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Nave Concordia – Il cuore dell’ Arlecchino

Creato il 23 gennaio 2012 da Thefreak @TheFreak_ITA

“Vieni ragazzo mio, accompagnami a questa capanna”. (“Re Lear” . Il re si rivolge al buffone- Shakespeare)

E se in Shakespeare il giullare diviene l’archetipo del solo che possa indirizzare il sovrano verso la via corretta, anche in questa fiaba lo sarà.

Perché questa è una fiaba. E il fatto che si sia realmente verificata nulla sottrae all’ onirico. Nulla viene tolto al fantastico. In una realtà plasmata da scatole nere  che non sapranno sentenziare verità, provate a lasciar andare tutto il clamore. Tutta la rabbia. Tutto lo sgomento.

Se volete, sedetevi per terra, a gambe incrociate.  Abbiamo un mostro da incontrare.

C’era una volta…

C’erano una volta otto re bambini. Erano piccoli, molto piccoli, ma questo non li rendeva meno regali. Erano partiti per un lungo viaggio, con quella curiosità viva che solo autentici sovrani del sogno posseggono.

Su una nave. Su una nave si erano imbarcati e quello che ciascuno s’ attendeva no, non è dato saperlo. La nave era una Sirena. Incantevole e pericolosa. Per loro, lei era l’ Inganno del mare. Un richiamo verso il buio del Silenzio. E, in una notte probabilmente placida, la terra tremò. Sotto otto teste coronate. Ondeggiò.

E se la Paura sa essere un ineccepibile veleno, altrettanto grandioso sa essere il suo antidoto. Il Riso. Ciò che porta luce quando tutto diviene ombra.

Chi meglio di un clown avrebbe saputo disporre di quell’ unica, straordinaria, medicina? Usò i suoi travestimenti. I suoi costumi. E che sia un copricapo con i campanelli o un costume da Spiderman, poco importa.

Attraverso la risata.  Con la risata. Il giullare li condusse fuori dalla pancia del mostro. Lontani dall’ orrore. Via da un ammutolito caos che non ha e non può avere parole belle da regalare.

E mentre i giornali tuoneranno ed espressioni come “naufragio” o “capo d’ imputazione” per gli adulti-tanto-adulti dovranno divenire spiacevolmente familiari, io vorrei riusciste a guardare questa triste vicenda con quelle otto paia di occhi. Come se anche voi, per un istante, stringeste mani, minuscole mani, in una catena umana di bambini. Una catena umana di re.  Per uscire via da un bosco fatto di compartimenti stagni e punti di raccolta.  Scortati dalla voce rasserenante di un giullare. Del Giullare che, in questa occasione, ha scritto sulla sua carta d’ identità Giovanni Lazzarini. Un animatore. Un ragazzo che, al momento dell’impatto del “mostro” con lo scoglio, si è trovato di fronte ad una scelta. Seguire un umano istinto di sopravvivenza. Oppure. Indossare i panni e il coraggio del Giullare. Del Clown  che, con la follia della sua allegria, avrebbe avuto il difficile compito di condurre quei bambini lontani dalla pazzia della disperazione.

Alla ricerca di una scialuppa ha deciso. Di essere qualcosa di più di un semplice dipendente in una situazione d’ emergenza. Lui ha optato per l’ Arlecchino. Per l’eroismo dell’ Arlecchino. Mentre si è curato di far salire prima tutti i bambini. Con il talento del “magico”, lui ha tramutato in Fiaba una delle infinite storie dell’ Incubo.

Mentre ha sorriso, là dove altri avrebbero gridato. Accanto all’ Isola del Giglio. Su un titano chiamato Concordia. Giovanni Lazzarini s’è appuntato al petto. Il cuore dell’Arlecchino.


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