Giovanna V. Moirani, è nata il 4 ottobre 1970. Giurista, è specializzata in diritto internazionale, con particolare riferimento all’ambito della tutela dei diritti delle donne e della cooperazione umanitaria. A partire dal 2001, ha condotto diversi reportage e studi in America centrale e latina. In questo articolo affronta la problematica legale degli equipaggi stranieri sulle navi da crociera
1. Cause irrisolte negli Stati Uniti d’America
Iniziamo dagli Stati Uniti d’America. Davanti alle corti americane sono stati instaurati, nel tempo, sempre più procedimenti instaurati davanti alle corti americane da lavoratori dipendenti di una società, la Cruise Ships Catering and Services Caribbean NV (C.S.C.S.), la quale è una società controllata da Costa Crociere S.p.a. e che fornisce personale di bordo (servizi complementari di camera, servizi di cucina, et cetera) su navi Costa.
Primo gioco di scatole cinesi: la Società Costa Crociere S.p.a. (sede in Italia) controlla la società Costa International (sede ad Amsterdam), la quale, a sua volta, controlla la Cruise Ship Catering & Services International (sede in Florida, ma anche a Genova, Via XII Ottobre 2). Alcuni di questi lavoratori, infortunatisi o ammalatisi in occasione dello svolgimento di mansioni ad essi affidate a bordo di navi Costa e battenti italiana bandiera, decidevano di convenire in giudizio la C.S.C.S. e Costa negli Stati Uniti. Alcuni esempi.
Nel caso Pablo Membreno v. Costa Crociere S.p.a. ed altri[iii] (2005), il ricorrente, cittadino dell’Honduras, esponeva di essere stato assunto dalla Cruise Ships Catering & Service International, N.V. (CSCS), compagnia avente sede nelle Antille Olandesi, per prestare, tramite detta società, la propria attività di oiler nel corso di due viaggi a bordo delle navi Costa Atlantica e Costa Victoria, italiane e di proprietà della società Costa Crociere S.p.a. Il lavoratore aveva, pertanto, sottoscritto un contratto di lavoro subordinato soltanto con la C.S.C.S., società controllata da Costa Crociere S.p.a. e svolgente attività di fornitura di personale di bordo (servizi complementari di camera, servizi di cucina, et cetera) sulle navi del gruppo Costa. La C.S.C.S. aveva, perciò, provveduto a procurare al lavoratore alcuni imbarchi sulle navi Atlantica e Victoria.
Il lavoratore ricorrente esponeva di aver subito un incidente (injury) nel corso del primo viaggio e di non aver ricevuto cure adeguate, chiedendo l’applicazione della normativa statunitense in tema di infortuni e sicurezza a bordo della navi (Jones Act). Le Corti americane respingevano il ricorso sulla base della cosiddetta dottrina del forum non conveniens, in base alla quale può essere concessa la dismissione del giudizio “se il giudice è convinto che esista un altro giudice, parimenti competente, che costituisce il foro adeguato per la controversia, ossia dinanzi al quale la controversia può essere giudicata in modo adeguato, avendo riguardo agli interessi di tutte le parti e ai fini di giustizia”[iv].
Conclusione: i giudici americani indicavano l’Italia come il Paese nel quale la controversia avrebbe potuto essere utilmente instaurata, poiché il ricorrente lavorato a bordo di “Italian-flagged vessels”, ossia di navi italiane (Costa) battenti bandiera italiana. Come questo caso ve ne sono stati, nel tempo, tanti altri, tutti decisi allo stesso modo: Jesus Velasquez v. C.S.C.S. N.V. – Costa Crociere S.p.a.[v], Tananta e altri v. Cruise Ships Catering and Service Int’L, N.V. ed altri[vi], Rene E. Chiamo v. Costa Crociere S.p.a. ed altri[vii], Fernando Simpson v. Costa Crociere S.p.a. ed altri[viii], Firoz P. Vesuna v. C.S.C.S. International, N.V., ed altri[ix].
Mai una controversia simile, tuttavia, è giunta in Italia. Mai questi lavoratori hanno ottenuto alcuna tutela giuridica per gli infortuni e le malattie, anche gravi, che sono loro accaduti a causa delle mansioni svolte su navi della Costa. Per quale ragione? Certo per un cittadino dell’Honduras (come Velasquez) o del Guatemala (come Tananta), tutti assunti “formalmente” a Miami dalla C.S.C.S., instaurare un processo in Italia anziché negli Stati Uniti costituisce una difficoltà pratica di non poco rilievo. Inoltre, in questo gioco di rimandi tra Stati Uniti ed Italia, la Costa si è certo ben protetta.
