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Ne senti parlare al telegiornale, ma sai che cos’è? Lo ‘spread’ in due parole!

Creato il 26 novembre 2011 da Angela

Su Vanity Fair n. 47, quello di questa settimana per intenderci, Giorgio Dell’Arti spiega cosa sia lo ‘Spread’ di cui sentiamo tanto parlare in questi giorni al telegiornale. Siccome ho trovato questa sua spiegazione molto chiara la vorrei condividere con voi. Ne riporto quindi qui sotto quelli che per me sono stati i passaggi più interessanti. Buona lettura e spero che una volta finito anche voi abbiate le idee più chiare!

«Spread» è una parola che significa molte cose, ma in questo caso vuol dire «differenza» o «differenziale». Differenza tra che cosa? Tra il rendimento annuale di un titolo qualunque e il rendimento di un altro: in questo caso, dell’analogo titolo tedesco. Per «rendimento» si intende: quanto paga d’interesse chi si è fatto prestare i soldi (nel nostro caso: lo Stato). 

Lo «spread» per antonomasia in Italia è quello tra i Btp italiani a dieci anni e gli analoghi Bund tedeschi (cioè sempre a dieci anni). Btp significa: Buoni del Tesoro Poliennali (vale a dire che durano più di un anno). Che significa «a dieci anni»? Significa che scadranno tra dieci anni, cioè fra dieci anni ci saranno rimborsati i soldi con cui li abbiamo comprati (il «capitale»). Quindi: vado in banca e compro diecimila euro di Btp a dieci anni. Tra dieci anni i diecimila euro mi saranno restituiti. Nel frattempo mi viene pagato un interesse, di solito ogni sei mesi. Mettiamo che abbia comprato anche un Bund tedesco a dieci anni. Vedrò subito che cos’è lo spread: lo Stato tedesco mi pagherà il 2% di interesse annuo, lo Stato italiano il 7%. In questo caso si dice che lo spread è di 500 punti, ogni cento punti valendo per convenzione un punto percentuale di interesse. Come dire che lo spread è del 5%.

Domanda: come mai, se gli italiani pagano il 7% di interesse e i tedeschi il 2%, leggiamo che tutti comprano Bund tedeschi e vendono Btp italiani, come mai cioè preferiscono incassare il 2% di interesse invece del 7%? 

Perché gli investitori considerano l’Italia a rischio, cioè i grandi investitori internazionali che investono miliardi su miliardi nei titoli pubblici, non vogliono correre il rischio di perdere tutto e preferiscono comprare o tenersi titoli tedeschi, certi (a torto) che la Germania non fallirà mai, piuttosto che titoli di un Paese come l’Italia, che ha troppi debiti per quello che guadagna (1.900 miliardi di debiti per un guadagno – Pil – di 1.600 miliardi di euro), e che a un certo punto potrebbe non essere più in grado di restituire quello che ha preso in prestito.

Uno Stato che certamente non è in grado di rimborsare i suoi prestiti è la Grecia. Fallirà l’anno prossimo, quando le banche creditrici saranno pronte a sopportare il colpo. Il Portogallo è ad altissimo rischio: per farlo saltare in aria basterà che i libici chiedano la restituzione del miliardo e duecento milioni di dollari depositati nelle banche portoghesi da Gheddafi.

La Spagna è seriamente a rischio soprattutto per via di una struttura economica fiacca, imperniata sulla finanza e sull’immobiliare (case che adesso non vuole nessuno, ce ne sono decine di migliaia vuote e a valore prossimo allo zero). L’Italia sembra piuttosto forte, ma c’è la faccenda dello spread: per via del nostro debito da quasi duemila miliardi, ci chiedono interessi sempre più alti sui nostri titoli pubblici, e già adesso saremmo fuori mercato.

Da decenni lo Stato italiano finanzia il debito con il debito: quando un Bot o un Btp scade, quando cioè arriva il momento di rimborsare i soldi che gli sono stati prestati, lo Stato italiano contrae un altro prestito, e con questo nuovo debito salda il debito precedente. In questo modo la montagna di soldi che dobbiamo restituire sale inesorabile, e salirà all’infinito, fino a che ci verrà chiesto un interesse impossibile addirittura da pensare.  Per noi si tratta adesso di far la concorrenza ai tedeschi, di cominciare cioè a restituire i soldi senza indebitarci di nuovo, vale a dire di rendere sicura la nostra finanza al punto che gli investitori smettano di vendere i nostri titoli e di comprare quelli della Merkel. Abbassare lo spread, appunto.

Chi determina, però, questi tassi del 2, del 7 o del 100 per cento? I cosiddetti «Investitori Istituzionali», cioè le Grandi Banche o i Grandi Fondi internazionali.

Ma i Bot o i Btp esistono veramente? Di fatto, i Bot e i Btp o i Bund non esistono più materialmente. Si tratta di numeri scritti su un grande registro e che coincidono sempre nelle contabilità che tengono creditore e debitore. Che prezzo sarebbe scritto su ciascun foglio se esistesse davvero? Sempre lo stesso numero: 100, con la specificazione di un tasso d’interesse su quel «100» (magari l’1 o l’1,5 per cento). Gli Investitori Istituzionali, per riscuotere un interesse più alto sui loro Bot o Btp, si offriranno quindi di comprare a 95 o a 90 quello che nominalmente vale 100; di comprarlo insomma a un prezzo che poi, visto il valore delle cedole staccate semestralmente e il rimborso comunque a 100 del capitale finale, corrisponda all’interesse effettivo del 6 o del 7 per cento.

Che uso fanno i Grandi Investitori Istituzionali di questi pezzi di carta (sia pure virtuali)? Li tengono in cassaforte, lucrando gli interessi, oppure li vendono a un secondo lotto di investitori, quelli non ammessi alle grandi aste primarie. Tra questi investitori ci siamo anche noi piccoli risparmiatori. È questo il mercato secondario. Mentre il mercato primario delle grandi aste si svolge a giorni e date prefissati, il mercato secondario coincide con la Borsa, è cioè in funzione ogni istante di ogni giorno, ed è qui che si calcolano effettivamente gli spread: di ora in ora, infatti, il differenziale tra Btp e Bund sale o scende a seconda che il mondo compri o venda a 70, 80 o 90 quello che nominalmente vale 100.

Può esserci uno capace di forzare le compravendite in modo tale che il differenziale salga o scenda in base ai calcoli di qualche grande vecchio intenzionato a raggiungere suoi scopi inconfessabili? Determinare permanentemente il mercato sembrerebbe impossibile. Ma chissà: Giuliano Ferrara ha paragonato lo spread ai carri armati con cui un tempo i Paesi più forti invadevano i Paesi più deboli. Ci sembra impossibile, ma chissà.

Ne senti parlare al telegiornale, ma sai che cos’è? Lo ‘spread’ in due parole!



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