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Nazario Pardini su “Dipthycha 2″, volume poetico-antologico curato da Emanuele Marcuccio

Creato il 16 marzo 2015 da Lorenzo127

Nota critica a cura di Nazario Pardini

Nazario Pardini su “Dipthycha 2″, volume poetico-antologico curato da Emanuele MarcuccioOpera interessante, polimorfica, parenetica, e plurale, questa, curata da Emanuele Marcuccio, che assembla vari Autori nell'intento di "rivalutare la poesia, come forma di comunicazione emotiva ed empatica per eccellenza e come forma verbale più profonda mai creata dall'uomo" (Manifesto dell'Empatismo). Condotta con tattica esplorativa, e con vèrve innovativa, riesce a sorprendere per la simbiotica dualità dei testi e per gli allunghi critici di valida soluzione autoptica di Luciano Domenighini, il quale afferma: "ho cercato, commentando, di privilegiare gli aspetti perifrastico ed ermeneutico rispetto a quello più strettamente analitico". Vere explications du texte quelle del critico, e per affondi di acribia intuitiva e per inarcature d'energia perlustrativa, con cui riesce a sottolineare i giochi lessico-semantici e stilistici, puntualizzandone la natura estetica e filologica: un chiaro esempio di stesura recensiva; di come si deve condurre l'esegesi di una pièce, senza perdersi in vaghe e rocambolesche locuzioni, o in pleonastiche avventure linguistiche, stando coi piedi per terra e con l'occhio attento alla parola, ai suoi meccanismi, agli intrecci allusivi, e ai valori morfosintattici. Un manuale di accorgimenti tecnici, di applicazioni figurative, e di importanti significanti metrici. Il tutto garantito dalla inossidabile vis creativa di un poeta, quale Emanuele Marcuccio, che, facendo da primo attore in questa antologia, affianca, alternativamente, una sua poesia a quella di ogni Autore della raccolta: "Due poesie di due diversi poeti, scritte indipendentemente, anche in tempi diversi, e accomunate dal medesimo tema in una sorta di corrispondenza epatica" (da nota pp. 11 del testo). Il tutto per illustrare la poetica di un manifesto che riunisce attorno a sé diverse voci, esemplificandone i parenetici intenti propositivi con un titolo di per sé emblematico: "Manifesto dell'Empatismo", che fa da prodromico ingresso al libro. Citarne quello che secondo me è l'articolo più attinente allo spirito generale dei fondatori è, di sicuro, fondamentale per percepire la pienezza paradigmatica dell'opera: "Noi vogliamo che tra i poeti empatisti e tutti i poeti e artisti in genere, ci sia rispetto e stima reciproca, senza nessuna presunzione di possedere la verità. Eleggiamo il dittico poetico a due voci[2] e il pluricanto[3], come forme per eccellenza di empatia poetica e come forme di poesia empatista per antonomasia". Senza trascurare naturalmente tutti gli altri punti del programma che ne caratterizzano la grande valenza, considerando che il canto è soprattutto generosità emotiva, e ricerca verbale. Opera, quindi, di una plurivocità accattivante, i cui duetti canori fanno da controcanto a un tema di urgente resa artistica: quello di saper tradurre le nostre contaminazioni soggettive in cospirazioni universali; in slanci verso l'oltre, dacché l'arte è qualcosa di più dell'umano; sì, ne vuole tenere di conto, ma per farne un trampolino di lancio verso l'inarrivabile: è così che mantiene quel senso del mistero che la rende unica. Ciò che si percepisce dalle molteplici composizioni di Marcuccio, il quale, attraverso le sue espressioni si fa chiara esemplificazione del nerbo di quei dettami. Forza emotiva, ricerca semantica e sonora, contenuti che non tradiscono lo slancio romantico verso l'oltre, assenza di contaminazioni epigonistiche o pleonastiche. Un fluire semplice il suo che trae dalla vita e dai suoi perché i motivi della poesia. Tutte le questioni che hanno a che vedere col tempo, il luogo, il sogno, l'essere, l'esistere, e le inquietudini della nostra permanenza terrena. Interrogativi e insoddisfazioni esistenziali di memoria leopardiana, si è detto; ma io credo abbrivi e cospirazioni intime che chiedono slanci oltre quegli orizzonti che demarcano il nostro vivere. E che, al fin fine, tanto sono legati all'amor vitae di cui si nutre la poetica del Nostro. Molto ci sarebbe anche da dire sugli altri poeti di questa particolare Antologia. Della loro forza emotiva, del loro stile maturo e ricco di figure allegoriche; della loro metaforicità; e soprattutto della grande padronanza metrica che sa intonarsi con vigoria significante al denominatore comune delle pièces: "[E]mozionare con i nostri versi, pur rimanendo fedeli ognuno al personale modo di fare poesia."[4]

Ne consigliamo la lettura a tutti coloro che ci seguono, dacché credo faccia loro piacere leggere una molteplicità di stili confluenti nel fiume chiaro dell'arte del dire e del sentire; come penso non sia disdicevole proporre una esemplificativa e indicativa pagina di questo innovativo testo:

Ho vissuto tante eternità

nell'assoluta pienezza

usavo lo stesso linguaggio

perché nelle note del tempo

oltre l'orizzonte sconfinato,

oltre le piogge di mezz'agosto

c'è una luce che io voglio attraversare,

c'è una soglia che io voglio varcare

in questa pioggia del mio vegetare,

in questo mare del mio non vivere.

Nota critica di Luciano Domenighini

Questa riflessione ha per la poetessa un valore immenso, il valore soggiogante di una rivelazione e conta per sé sola, assai più della cronaca quotidiana di una storia amorosa, del suo svolgersi e del suo esito stesso. Nella strofa finale, commovente, struggente, la poetessa, con afflato squisitamente romantico, allinea e omologa vita e morte, ponendole dinanzi al sentimento che solo può arricchire l'una e disperdere l'orrore dell'altra.

Di tutt'altro tono e ambito psicologico-concettuale si presenta lʼ "Eternità" di Emanuele Marcuccio, lirica metaforico-intimistica, spiccatamente esistenziale, di estrazione leopardiana, che ha per argomento il dolore per il tedio del non essere, il rincrescimento per il tempo della vita che trascorre invano. Marcuccio si dimostra abile nel disporre con ordine e simmetria non solo i suoi versi ma anche le figure simboliche. La composizione, di nove versi, presenta tre cellule iterative subentranti (vv. 1-5 "oltre", 6-7 "c'è", 8-9 "in questa/o") ma il nucleo significativo portante è contenuto nella corrispondenza fra i vv. 3 e 5 e il distico ai vv. finali 8 e 9 realizzante un chiasmo "ritardato", a distanza, nel quale, di fatto, si sdoppia il dettato poetico: allora abbiamo l' "immenso mio non vivere" e il "mezz'agosto del mio vegetare"." (p. 90)

Arena Metato (PI), 2 febbraio 2015

[1] Come da accordi, il ricavo delle vendite spettante agli autori partecipanti andrà a AISM - Associazione Italiana Sclerosi Multipla, così come si è già fatto con il ricavo di "Dipthycha" (Photocity Edizioni, 2013). [N.d.R.]


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