2. Un appalto fittizio?
Le relazioni contrattuali (crew management agreement) proprie di questi lavoratori si possono inquadrare entro lo schema atipico del Crewman B – Lump Sum[x]: i servizi complementari di bordo su navi Costa vengono, cioè, svolti da personale non legato da un contratto di arruolamento con Costa, in quanto si tratta di servizi dati formalmente in appalto a terzi (C.S.C.S.). I lavoratori stipulano, pertanto, un contratto di lavoro dipendente con l’appaltatore, venendo, successivamente, dotati di un semplice atto (non contratto) d’arruolamento che consente l’iscrizione nel ruolo d’equipaggio con la conseguente sottoposizione alla gerarchia di bordo. Nessun contratto con Costa, ma al servizio esclusivo di Costa. Ossia: esercizio del potere senza responsabilità.
E i nostri giudici? Quale natura giuridica ha il contratto atipico tra armatore ed appaltatore[xi]? Fornitura lecita o interposizione fittizia? Sono note, sul punto, le storiche pronunzie della Pretura di Roma del 2 novembre 1990[xii] e della Pretura di Civitavecchia, del 17 novembre 1994[xiii], le quali, per prime, hanno dovuto verificare la tenuta effettiva del divieto di cui all’ art. 1 della Legge 23 Ottobre 1960, n. 1369 (abrogata peraltro nel 2003) di fronte alle deroghe che, nei rapporti di lavoro marittimi, venivano progressivamente introdotte. Secondo l’impostazione, adottata dalla Pretura di Civitavecchia ed accolta dalla successiva giurisprudenza[xiv], nei contratti di appalto riguardanti i servizi complementari di bordo, la valutazione degli elementi e dei fatti che consentono di escludere la presenza di una mera interposizione di manodopera deve essere condotta sui medesimi parametri già elaborati dalla giurisprudenza per le ipotesi di intermediazione nei lavori a terra[xv]. In tal senso, qualora l’ appaltatore assuma il rischio d’impresa e predisponga, per fornire il servizio, un’ autonoma organizzazione imprenditoriale, non potrebbe mai configurarsi una violazione dell’art. 1 L. 1369/1960.
Eppure ciò ha, in pratica prodotto l’effetto contrario rispetto a quello presumibilmente desiderato. Ossia l’assoluta esclusione di casi di interposizione fittizia. La giurisprudenza ha, infatti, dovuto progressivamente riconoscere che i tradizionali indici attraverso i quali provare il carattere fittizio dell’appalto avrebbero dovuto tener conto delle peculiarità proprie dell’organizzazione della nave e dei servizi a bordo della stessa, i quali, evidentemente, non possono prescindere dall’utilizzo delle attrezzature presenti sulla nave.
In questo senso, all’utilizzazione di macchinari, locali, energia ed attrezzature dell’appaltante, la giurisprudenza ha finito per non riconoscere più alcuna idoneità probatoria nel campo dell’appalto di lavoro marittimo. Parimenti, la sussistenza del rischio d’impresa e dell’autonomia organizzativa è stata ritenuta compatibile con la direzione, da parte dell’armatore, dell’orario di lavoro, delle pause, dei pranzi, etc., giustificata in considerazione dei particolari ritmi che scandiscono la vita di bordo.Così, in un contratto di appalto dei servizi di ristorazione per passeggeri ed equipaggio, con annessi servizi di housekeeping, sarà considerato legittimo il fatto che l’armatore fornisca all’appaltatore non soltanto i locali a bordo della nave, ma, altresì, i generi alimentari da utilizzare per i servizi, i materiali necessari all’effettuazione degli stessi (piatti, posate, tovaglie, bicchieri, vini, bevande, lenzuola, coperte, detersivi, etc.), nonché il fatto che questi conservi un potere di controllo sulla qualità e le modalità del servizio prestato e sul prezzo da applicare ai beni somministrati. A questo punto, tuttavia, il lavoratore viene costretto ad una prova diabolica, impossibile. Non si comprende, infatti, come egli potrebbe fornire la prova dello pseudo-appalto, non potendo più essere tracciata quella fondamentale presunzione assoluta tra fornitura dei mezzi di organizzazione e di produzione e illiceità dell’appalto[xvi].
