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NEBBIA SULL'ARNO - di Orfeo Paci

Creato il 12 aprile 2012 da Ilibri
NEBBIA SULL'ARNO - di Orfeo Paci NEBBIA SULL'ARNO - di Orfeo Paci

Titolo: Nebbia sull'Arno
Autore: Orfeo Paci
Editore: IoScrittore

Ho scomposto idealmente questo romanzo di Orfeo Paci in tre parti.

La prima parte realizza quello che spesso è un desiderio che ci blandisce. L’idea di poter tornare indietro nel tempo, riavvolgere le fasi della vita, ritrovarsi in un punto precedente e già vissuto, con la possibilità di cambiare qualcosa. Nelle proprie scelte o nelle proprie opportunità. Questa chance viene misteriosamente offerta a Rodolfo, una sera, mentre sta camminando lungo l’Arno avvolto dalle nebbie. Il protagonista si ritrova sbalzato nel tempo all’anno 1946. Nel proprio paese, a Limito, nella campagna toscana, Rodolfo incontra l’amato padre, intravede la storia d’amore tra il genitore e sua madre, si innamora – ricambiato – di Laura, donna dal passato drammatico, raggiunge il fratello maggiore Bruno che il padre ha affidato ai nonni, passando attraverso avventure che implicano falsificazione di documenti, scontri a fuoco con le forze dell’ordine e un incontro clandestino con il brigante “Maremmano”. Del resto, l’arrivo di Rodolfo a Limito nell’anno 1946 rappresenta un mistero: “La faccenda è sospetta, prima viene ucciso un uomo, poi arriva questo tizio, si stabilisce in casa sua e se la intende con la vedova.” La permanenza di Rodolfo nel passato si protrae fino alla disavventura nell’Ombrone in piena, ove il giovane sacrifica la propria vita … per salvare quella del padre.

In questo avvitamento esistenziale nel tempo, Rodolfo sperimenta sensazioni sconosciute: “Avvertì un calore antico, mai provato.”

A volte sostiene dialoghi oggi anacronistici: “E’ giusto che le donne votino, ma che vadano … in macchina e magari fumino e bevano come un uomo, questo no, ognuno deve stare dalla sua parte. Ci manca solo che vogliano i pantaloni, poi siamo a posto.” E incappa in situazioni paradossali: “Un uomo senza passato è come se non esistesse, e il suo (passato) si trovava nel futuro.” O surreali: “Essere lì con suo padre lo faceva diventare uno dei personaggi dei suoi racconti …”

Nella seconda parte, Rodolfo torna ai giorni nostri. L’esperienza diacronica che ha vissuto è vivida nella sua mente, ma lui stesso è incredulo e non sa spiegarsela. Bruno, che crede - forse più del diretto interessato - nell’esperienza retroattiva del fratello, tenta un’anamnesi e una ricostruzione dei fatti, ripercorrendo i luoghi e rintracciando i protagonisti di quello che ormai sembra un sogno intenso: “Ho verificato i tuoi ricordi: qualche domanda fingendo di rievocare il passato. Alle persone di una certa età piace parlare dei tempi andati, e quando cominciano non li fermi più.”

Questa ricerca, però, è infruttuosa e l’esperienza di Rodolfo sembra potersi spiegare con interpretazioni di tipo psicanalitico.

Ma la vita, come molti ben sanno, riserva sempre grandi sorprese. Nella terza parte del romanzo, la vicenda assume i toni de “La donna che visse due volte” (Vertigo) di Hitchcock, perché Rodolfo incontra nuovamente una persona del passato immaginato (o vissuto?) e rivive sentimenti già provati …

L’interpretazione della vicenda assume dunque un’altra sfumatura: “… bisognava ricorrere all’irrazionale. E qui la gamma diventava infinita …” Magari per scoprire che “l’amore fa attraversare gli oceani, il nostro ha superato il tempo.”

Un romanzo scorrevole e accattivante, che affronta temi cari all’uomo: sempre in bilico tra realtà, illusione e sogno.

CINQUE DOMANDE A ORFEO PACI

1) Ma a te, Orfeo, piacerebbe avere un’opportunità come quella che hai concesso a Rodolfo? In caso affermativo, come approfitteresti dell’occasione?

Direi proprio di sì. Risalire alle mie radici è un’idea affascinante, capire il proprio passato serve spiegare il presente, sapere da dove veniamo aiuta a capire chi siamo. Sì, se si potesse davvero vivere un’esperienza del genere non me la lascerei sfuggire.

2) Come nasce l’idea di questo romanzo?

Il romanzo parte da alcuni fatti vicini a me, come il rapporto un padre che non c’è più, o un fratello maggiore a me di molti anni, e da una domanda: cosa accadrebbe se un figlio si trovasse a vivere la gioventù del proprio padre. Il resto poi è stato semplice: è bastato guardare i personaggi, ascoltarli, assecondarli, e la storia si è scritta da sola.

3) Quanto contano i tuoi riferimenti autobiografici quando scrivi? E l’ambientazione in Toscana?

Credo che si scriva sempre di noi, attingendo al proprio bagaglio di esperienze, ma in Nebbia sull’Arno, come ho accennato nella risposta precedente prendo spunto da una situazione se non proprio autobiografica, molto vicina alla mia realtà. Così come l’ambientazione a Limite sull’Arno che è il luogo dove sono nato e vivo tutt’ora.

In effetti mi sento molto legato alle mie origini e questo credo che sia evidente leggendo il romanzo.

4) Hai visto Vertigo di Hitchcock? Ti è piaciuto? Che attinenze trovi con il tuo romanzo?

Un bellissimo film, un geniale capolavoro. Lo avevo visto diversi anni fa e l’ho rifatto in questi giorni. Sono riuscito a individuare due diversi tipi di attinenze. Una più chiara e evidente, la ricerca di una persona conosciuta anni prima in un volto incontrato per caso. L’ultima parte del romanzo si basa essenzialmente su questo.

L’altra è una curiosità. Io, come il protagonista di “Vertigo”, ho una certa avversione ai luoghi soprelevati, per cui riguardando il film mi è stato facile immedesimarmi.

5) Tu hai sviluppato il tema del “déjà vu” sul piano esistenziale e sentimentale. In quale genere letterario ti collocheresti?

Questa è una domanda difficile. In genere diffido delle etichette. Definire Nebbia sull’Arno soltanto una storia d’amore mi sembra riduttivo, così come inquadrarlo come un romanzo di formazione. È un onirico cercare se stessi e gli altri, un sogno, una fiaba moderna che tenta degli agganci con la realtà.

Non so se ci sono riuscito, la risposta definitiva la lascerei ai lettori.

  

 

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