sarà domani. Pioveva e c’erano tante salite. E’ stato davvero bellissimo perché quella è una corsa molto speciale per me.”
Un po’ come il Tour che per un ragazzo francese è il sogno per eccellenza. Assieme alla maglia gialla. Forse, se qualche anno fa, gli avessero detto che un giorno avrebbe indossato la maglia di leader della Grande Boucle il giorno della festa Nazionale, non ci avrebbe creduto. Invece è successo. Il 14 luglio del 2014 Tony è salito sul podio con quella maglia, si è messo la mano sul cuore e ha ascoltato il suo inno.
“E’ stato straordinario. Era la festa Nazionale, c’erano tantissimi fans sulle strade che gridavano. Pazzesco! Io penso che da quel giorno la gente abbia cambiato idea su di me.”
Quando gli chiedo che cosa vorrebbe trasmettere alle persone che lo vedono correre, lui mi risponde che il ciclismo è bello perché non è come gli altri sport: mostra tutto da vicino. “Sai” spiega, “i tifosi possono venire al bus, possono parlare con i loro idoli e possono vedere con i loro occhi che noi siamo persone normali. Semplicemente, questo è il ciclismo. E mi piace proprio per questo lato. Per questo penso che Peter Sagan sia un buon Campione del Mondo. C’è bisogno di gente così, che dopo il traguardo lancia il casco e i guantini al pubblico. Io seguo il football americano e questi gesti sono comuni a tutte le partite. La gente impazzisce per avere qualcosa di speciale dai giocatori. Nel ciclismo è molto difficile cambiare la mentalità e lo stato delle cose ma avere dei personaggi aiuta.”
Se questo è il lato migliore, qual è il peggiore?
Lui ride. Vorrebbe dire tutto il resto, lo so, ma forse non osa. “Beh” risponde sorridendo, “l’unica cosa buona è la vittoria. Per il resto…è solo fatica, devi allenarti molto, hai poco tempo per restare con la famiglia…”
Mi spiega che questo inverno trascorrerà le sue vacanze su un’ isola e sarà il momento più bello dell’anno. Poi ricominceranno i ritiri, il primo a dicembre.
“Per me è un vero sacrificio stare a dieta, restare in forma” dice. “In inverno prendo sempre un po’ di peso perché mi piace molto uscire a cena con i miei amici. Mi piacciono i ristoranti francesi e il buon vino. Ogni tanto, quando ho del tempo libero, vado al cinema. Anche se, a dire la verità, preferisco restare a casa, rilassarmi e prendermi cura del mio giardino. Quando sono in giro per le corse mi manca tutto questo: con i miei amici abbiamo un gruppo su Whatsapp e a volte quando sono lontano mi inviano foto dei piatti o delle bottiglie di vino. Ci divertiamo anche così. Un cosa bella, invece, è che quando siamo in giro per il mondo per via delle corse ho tempo di guardare le serie TV. Tra un massaggio e la cena guardo un paio di episodi. Adoro le serie, una delle mie preferite è American Horror Story.”
Quando gli chiedo i suoi sogni per la prossima stagione lui dice che ama le Classiche, che vorrebbe vincere la Milano Sanremo, il che non è impossibile visto che quest’anno è arrivato nono sul traguardo di Via Roma.
“Mi affascinano anche le corse al Nord, sul pavé” aggiunge. “La Parigi Roubaix è la più bella del calendario. Amo correre in Belgio, c’è un’atmosfera unica. Vincere su quei terreni sarebbe un orgoglio.”
Risposte brevi, senza fronzoli. Non gli piace troppo parlare di ciclismo. E’ un attaccante, quello che dice sulla strada è già abbastanza. Al Tour de France di quest’anno è stato letteralmente incollato alle ruote dei migliori sulle salite peggiori.
Non parla molto nemmeno coi giornalisti, lo dice lui stesso. E ha ragione. Questa è un’altra cosa difficile da cambiare in questo sport che è duro e delicato insieme. Quando non si guardano più le persone e ci si concentra sulle classifiche, allora si perde la sensibilità di un lavoro che dovrebbe essere speciale e, invece, torna normale.
Tony mi racconta che il ciclismo lo ha provato per gioco. Suo padre Joel è stato ciclista professionista e lui era un ragazzino un po’ cicciottello, non molto bravo. Poi da Junior ha cominciato a fare risultati, a migliorare.
Ed eccomi qui, sembra dire. Ora di anni ne ha ventisette e questo sarà il suo terzo Giro di Lombardia.
Al bar sono costretta a dirgli che non bevo caffè e lui scherza: “Una ragazza italiana che non beve caffè? Strano.”
Io rido e prendo una Coca.
Parliamo di tutto. Di Monza, di Formula Uno, del fascino della pista brianzola che almeno una volta nella vita devi vedere, delle strade di qui e dei troppi automobilisti impazienti, di nuoto, di libri. Mi scrive il nome di un autore francese che ha pubblicato una serie di sette libri fantasy.
“Ci vuole una grande immaginazione” mi dice.
So cosa intende.
“E ora mi aspettano i massaggi”
Il momento più bello della giornata, questo lo so bene. Ringrazio Tony, ci stringiamo la mano. Ci vediamo domani, gli dico. Good Luck me lo tengo per la partenza, certi auguri valgono di più nel momento subito prima di una corsa. Automaticamente tifo per lui. Il ciclismo è uno sport troppo umano per non essere legato alla persona che lo pratica.
Qui funziona un po’ come la vita: un istante di felicità folle cancella i giorni di fatica, di rabbia, di stanchezza. E un ragazzo che ha indossato la maglia gialla in un giorno di festa, nel bel mezzo di tre lunghe e durissime settimane, lo sa.
Buona fortuna davvero, Tony. Toccando legno, toccando ferro. Il ciclismo è un posto universale.
Buona fortuna.
Grazie a Tony Gallopin per il tempo e a Guy Kostermans per aver reso possibile questa intervista.
English version here >>> NATIONAL ANTHEM