Il lavoratore non avrebbe allora alcuna possibilità di chiamare a rispondere l’armatore per inadempimenti e danni legati al pagamento della retribuzione e all’irregolare corresponsione dei contributi previdenziali ed assistenziali ai sensi della legge italiana, né tantomeno per infortuni e malattie subite. Non è ciò che si chiama lavoro “sommerso”?
Dietro l’elegante etica professionale che le grandi compagnie di navigazione hanno deciso di imporsi autonomamente ai fini di una corretta gestione dei diritti dei lavoratori, della tutela contro lo sfruttamento dei minori, della garanzia di sicurezza e salubrità sul posto di lavoro, gli accordi di crew management conclusi con società satellite hanno, da un lato, garantito la tacita abrogazione delle norme sull’interposizione fittizia e, dall’altro, nascosto al lavoratore non soltanto il datore di lavoro effettivo, ma lo stesso foro di competenza, nell’incrocio di sedi legali in Europa, America, Antille Olandesi, sperdute isole ed ex colonie.
3. Proviamoci. Una soluzione possibile
A quei lavoratori “nascosti” gli Stati Uniti continueranno a dare sempre torto, rinviandoli ad un imprecisato giudice italiano che, anche qualora venisse chiamato a decidere, respingerebbe le loro richieste, grazie all’impossibilità di fornire la prova del carattere puramente “fittizio” di quegli appalti di manodopera. Esiste una soluzione possibile? A mio avviso sì. Ci vorrebbero, naturalmente, sentenze innovative, coraggiose, ma io credo che si debba provarci egualmente. La mia tesi è che – indipendentemente dal carattere o meno fittizio dell’appalto – sia possibile invocare una effettiva protezione del lavoratore utilizzando l’art. 2087 c.c.
Secondo l’art. 2087 c.c., l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Può esso fondare la responsabilità della Costa anche se quei prestatori di lavoro non sono formalmente alle sue dipendenze, ma lo sono certamente di fatto? Può consentire di chiamare la Costa a risarcire i danni subiti per infortuni e malattie in quanto strettamente dipendenti dall’organizzazione di bordo, che è interamente controllata da lei?
Ritorniamo alla giurisprudenza che, sino ad oggi, ha escluso ogni responsabilità dell’armatore. L’ha esclusa sostenendo che il contratto d’appalto deve ritenersi compatibile con le necessarie prescrizioni dettate dall’armatore appaltante, e con i suoi poteri disciplinari durante la navigazione – trattandosi “di prescrizioni dettate al fine specifico di garantire al funzionalità e la efficienza della navigazione, le quali ben possono sovrapporsi, senza escluderlo, al potere gerarchico dell’appaltatore” (Trib. Civitavecchia, 5 Dicembre 1997) -. Questa stessa argomentazione non significa, tuttavia, che le norme protettive in tema di rimpatrio e sbarco e, più in generale, le cautele imposte ai sensi dell’art. 2087 c.c. coinvolgano solidalmente la responsabilità tanto dell’appaltatore quanto dell’armatore?
Non hanno esse natura pubblicistica e, pertanto, non sono forse idonee ad obbligare anche soggetti terzi (armatore) rispetto alle parti del contratto di arruolamento? È, in tal senso, l’interesse pubblicistico ad esigere che, nell’ambito della sicurezza e della cura del lavoratore, debba riconoscersi l’esistenza di un rapporto obbligatorio nascente dal semplice contatto sociale. A bordo della nave, infatti, la relazione tra il lavoratore e l’armatore deve ritenersi differente dalla “neutrale coesistenza” dei terzi, e la vita d’equipaggio crea un contatto, un rapporto di reciproco affidamento tra le parti, per il quale si presentano più consone, sulla base di un interesse pubblico, talune norme sui contratti – tra cui l’art. 2087 c.c. – che non quelle concernenti gli atti illeciti[xvii].
