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‘Ndrangheta, un’azienda da 53 miliardi di euro

Creato il 24 marzo 2015 da Annagiuffrida @lentecronista

Patrimoni con cifre da capogiro, una rete di connivenze solidissima. Le mafie, in questo caso la ‘ndrangheta, sono aziende ben radicate sul territorio, parassiti che si nutrono del lavoro onesto di imprenditori e commercianti. Un tarlo che divora l’economia e convince tanti ad abbandonare quei territori inariditi.

Questo è quanto emerge da un saggio pubblicato nel 2013 sull’impero della ‘ndrangheta, di cui avevo riportato le dichiarazioni degli autori.

Una realtà da (ri)leggere…

52, 6 miliardi di euro di profitto. È un’azienda che non subisce battute d’arresto la ‘ndrangheta, che con i suoi affari impoverisce la produttività della Calabria del 3,5% con una mancata crescita pari a 1,2 miliardi.

Una realtà sommersa che divora la punta dello Stivale italiano e che è stata analizzata nel libro “L’impero della ‘ndrangheta – Radiografia di un’organizzazione criminale in continua espansione”, scritto a quattro mani dalla parlamentare Dorina Bianchi e dall’economista Raffaele Rio.

Dal riciclaggio agli appalti pubblici, dalle estorsioni e l’usura al gioco d’azzardo, fino all’attività internazionale più remunerativa, che garantisce alle cosche un giro d’affari di 24.200 milioni di euro: il traffico di stupefacenti. “La ‘ndrangheta ha consolidato il suo protagonismo nel panorama mondiale disponendo di una smisurata liquidità economica – spiegano gli autori – Da un lato ha una naturale vocazione di organizzazione policentrica ed espansionistica, dall’altro l’asfissiante controllo delle comunità territoriali”. Solo il racket e l’usura infatti impoveriscono oltre 40mila commercianti e operatori economici. Un’attività che non si limita alla richiesta di denaro a tassi da capogiro ma che, in certi casi, conduce all’acquisizione completa delle imprese.

Una condizione che tanti imprenditori percepiscono come ‘normale’, assuefatti a questa realtà. “Se è vero che le aziende dello Jonio reggino non pagano il pizzo, è vero anche che l’80% è completamente in mano alle ‘ndrine – commentano gli autori – Una presenza così invasiva che per alcune imprese è diventato, purtroppo, normale avere un bilancio ufficiale e uno informale, in cui rientrano le spese per il pizzo”. Un’attività tentacolare che stritola tante realtà produttive, che vedono spesso la ‘ndrangheta come un interlocutore, apparentemente, più disponibile a concedere liquidità.

Ma a fronte di un 13,3% di calabresi che ha chiuso l’attività o pensa di andarsene e trasferirla altrove, c’è un 74,9% che non vuole arrendersi e non intende lasciare la propria terra. Tra loro c’è chi ha già detto no al ricatto e chi sta trovando le forze per farlo, insieme agli altri. Anche con l’aiuto di associazioni antiracket e Confindustria, che chiede “un’accelerazione della normativa sulla prevenzione”.

Tanti calabresi hanno scelto di non essere sudditi di questo ‘Impero’, e vogliono tornare ad essere cittadini italiani.

da “La Discussione.com” – luglio 2013



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