Secondo un indirizzo dottrinale[xviii], infatti, «la moderna civiltà di massa (…) col ritmo febbrile impresso al traffico e alla vita sociale, importa anche che talvolta si costituiscano rapporti obbligatori di natura contrattuale senza avere a base valido contratto corrispondente, ma solo in virtù di un contegno che, secondo la sua tipica concludenza sociale, spiega effetti vincolanti al pari di un negozio giuridico»[xix]. L’essenza del negozio giuridico, infatti, non può che risiedere «nell’assetto di interessi in cui si esplica l’autonomia privata», la quale «respingendo il pregiudizio individualistico della necessità di un intento rivolto agli effetti giuridici, ritiene unicamente decisiva per la valutazione giuridica del negozio la rispondenza del divisato assetto d’interessi ad una funzione economico-sociale tipica, che nel settore da noi studiato [le obbligazioni] è una funzione di cooperazione. Questo delle obbligazioni – ripeteremo ancora – non è il regno della volontà, ma della socialità»[xx].
Tra gli atti e le situazioni che dovevano intendersi inquadrate entro tale istituto dommatico, tipico è il caso dell’offerta al pubblico di una prestazione o di un servizio di pubblico interesse (somministrazione di acqua potabile, gas, energia, mezzi di trasporto), in quanto «decisivo per la nascita di un obbligo in capo all’utente è solo il fatto dell’utilizzazione come contegno socialmente tipico, da interpretare nella sua concludenza sociale secondo il significato normale che ad esso si attribuisce nella sfera dei consociati utenti»[xxi].
La giurisprudenza ha, nel tempo, dimostrato non soltanto di condividere detto indirizzo, ma ha provveduto ad una estensione del suo ambito applicativo, con riferimento, in particolare, alla responsabilità contrattuale del medico dipendente ospedaliero, a quella dell’insegnante per danno arrecato dall’allievo a se stesso, alla figura dell’amministratore di fatto di società, alla responsabilità della p.a. per l’adozione di un atto illegittimo[xxii], nonché ad altre numerose ipotesi in cui è stata riconosciuta l’idoneità del semplice “contatto” a fare origine a specifici obblighi di protezione, con conseguente applicazione della disciplina della responsabilità da contratto[xxiii].
Sulla natura contrattuale, pur in assenza di un pregresso rapporto obbligatorio tra le parti, della responsabilità del medico ospedaliero per danni cagionati al paziente derivanti da mancata o inesatta prestazione professionale, la Cassazione[xxiv] ha più volte indicato come le obbligazioni possano sorgere da rapporti contrattuali di fatto, nei casi in cui taluni soggetti entrano in contatto, senza che tale contatto riproduca le note ipotesi negoziali, e pur tuttavia ad esso si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati interessi che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso.
Così, con riferimento al medico ospedaliero, nella sentenza della Cassazione, 22 Gennaio 1999, n. 589, si legge come «la coscienza sociale, prima ancora che l’ordinamento giuridico, non si limita a chiedere un non facere e cioè il puro rispetto dalla sfera giuridica di colui che gli si rivolge fidando nella sua professionalità, ma giustappunto quel facere nel quale si manifesta la perizia che ne deve contrassegnare l’attività in ogni momento». Conclude, pertanto, la Suprema Corte nel sostenere che «in altri termini, la prestazione (…) sanitaria del medico nei confronti del paziente non può che essere sempre la stessa, vi sia o meno alla base un contratto d’opera professionale tra i due». Allo stesso modo, in caso di danno che l’allievo cagioni a se stesso a scuola, la responsabilità dell’insegnante è stata definita dalla giurisprudenza come dipendente dalla violazione dell’obbligo di sorveglianza sui minori sorto in virtù del «contatto sociale» tra alunni e precettori (Cass., Sez. Un., 27 Giugno 2002, n. 9346)[xxv].
Da ultimo, la giurisprudenza ha ricondotto alla “responsabilità da contatto” anche l’opera del mediatore non mandatario ai sensi dell’art. 1754 c.c., considerando che «se, prima facie, la responsabilità del mediatore non mandatario appare agevolmente di natura extracontrattuale, risulta preferibile, riguardando la stessa una figura professionale, applicare la più recente previsione giurisprudenziale di legittimità della responsabilità “da contatto sociale” (…); infatti, tale situazione è riscontrabile nei confronti dell’operatore di una professione sottoposta a specifici requisiti formali ed abilitativi, come nel caso di specie in cui è prevista l’iscrizione ad un apposito ruolo, ed a favore di quanti, utenti-consumatori, fanno particolare affidamento nella stessa per le sue caratteristiche (si pensi, ad esempio, alle c.d. agenzie immobiliari dalle particolari connotazioni professionali ed imprenditoriali)» (Cass., Sez. III, 14 Luglio 2009, n. 16382).
Alla luce dell’indirizzo fatto proprio dalla Cassazione, deve, pertanto, considerarsi come il fatto del “contatto sociale” tra due soggetti sia idoneo a costituire una fonte di obbligazione ai sensi dell’art. 1173 c.c. ogni qual volta da esso abbia origine un rapporto tra le parti coinvolte nel quale si possano ravvisare i termini di una relazione “gerarchica”, cui vengono connesse specifiche aspettative, meritevoli di tutela, di fiducia e protezione reciproca (precettore-allievo, medico-paziente, amministratore gerente-società). In tal senso, la relazione tra datore di lavoro e lavoratore presenta elementi e profili del tutto analoghi alle situazioni qui esaminate.
La categoria dei rapporti contrattuali di fatto, d’altra parte, è alla base dell’art. 2126 c.c., secondo il quale la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non producono effetti per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione: ciò che, infatti, fonda l’obbligazione contrattuale non è la conclusione di un contratto, ma «il lavoro subordinato in sé», comunque prestato, in quanto rispondente ad un interesse sociale[xxvi]. È la prestazione di fatto del lavoratore, e non il contratto di lavoro, a costituire, perciò, la fonte delle obbligazioni contrattuali del datore di lavoro (ed analogo meccanismo è alla base della previsione dell’art. 1 della L. 23 Ottobre 1960, n. 1369).Quanto, inoltre, al lavoro marittimo, deve considerarsi come il semplice imbarco e la mera presenza del lavoratore sulla nave siano fatti idonei a far sorgere obbligazioni reciproche, le quali hanno natura contrattuale, senza avere alla base un valido contratto, ma in virtù di un contegno, di un contatto sociale, che spiega i suoi effetti vincolanti al pari di un negozio giuridico: è la realtà sociale, in tali casi, a tenere avvinti lavoratore ed armatore «in omaggio a una superiore esigenza di solidarietà»[xxvii].
Parallele al contratto di lavoro subordinato concluso con l’appaltatore – e fonte di obbligazioni (retribuzione, contributi, etc.) di cui solo l’appaltatore è chiamato eventualmente a rispondere -, trovano applicazione obbligazioni contrattuali che legano lavoratore ed appaltatore in virtù della peculiare organizzazione di bordo (nella quale quest’ultimo conserva poteri direttivi e organizzativi), connotata da un interesse pubblicistico il quale, del resto, è alla base:
a) dell’operatività dell’art. 2087 c.c. sull’ obbligo di presidio e di messa in sicurezza in capo all’armatore e ai suoi preposti, il quale si applica anche se non contemplato dalle norme che regolano il rapporto di lavoro nautico, vale a dire dal contratto di arruolamento;
b) dell’istituto marittimo del rimpatrio, il quale indica chiaramente come l’obbligo dell’armatore di provvedere ai sensi degli artt. 363 ss. cod. nav. deve considerasi indipendente dall’eventuale contratto di arruolamento, in quanto prescinde dalla causa di estinzione del rapporto[xxviii];
c) della considerazione dei lavoratori dipendenti dell’appaltatore alla stregua di “equipaggio”, almeno nel senso indicato dalla più recente giurisprudenza, ai sensi della quale «tutte le persone che prestano attività lavorativa per il servizio della nave (inteso detto servizio in senso ampiamente lato) fanno parte dell’ equipaggio» (Cass., 22 Febbraio 2006, n. 3874), con la conseguente sottoposizione degli stessi ad ogni ordine del Comandante della nave relativo alle materie riguardanti la sicurezza della navigazione e il mantenimento della disciplina di bordo.
Quanto sopra dimostra come, nel rapporto nautico, siano già presenti obbligazioni contrattuali indipendenti dal contratto di lavoro (gli obblighi connessi al rimpatrio, ad esempio, hanno natura contrattuale, ma la loro fonte è, certamente, il contatto sociale). In tal senso, dal mero fatto dell’imbarco di un lavoratore (indipendentemente dal datore di lavoro cui formalmente è subordinato[xxix]), l’armatore non solo è obbligato, per legge, a garantire la sicurezza a bordo, ma si obbliga contrattualmente nei confronti di quel singolo lavoratore ad adottare tutte le cautele necessarie per la tutela della sua salute e integrità psico-fisica. Se, per fare un esempio, il vitto e l’alloggio fossero a cura dell’appaltatore, in caso di inadempimento di quest’ultimo l’armatore dovrebbe ritenersi, pertanto, obbligato, ai sensi dell’art. 2087 c.c., a fornire le relative prestazioni. Parimenti, in caso di infortuni e/o danni alla salute, l’armatore dovrà ritenersi responsabile contrattualmente, ed incomberà su quest’ultimo l’onere di provare la mancanza di colpa anche sotto il profilo dell’omesso controllo sull’effettivo uso delle misura che egli ha adottato al fine di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore[xxx]. O, ancora: laddove il lavoratore debba essere necessariamente sbarcato, l’obbligo di cura di cui all’art. 336 cod. nav. disporrà che l’armatore a depositare l’indennità di rimpatrio e la somma necessaria per la cura ed il rimpatrio.
Il contatto sociale tra lavoratore dipendente dell’appaltatore e sfera organizzativa dell’armatore deve considerarsi idoneo perlomeno a fondare per quest’ultimo specifiche obbligazioni sociali di prestazione riconducibili alle cautele ed alle misure di cui all’art. 2087 c.c., la cui natura di obbligazione contrattuale si fonda sul fatto che il contatto sociale è idoneo a configurare una obbligazione giuridica preesistente, assunta dal danneggiante nei confronti del danneggiato.
È, dunque, venuto il momento di tentare di scardinare quella rete dietro la quale Costa ha ottenuto ragione davanti ai giudici americani. Essa ha lasciato, per decenni, privi di tutela camerieri, macchinisti, cucinieri, etc., che hanno lavorato sulle navi italiane e che lì hanno subito infortuni e contratto malattie. A chi compirà questo tentativo, andrà il merito di aver scoperto la tela del ragno.
[i] D. Billi, Naufragio Costa Concordia: stranieri e al nero, sulle navi da crociera?, in crisis.blogosfere.it. [ii] Costa Concordia, il dramma dei marinai immigrati, in «L’Unità», 15 gennaio 2012. [iii] Pablo Membreno v. Costa Crociere S.P.A., Federal Circuits, 11th Cir., 27 Luglio 2005, Nr. 04-16732. [iv] Spiliada Maritime Corporation v. Consulex Ltd, in «Law Reports, Appeal Cases», 1987, p. 436. Sul forum non conveniens cfr. Casad, il concetto di jurisdiction in materia civile alla fine del ventesimo secolo: forum conveniens e forum non conveniens, in «Riv. dir. proc.», 1999, p. 1050 ss.; Lupoi, Conflitti transnazionali di giurisdizioni, 2 voll., Milano, Giuffrè, 2002; Id., Esercizio discrezionale della giurisdizione: “forum (non) conveniens ed altro ancora”, in «Riv. trim. dir. e proc. civ.», 1996, 2, pp. 875 ss.; Marengo, La litispendenza internazionale, Torino, Giappichelli, 2000; R.T. Abbott, The emerging doctrine of forum non conveniens: a comparison of the Scottish, English and United States applications, in «Vanderbilt Journal of Transnational Law», 1985, pp. 135 ss.; D.W. Robertson, Forum non conveniens in America and England: a rather fantastic fiction, in «Law Quarterly Review», 1987, pp. 398 ss. [v] Jesus Velasquez v. C.S.C.S. N.V. – Costa Crociere S.p.a, Federal Circuits, 11 th Cir., 6 Settembre 2005, Nr. 05-11170. [vi] Tananta v. Cruise Ships Catering and Service Int’L, N.V. ed altri, Federal Circuits, 3th Cir., Nr. 3D03-1799. [vii] Rene E. Chiamo v. Costa Crociere S.p.a. ed altri, Federal Circuits, 3th Cir., Nr. 3D02-2633. [viii] Fernando Simpson v. Costa Crociere S.p.a. ed altri, Federal Circuits, 3th Cir., Nr. 3D03-700. [ix] Firoz P. Vesuna v. C.S.C.S. International, N.V., ed altri , U.S.D.C. Southern District of Florida, 30-11-2009. [x] Cfr. S. Bevilacqua, Liberalizzazione e flessibilità del mercato del lavoro marittimo: le agenzie di lavoro e l’arruolamento dell’equipaggio, in «Rivista dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente», 2/2004, p. 94 ss. [xi] Cfr. Gaeta, Equipaggio della nave e dell’aeromobile, in «Enc. Dir.», XV, 1966, p. 49 ss.; Enrico Lucifredi, Equipaggio della nave, in «Dig., Disc. priv., sez. comm.», V, Torino 1990, p. 259 ss.; Cardillo, Il rapporto di lavoro nautico, Padova 1998, p. 76. [xii] Pretura di Roma, 2 novembre 1990, con nota di Fogliani, In tema di appalto di servizi a bordo e interposizione illegittima di manodopera, in «Dir. Trasp.», 1992, II, pp. 593 ss. [xiii] Pretura di Civitavecchia, 17 novembre 1994, con nota di Fogliani, Legittimità dell’appalto dei servizi a bordo, in «Dir. Trasp.», 1995, pp. 581 ss. [xiv] Trib. Venezia, Sez. lavoro 12 aprile 1994; Trib. Roma, 23 settembre 1997 in «Dir. Trasp.», 1999, p. 1009; Trib. Civitavecchia, 8 gennaio 1998, con nota di Fogliani, Appalto di servizio a bordo e interposizione fittizia di mano d’opera: atto terzo e quarto, in «Dir. Trasp.», 2000, pp. 173 ss.; Cass., Sez. Lav., 12 dicembre 2001 n. 15665, con nota di Nappi, Interposizione, appalti interni leciti e limiti del sindacato giurisdizionale, in «Riv. Dir. Lav.», 2002, I, pp. 772 ss. [xv] Ex multis, Cass., Sez. Lav., 25 Giugno 2001, n. 8643; Trib. Milano, 10 Luglio 2000; Cass. 12 Dicembre 2001, n. 15665; Cass., Sez. Un., 20 Gennaio 1989, n. 295; Cass., Sez. Un., 20 Febbraio 1985, n. 1499 in «M.G.L.», 1985, p. 151; Cassazione 20 Aprile 1985, n. 2643, in «Giust. Civ.», 1986, p. 502; Cass., Sez. Un., 19 Ottobre 1990, n. 10183, in «Foro it.»,1992, p. 524; Pret. Sestri Ponente, 3 Gennaio 1989, in «Dir. Lav.», 80, 1989, p. 788; Pret. Roma., 19 Gennaio 1984, in «Dir. Lav.», 1985, p. 23. [xvi] Cfr. Cass., 11 Settembre 2000, n. 11957. Da ultimo, Cass., 9 Marzo 2009, n. 5648: “(…) essendo invece sufficiente che la stessa non fornisca una propria organizzazione di mezzi in relazione al particolare servizio appaltato (v., fra le tante, Cass. 5087/98 e 11120/06). Invero, una volta accertata l’estraneità dell’appaltatore all’organizzazione e direzione dei prestatori di lavoro nell’esecuzione dell’appalto è del tutto ultronea qualsiasi questione inerente il rischio economico e l’autonoma organizzazione del medesimo rimanendo, comunque, esclusa da parte dell’appaltatore, per la rilevata estraneità, una reale organizzazione della prestazione stessa finalizzata ad un risultato produttivo autonomo (Cass. 12363/03)”.
[xvii] Cfr. Betti, Sui cosiddetti rapporti contrattuali di fatto, in «Jus. Rivista di scienze giuridiche», I, Milano, 1957, pp. 353 ss. [xviii] Cfr. Haupt, Über faktische Vertragverhältnisse, in «Leipziger Rechtswissenschaftliche Studien», Leipzig, 1943; Simitis, Die faktischen Vertragsverhältnisse als Ausdruck der gewandelten sozialen Funktion der Rechtinstitute des Privatrechts, Frankfurt am Main, 1957; Küchenhoff, Faktische Vertragverhältnisse und faktische Arbeitsverhältnis, in «Recht der Arbeit», 1958, p. 121. In Italia, cfr. ex multis Ricca, Sui cosiddetti rapporti contrattuali di fatto, Milano, 1965, p. 33 ss.; Di Majo, L’esecuzione del contratto, Milano, 1967; Stella Richter, Contributo allo studio dei rapporti di fatto nel diritto privato, in «Riv. trim. dir. proc.», 1977, pp. 151 ss.; Franceschelli, Premesse generali per uno studio dei rapporti di fatto, in «Rass. dir. civ.», 1981, pp. 662 ss.; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1989, p. 103; Angelici, Rapporti contrattuali di fatto, in «Enc. giur. Treccani», Roma, 1991, XXV; Roppo, Il contatto sociale e i rapporti contrattuali di fatto, in Bessone, Casi e questioni di diritto privato, V, Milano, 1993; Sacco, Il contatto di fatto, in «Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno», X, Torino, 1995, p. 54 ss.; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2001, p. 837 ss. [xix] E. Betti, Teoria generale delle obbligazioni, III, Milano, Giuffrè, 1954, p. 117 [xx] Idem, p. 128. [xxi] E. Betti, Teoria generale delle obbligazioni, cit., p. 118. [xxii] Cfr. Cons. Stato, Sez. V., 2 Settembre 2005, n. 4461, in «Giust. Civ.», 2006, I, p. 705. [xxiii] Cfr. Cass., Sez. Un., 23 Marzo 2005, n. 6216 (sul rapporto tra avvocato e cliente); Cass., 18 Luglio 2003, n. 11245 (sul rapporto tra incapace e sorvegliante); Cass., 23 Ottobre 2002, n. 14934 (sulla responsabilità del notaio); Trib. Rimini, 11 Maggio 2005 (sulla responsabilità della banca intermediataria); Trib. Monza, 11 Luglio 20002 (sul diritto alla provvigione del mediatore). [xxiv] Ex multis, cfr. Cass., Sez. Un., 11 Gennaio 2008, n. 577, in «Foro it.», Rep. 2008, voce Professioni intellettuali, n. 14; Cass., Sez. III, 22 Gennaio 1999, n. 589, in ««Danno e resp.», 1999, p. 294, con nota di Carbone, La responsabilità del medico ospedaliero come responsabilità da contatto. [xxv] Cfr. anche Cass., Sez. III, 18 Novembre 2005, n. 24456, in «Danno e Resp.», 2006, p. 1081; Trib. Milano, 19 Gennaio 2004, in «Danno e Resp.», 2004, p. 1096. [xxvi] Ibidem. Cfr. Greco, Il contratto di lavoro, Torino, Utet, 1939, p. 205. Interessanti considerazioni si ritrovano anche in U. La Torre, «Ospite» e membro di equipaggio: una singolare commistione, in «Diritto del turismo», 4, 2006, p. 234 ss. [xxvii] Cfr. E. Betti, Teoria generale delle obbligazioni, cit., p. 121 [xxviii] Cfr. Torrente, Arruolamento (contratto di), in «Enc. dir.», III, Milano, 1958, p. 76 ss.; Righetti, Trattato di diritto marittimo, IV, cit., pp. 9 ss. [xxix] D’altra parte, nell’appalto a terra si deve ricordare come il committente, ai sensi del D. Lgs. 14 Agosto 1996 n. 494 e del D. Lgs. 9 Aprile 2008 n. 81, debba considerarsi il soggetto obbligato in via originaria e principale all’osservanza degli obblighi imposti in materia di sicurezza sul lavoro e sia responsabile solidamente con l’appaltatore per l’infortuno occorso ad un dipendente di quest’ultimo. Per i profili penalistici, cfr. Cass. Pen., 5 giugno 2008, n. 22622; Cass. Pen. Sez. III, 19 maggio 2003, n. 21995; Cass. Pen. Sez. III, 21 febbraio 2007, n. 7209; Cass. Pen., Sez. IV, 20 febbraio 2008, n. 7714. Anche adottando l’interpretazione restrittiva affermata in Cass., Sez. Lav., 23 settembre – 28 ottobre 2009, n. 22818, deve ritenersi sussistere responsabilità del committente laddove egli stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto, riservandosi i poteri tecnico organizzativi dell’opera da eseguire (Cfr. Cass., Sez. Lav., 22 Marzo 2002, n. 4129).
[xxx] Sull’applicabilità dell’art. 2087 c.c. al rapporto di lavoro marittimo e sulla natura contrattuale della responsabilità del datore di lavoro, cfr. Cass. 13 agosto 2008 n. 21590; Cass., Sez. Lav., 1 Giugno 2006, n. 13053; Cass. 25 maggio 2006 n. 12445; Cass., Sez. Un., 24 Marzo 2006, n. 6572; Cass., 29 Ottobre 2003, n. 16250; Cass., 11 Luglio 2001, n. 9385; Cass., Sez. Un., 25 Maggio 1999, n. 1527; Cass. 9 Dicembre 1997, n. 11329; App. Potenza, Sez. Lav., 18 Luglio 2008; App. Genova, 20 Dicembre 2006. Cfr. L. De Marco, In tema di responsabilità dell’armatore per inadempimento dell’obbligazione di sicurezza, in «Il Diritto Marittimo», n.4/2008, pp. 1276 ss.